Home » Attualità » Cronaca » Campania incurabile

Campania incurabile

Campania incurabile

Grazie a una delibera voluta dal governatore Vincenzo De Luca, per gli abitanti della regione è ormai difficile accedere a prestazioni sanitarie. Al loro «plafond» sono imposti limiti sempre più stretti. Risultato: migliaia di interventi ed esami rinviati a data da destinarsi. Una situazione già critica, peggiorata dal coronavirus.


I vecchi adagi hanno quasi sempre una loro profetica essenza. Vedi Napoli e poi muori, si dice. Muori di nostalgia. Muori di sorpresa. Oppure muori perché, da queste parti, diventa sempre più difficile curarsi. A meno di non sostenere a proprie spese le visite che pubblico e privato accreditato ormai non riescono più ad assicurare, ridotti, come sono, a contendersi la torta sempre più piccola messa a tavola dalla Regione Campania.

Quest’anno, però, l’ente guidato dal governatore-sceriffo Vincenzo De Luca (Pd) si è superato: con la delibera 599 del 28 dicembre scorso, ha introdotto i «tetti prestazionali» non più per branca, ma per struttura. In pratica, ogni centro convenzionato ha un proprio limite (invalicabile) di assistenza. Superato il quale, il paziente o s’incammina per i Campi Elisi o apre il portafogli e paga.

Il plafond, per giunta, è parametrato ai livelli del 2019, quando il Covid non aveva sfasciato il già disastrato comparto sanitario campano aggravando il carico delle strutture e il quadro clinico della popolazione con decine di migliaia di interventi ed esami rinviati a tempi migliori. Seguendo questo principio, per De Luca e i suoi è come se il coronavirus non fosse mai esistito.

Eppure, già nel 2019, lo squilibrio tra domanda e offerta di servizi sanitari era evidentissimo. Tanto che era stato necessario l’intervento di un commissario «ad acta», Mario Ambrosanio, per rifare i conti sballati dell’Amministrazione regionale nel biennio 2018-2019. Nella sua relazione conclusiva, in cui aveva chiaramente parlato di «limite all’accessibilità» al diritto alla salute, il commissario aveva stabilito che mancavano all’appello oltre 20 milioni di prestazioni in nove settori di specialistica ambulatoriale: cardiologia, dialisi, diabetologia, fisiokinesiterapia, laboratorio, medicina nucleare, radioterapia, radiologia e branche a visita. Ambrosanio aveva inoltre ripristinato un principio sacrosanto di programmazione sanitaria: prima si valuta il fabbisogno e poi si stanziano le risorse necessarie. E non viceversa, come ha fatto e continua a fare Palazzo Santa Lucia basandosi su vecchie e inaffidabili statistiche.

«I dati delle prestazioni ambulatoriali specialistiche erogate negli anni passati non sono adatti a essere utilizzati per la previsione dell’offerta ambulatoriale per gli anni futuri» si legge nel documento commissariale, «in quanto non può considerarsi manifestazione completa delle reali necessità dei cittadini, ma rendicontazione di quanto la Regione Campania ha potuto offrire». Comprensibile, quindi, che il segretario regionale di Cittadinanzattiva, Lorenzo Latella, paventi di questo passo la distruzione del «principio della gratuità delle cure» subordinato alla «sola sostenibilità economica». Ma De Luca, da panzer come suo solito, queste cose le ignora e continua a tagliare.

Per una tac o per una amniocentesi bisogna aspettare mesi e mesi. E non è detto che, una volta arrivato il proprio turno, ci sia la sicurezza di sottoporsi all’esame. Nel frattempo, potrebbe essersi esaurito il budget del centro prescelto. Che cosa si fa allora? Secondo i mandarini della Regione Campania, un malato di tumore dovrebbe collegarsi con un pc al Cup regionale, prenotarsi e incrociare le dita per un posto libero, magari spuntato fuori a un centinaio di chilometri da casa. Peccato, però, che il Cup di fatto non esista. È in allestimento. E quindi, si fa la fine dei criceti nella ruota. Si corre senza mai spostarsi.

Ci sarebbe il pubblico, protesteranno gli ottimisti. Vero, ma prima della pandemia, gli ospedali erano in grado di coprire appena il 20 per cento della domanda di prestazioni. Oggi, con Omicron che impazza, e la chiusura di centinaia di reparti e la riconversione a Covid hospital di intere strutture (che hanno spinto il Coordinamento regionale degli Ordini dei medici a denunciare la violazione del diritto costituzionale della tutela della salute per questa scelta «chiusurista» di De Luca e del suo nume tutelare, il ministro Roberto Speranza), la quota si è ristretta. Parliamo di circa il 9%.

Per poter far fronte a tutte le richieste, il pubblico dovrebbe dotarsi di personale, nuove tecnologie e procedere a una riorganizzazione dei servizi. Che allo stato attuale mancano. E chissà se mai ci saranno. Ragion per cui, l’associazione che raggruppa i centri convenzionati della Campania (Aspat) ha deciso di andare alla guerra contro il governatore. Ha preparato un ricorso al Tar per impugnare la delibera contestata, rifiutandosi di firmare i relativi contratti di prestazione con le Asl. Dice Pier Paolo Polizzi, presidente di Aspat Campania, che la delibera è «illegittima e lesiva degli interessi dei centri accreditati rappresentati». E di conseguenza dei pazienti. Come si dice: l’importante è la salute.

© Riproduzione Riservata