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La lunga mano della Cina sull’Afghanistan senza i soldati Usa

La lunga mano della Cina sull’Afghanistan senza i soldati Usa

Joe Biden ha confermato quanto già dichiarato da Donald Trump: l’addio dei soldati Usa dal paese asiatico. Per una superpotenza che se ne va però ce n’è un’altra (molto più vicina) pronta a sostituirsi e a controllare anche quell’area del mondo.


La decisione del presidente degli Stati Uniti Joe Biden di ritirare le truppe dall’Afghanistan è stata giudicata pessima dal generale Nick Carter, capo di stato maggiore delle forze di sua Maestà. Lo ha detto lo stesso militare in un’intervista concessa alla Bbc il 16 aprile. “Pur rispettando il punto di vista dell’amministrazione Biden”, ha detto Carter, “non era la decisione che speravamo, è chiaramente il riconoscimento di un atteggiamento strategico degli Stati Uniti che definirei in evoluzione”, ha detto.

Nei giorni precedenti alla trasmissione, in un incontro avvenuto a Londra tra il Segretario alla difesa del Regno Unito Ben Wallace e il suo omologo statunitense Lloyd Austin, gli inglesi avevano espresso ufficialmente la loro posizione rispetto alla situazione afghana e a quella ucraina, ma senza nascondere come sia la prima a preoccupare maggiormente Londra, che nel delicato teatro afghano ha circa 750 soldati prevalentemente coinvolti in attività di addestramento. Il ritiro dei soldati Usa comincerà l’11 settembre, ma tutti i contingenti Nato, per un totale di 10.000 soldati, lasceranno il Paese entro la fine di quel mese. Carter si è detto preoccupato per la decisione ma anche fiducioso del fatto che molte cose siano cambiate radicalmente in questi due decenni: “In realtà penso che i talebani non siano l’organizzazione che erano una volta” ha detto, “riconoscono di aver bisogno di una certa legittimità politica e non sarei sorpreso se si sviluppasse uno scenario non così negativo come molti dipingono”.

L’allusione è a quanto riferito da Nick Reynolds, tra i migliori analisti di guerra che lavora presso il Royal United Services Institute, che prima dell’intervista al generale aveva dichiarato: “L’attuale governo afghano difficilmente sopravviverà, un regime talebano vittorioso sarebbe simile nelle prospettive e nel suo approccio al governo come lo era prima nel 2001: una teocrazia conservatrice disinteressata allo sviluppo del Paese e ai diritti umani”. Secondo l’analista la strategia di ritiro dell’amministrazione Biden si basa su uno dei due presupposti: “O i terroristi non saranno in grado di operare dall’Afghanistan, oppure possono essere limitati dagli sforzi globali di antiterrorismo, garantendo che qualsiasi tentativo di operare all’estero da parte di organizzazioni terroristiche basate in Afghanistan possa essere identificato e neutralizzato. Ma la prima eventualità è improbabile. Ma se i talebani subentreranno, Al Qaida e altre organizzazioni riguadagneranno una significativa base operativa.”

Che le cose possano facilmente precipitare lo si capisce ascoltando le parole che un capo talebano ha detto proprio il microfoni della Bbc il 15 aprile, ovvero all’indomani della decisione di Biden:

“Noi abbiamo vinto la guerra e gli Usa l’hanno persa”, mentre il governatore Haji Hekmat della provincia di Balkh ha detto esplicitamente che l’obiettivo dei talebani è “Ripristinare l’emirato governato dalla sharia che venne rovesciato dall’invasione anglo-americana del 2001”. e non a caso nelle ultime ore il numero degli attacchi alle truppe governative afghane è aumentato causando la morte di sei militari, mentre nella provincia occidentale di Herat altri tre agenti della polizia sono rimasti uccisi da un’autobomba. Non soltanto: nella provincia settentrionale di Takhar sono morti quattro membri delle forze di sicurezza e altri cinque hanno riportato ferite durante l’attacco che i talebani hanno compiuto a un posto di blocco nella città di Taloqan.

Tra i leader occidentali spicca il parere contrario al ritiro del presidente Ceco Milos Zeman, che ha definito la decisione un tragico errore che “impedirà di combattere il terrorismo islamico”.

Quanto all’Italia, il ministro della Difesa Lorenzo Guerini ha dichiarato: “Nei prossimi giorni inizierà il rientro degli 800 militari italiani che sono impegnati ad Herat e a Kabul”.

La domanda che inglesi, cechi e alcune figure delle nostre forze armate si chiedono è perché abbiamo combattuto in quella nazione, perdendo molte vite umane, se poi abbandoniamo lo scenario senza terminare il lavoro, ovvero senza eliminare completamente i talebani che dal 2010, ovvero da quando Barack Obama aveva ridotto il contingente, si sono ovviamente rafforzati.

In due decenni da ambo gli schieramenti sono morte 155.000 persone tra le quali 3.568 militari della coalizione dei quali 2.500 americani. Ma che l’Afghanistan per gli Usa non sia più una priorità è stato evidente già durante l’ultima campagna elettorale, mentre che lo siano diventati scenari come il mar cinese meridionale.

E proprio la Cina potrebbe guadagnare da questa situazione: la Repubblica Popolare seppure soltanto per 76 chilometri confina con l’Afghanistan, dunque il ritiro degli Usa e della Nato da una parte costituisce un problema per l’accesso sicuro alle risorse naturali sfruttate da compagnie di Pechino, dall’altra offre anche l’opportunità per fare nuovi accordi con Kabul supportando la lotta ai talebani, finanche sostituendo gli occidentali con una forza d’intervento a salvaguardia della pace, già ritenuta possibile dal governo cinese.

Di certo c’è che nelle compagini di governo occidentali, tutte rinnovate dopo due decenni, si avverte un senso di rassegnazione sulle sorti dell’Afghanistan, seppure non sia il teatro nel quale le forze Nato sono presenti da più tempo (si pensi al Kosovo, dal 1999). In tutti gli scenari bellici ci si augura un processo di pace, ma quella firmata a Doha nel 2020 pare più una resa all’impossibilità di agire in modo capillare sul territorio che un accordo di pacificazione. La maggiore preoccupazione è ovviamente quella per la popolazione civile che ha collaborato con le forze internazionali, che potrebbe essere accusata di tradimento e perseguitata. I civili morti in Afghanistan negli ultimi vent’anni sono già oltre 40.000.

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