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La corsa al potere delle donne britanniche

La corsa al potere delle donne britanniche

Liz Truss responsabile degli Esteri, Nadine Dorries ministro della Cultura, Angela Rayner numero due dei Labour… Tutte ambiziose e in corsa per conquistare posizioni di leadership. Certo, molto dipende dal destino di Boris Johnson. Che è in mano a un’altra donna, Sue Gray: la funzionaria che indaga sui festini proibiti a Downing Street.


Nell’ottobre scorso le telecamere l’hanno ripresa in visita all’Aerospace di Bristol, mentre sorride al pubblico, insieme a Boris Johnson, leggermente spostata in avanti, come in una corsa. Liz Truss è una delle donne di punta della politica britannica pronte a scalzare i propri leader. In un Paese che ne ha avute due a capo del governo, attendono solo l’occasione propizia e non temono nulla se non di non arrivare laddove si erano prefissate, al primo posto.

Mentre il premier Boris Johnson annaspa, travolto dagli scandali dei party festeggiati in compagnia quando i suoi connazionali erano rinchiusi in casa in lockdown, l’attuale ministro degli Esteri con delega per la Brexit continua a correre come un’indemoniata ed è pronta a usare i suoi successi per vincere la prossima sfida per la guida del partito. I sondaggi la danno fianco a fianco con il Tesoriere Rishi Sunak che soltanto pochi mesi fa risultava come il predestinato nella successione alla guida del partito. Ma Liz, 46 anni portati con la disinvoltura con cui indossa i suoi completi «colour block» rossi e fucsia, ha sempre pensato di potercela fare persino contro l’eroe che ha salvato l’economia britannica. Può vantare una delle più lunghe carriere politiche attuali, con incarichi ministeriali sotto tutti i governi Tories, da David Cameron a Theresa May fino a Johnson, appunto.

Cresciuta in una famiglia colta e di centrosinistra (il padre è un docente di matematica, la madre la portava alle manifestazioni di protesta antinucleari con in mano una bomba fatta di moquette), la signora è già stata ribattezzata dagli analisti politici «la nuova Thatcher», soprannome che, prima o poi, tocca a tutte le donne in carriera del partito. Non che lei non ci metta del suo, per accentuare la somiglianza con la Iron Lady. A Natale la sua cartolina augurale ha fotografato un’immensa ambizione, esposta senza vergogna: seduta nello studio tutto legno della sua casa di Greenwich, con tanto di caminetto acceso e la bandiera nazionale ben visibile alle spalle, sembrava già una arrivata al traguardo. Sempre a Natale, Boris Johnson aveva optato per fare gli auguri ai suoi elettori con una foto dell’amato cagnolino e Sunak si era inquadrato umoristicamente i piedi, inguainati nelle pantofole trendy del momento.

Ma la signora non è una che punta sull’umorismo per vincere, preferisce l’approccio pragmatico con cui insegue gli obiettivi, qualunque siano. La soluzione del nodo irlandese, sul fronte della Brexit, è la sua arma più potente per sostituire un Johnson che molti considerano al capolinea. Dopo l’abbandono del suo predecessore David Frost, con l’Europa ha adottato una prassi più morbida per sbloccare lo stallo nei negoziati, riportare una temporanea serenità in Irlanda del Nord e consentire a Londra e Bruxelles di riprendere a parlare senza lo spettro di nuove rotture per poi aprire un fronte comune contro le minacce di Cina e Russia. Negli scorsi giorni la sua politica ha portato a una conferenza stampa congiunta – la prima dopo mesi di litigi – in cui il vicepresidente della Commissione europea Maros Sefcovic ha ventilato la possibilità di «un accordo tempestivo, se si mantiene la buona volontà politica».

Del resto, Liz al referendum del 2016 aveva votato Remain; più perché pensava che avrebbe vinto questa parte, che per convinzione, dicono le malelingue. Ora però deve stare attenta a non inimicarsi i Brexiteers più agguerriti, se veramente vuole conquistare lo scettro del partito. Intanto, mentre a casa il suo boss veniva massacrato dalle polemiche, lei si è tenuta a distanza, concendendo alla fine il proprio appoggio solo per poter invocare pubblicamente «un cambio di cultura a Downing Street».

Una mossa che Nadine Dorries, ministro per le Arti, il Digitale e la Cultura, di certo le rimprovera, visto quanto si sta prodigando per mantenere al suo posto BoJo. I media nazionali narrano che, da quando è scoppiata la «bomba» dei presunti ricatti da parte dei whips (i deputati che fanno da collegamento tra gli altri parlamentari e il capo del partito), lei stia lavorando freneticamente dietro le quinte per convincere i ribelli a non presentare le richieste di sfiducia al premier, che si stanno accumulando sul tavolo della Commissione parlamentare interna.

E nello stesso tempo ha raggiunto l’apice dello scontro con la Bbc, ritenuta «colpevole» di ostilità al governo, congelando l’importo del canone per i prossimi due anni e minacciando di azzerarlo subito dopo. Da questa ex infermiera della working class, in passato sospesa temporaneamente dal partito a causa di una sua poco commendevole partecipazione alla versione televisiva britannica dell’Isola dei Famosi, Boris Johnson non teme pugnalate alle spalle, almeno nell’immediato futuro.

Il suo patrimonio culturale e familiare rafforza la connessione con le fasce più povere e populiste degli elettori. Se Johnson si può permettere di ignorare il prezzo del latte, è perché lei lo sa e si vanta di poter dire ciò che pensa, anche quando non è affatto vero. E ci sono molte affinità caratteriali e personali tra questa «mastina del premier» e la sua collega sui banchi opposti a Westminster, il numero due laburista Angela Rayner. Solo che lei, al moderatissimo Sir Keir Starmer, fa paura più del diavolo.

Proprio ora che potrebbe godersi il superamento nei consensi sui conservatori – il più recente del 17 gennaio segnava un vantaggio di 13 punti – il leader dell’opposizione è occupato a tenere a freno le ambizioni della sua pupilla, che si sta rivelando ben più pericolosa del previsto. Cresciuta a Stockport, in una casa popolare dei quartieri poveri di Manchester, con una genitrice bipolare cui ha fatto da badante dall’età di 10 anni, questa madre single che ha lasciato la scuola quando è rimasta incinta a 16 anni, è stata eletta a Westminster nel 2015. Volontà d’acciao, quindi.

Ministro «ombra» con Jeremy Corbyn, si è candidata come vice leader dopo il disastro elettorale del 2019, diventando il braccio destro di Starmer con un mandato interno unanime. Per lui ha fatto «il lavoro sporco», dicendo quello che Sir Keir non avrebbe mai potuto affermare. «I conservatori sono una feccia, un branco di misogini, razzisti» è stata una delle sue dichiarazioni più fiammeggianti e controverse. Starmer ha tentato maldestramente di farla fuori in un rimpasto di cui lei non era neppure a conoscenza, ma senza successo. E adesso che il partito ha il vento in poppa, lei ha dichiarato all’emittente americana Cnbc: «Sarebbe un onore per me entrare a Downing Street insieme a Keir». E se ci andasse come primo ministro, le ha chiesto il giornalista? «Mai dire mai» è stata la risposta.

Certo, tutto dipenderà dalla sorte di Boris Johnson che, tanto per cambiare, è in mano a una donna, la più potente: Sue Gray, l’alta funzionaria pubblica incaricata di indagare sui festini a Downing Street durante il lockdown. Il suo nome, prima, era conosciuto soltanto dagli addetti ai lavori, ma l’ex ministro di Gabinetto Oliver Letwin l’ha definita «la persona che gestisce il Regno Unito». E se lo gestisce come il pub nord irlandese che ha posseduto per qualche anno, nel periodo dei Troubles, insieme al marito, dove cattolici e protestanti si ritrovavano insieme a bere, allora se ne vedranno delle belle. Forse Gray non è in grado di destituire Johnson, ma il suo rapporto (che ha già ottenuto un’inchiesta della polizia sul caso) può mettere fine alla sua carriera politica. Anche perché persino il premier dalle sette vite dovrà renderlo pubblico, prima o poi.

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