La pandemia in atto dimostra la fragilità del sistema sanitario britannico, da anni appaltato ai privati e che ora rischia di dover tornare sotto il controllo dello Stato. Com’è appena accaduto ad alcune linee ferroviarie. E a dover rendere pubblici oggi i servizi esternalizzati ieri, c’è un primo ministro iperliberista…
Anziani segregati in casa per quattro mesi, migliaia di posti letto acquisiti dagli ospedali privati, accelerazione forsennata nella produzione di respiratori per le terapie intensive che si ricaveranno ovunque, anche in alberghi requisiti per causa di forza maggiore. Il modo in cui il Regno Unito affronta l’emergenza coronavirus, oltre a essere brutale, è una nemesi per Boris Johnson e per la sua stella polare liberista che deve guidare l’azione statale. Non lo aiuta la prospettiva suggerita dall’ultimo rapporto del Dipartimento per la salute, secondo cui otto milioni di inglesi potrebbero presto chiedere aiuto al servizio sanitario nazionale. Numeri impossibili da gestire per chiunque.
Il primo ministro rischia di dover mettere precipitosamente mano a una «statalizzazione» dell’assistenza ospedaliera, fiaccata da un decennio di continui tagli al personale e impoverita dalla concorrenza delle strutture private appannaggio dell’élite pagante. Gli effetti che l’attuale pandemia provocherà saranno anche la conseguenza (indesiderata) della privatizzazione metodicamente praticata finora. Quello sanitario, comunque, è solo uno dei vari settori che le privatizzazioni hanno reso fragile. E se l’Italia ha dovuto fronteggiare di recente la rivolta nei penitenziari, la Gran Bretagna non è da meno. Criminali condannati agiscono senza problemi proprio mentre dovrebbero trovarsi sotto il controllo del cosiddetto Servizio di libertà vigilata. Free to kill! («Liberi di uccidere») titolava il quotidiano Sun alcuni giorni fa, riferendosi al numero di omicidi – 309 – commessi da persone fuori dal carcere e comunque vigilate dal 2015 a oggi. Una cifra più che raddoppiata. Sottratto alla gestione pubblica dal 2014, il Servizio è tornato sotto l’ala del governo nel dicembre 2019.
Sempre in tema di sistema detentivo, un paio di settimane fa è stato diffuso un rapporto del ministero della Giustizia secondo cui le prigioni, sia pubbliche sia private, entro la fine del 2020 non avranno più spazio per contenere i loro ospiti, in costante aumento. La parziale privatizzazione, iniziata con gli esecutivi conservatori e proseguita sotto i laburisti, non è servita né a risolvere il problema del sovraffollamento né a favorire la riabilitazione dei detenuti. In base ai dati choc pubblicati dal quotidiano The Guardian, nelle 14 carceri private inglesi c’è molta più violenza che nelle 96 gestite dal servizio pubblico. In queste ultime le aggressioni totali a secondini e staff da parte di una popolazione di 64 mila detenuti sono state 21.420 in un anno; nello stesso periodo, su circa 15 mila persone incarcerate negli istituti privati, gli assalti sono stati oltre 7 mila.
Nel 2016, la prigione di Birmingham, la prima a passare sotto controllo privato, è stata teatro di una delle rivolte più sanguinose viste in Inghilterra. Cinquecento detenuti sono riusciti a prendere il controllo di quattro ali dell’istituto per 14 ore, causando danni per 2 milioni di sterline. Il governo conservatore di Theresa May ne ha ripreso la direzione nel 2018; e quella che doveva essere soltanto una fase transitoria, un anno dopo è divenuta permanente.
Anche in altri settori la decisione dello Stato di «esternalizzare» proprie preogative ha prodotto risultati pessimi. Il 1° marzo 2020, dopo 12 mesi di assoluto delirio gestionale, la Northern rail è stata la prima società ferroviaria britannica a essere rinazionalizzata. Sulle sue linee, peraltro molto costose, i ritardi si rincorrevano come palline di un flipper impazzito, impedendo sempre più spesso ai pendolari nel Nord del Paese di far ritorno a casa dal lavoro. Inefficienze destinate a trasformarsi in continuo danno economico che il governo di Johnson non poteva permettersi. Da qui la severità del provvedimento.
Tutti questi dati fallimentari – ma la lista potrebbe estendersi – dimostrano che troppe cose non hanno funzionato nella ricetta liberista tradizionalmente cara ai conservatori britannici, ma riformulata dalla «Terza via» del governo laburista di Tony Blair e ripresa, spregiudicatamente, dagli ultimi governi tories di David Cameron e Theresa May. Negli anni Novanta, quella ricetta era stata il motore della «Cool Britannia». L’Inghilterra ereditata da Blair aveva bisogno di nuove infrastrutture che il servizio pubblico non era in grado di garantire, se non aprendo ai privati. Lo spiega Tim Bale, politogo e storico del partito laburista inglese. «Per far fronte alle nuove necessità soprattutto nei settori dell’istruzione e del servizio sanitario, è stata creata la Private finance initiative (Pfi): un sistema che ha consentito la realizzazione, da parte appunto di privati, di moltissimi edifici scolastici e di nuovi ospedali che sono poi stati restituiti in leasing al servizio pubblico. Il quale è però costretto ancora oggi a pagare per il suo utilizzo cifre esorbitanti. L’impiego del finanziamento privato si è rivelato da subito troppo oneroso e continua a esserlo».
In tema di privatizzazioni, tutti i governi che si sono succeduti risultano responsabili negli ultimi anni. Molte delle idee blairiane si sono poi concretizzate sotto la guida del suo successore David Cameron. Mentre l’unica privatizzazione «pura» di Blair rimane quella della gestione del traffico aereo, Cameron ha dato il via a operazioni imponenti con la vendita di beni pubblici per 37,5 miliardi di sterline. Tra questi, il colosso bancario Northern Rock, acquisito dal gruppo Virgin, e persino le Royal mail, le poste del Regno, emblema del servizio pubblico perfetto che finisce dopo 499 anni di onorato lavoro, gettando nel panico i grafomani britannico. Di proprietà statale, rimangono soltanto le iconiche cassette postali a forma di cilindro tanto care ai turisti.
Molte operazioni però si sono rivelate un disastro e alla fine è toccato proprio al riluttante Johnson metterci mano. Del resto ignorare il malessere dei contribuenti è impossibile. La ricerca del profitto a ogni costo da parte dei privati, il taglio agli stipendi, la continua riduzione del personale mal si conciliano con il buon funzionamento di servizi dedicati ai cittadini, che necessitano di dipendenti attenti e motivati.Tutti i sondaggi degli ultimi tre anni dicono che la maggioranza degli utenti, in alcune aree, preferisce la gestione pubblica. Non a caso, alle ultime elezioni, aveva puntato tutto sulla rinazionalizzazione l’ex leader laburista, Jeremy Corbyn. Invece, dopo la sua epocale sconfitta, a doverla attuare è stato proprio il the «One nation conservative» Boris Johnson. Una sorta di contrappasso per un politico che ha sempre osannato il libero mercato. Eppure, ormai si sa: le enunciazioni di principio del primo ministro sono sempre rivedibili (come la spericolata affermazione sull’«immunità di gregge» per il coronavirus, velocemente ritirata). Ecco allora che, rinnegando il proprio credo economico per il bene dei connazionali, Johnson finirà probabilmente per diventare un «salvatore dei servizi pubblici».
Riflette l’analista Larry Elliott: «Con queste nazionalizzazioni ha spostato a sinistra il baricentro della politica economica dei conservatori. Il Labour farebbe bene a tenere gli occhi aperti. Perché è vero, gli elettori sono pronti a punirlo se scoprono che è un truffatore che annusa l’aria che tira, ma esiste anche una seconda opzione: che Boris creda in quello che dice e fa. E allora il prossimo voto potrebbe premiarlo di nuovo».
