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Boris Johnson sempre più in bilico

Boris Johnson sempre più in bilico

Difficoltà per la gestione della nuova ondata Covid, ostilità nel suo stesso Partito conservatore e scandali a ripetizione: nella crisi politica del premier britannico sembra realizzarsi ciò che aveva predetto Dominic Cummings, l’ex braccio destro messo alla porta. Ma BoJo è anche l’uomo della riscossa all’ultimo secondo utile…


Gli analisti delle scommesse non punterebbero su di lui manco morti, le lettere di sfiducia fioccano, il suo governo continua a perdere pezzi. Che Capodanno da schifo per Boris Johnson. E pensare che due anni fa, alle politiche, una vittoria schiacciante – neanche sei mesi dopo il penoso 8,8% riportato dallo stesso partito alle elezioni del Parlamento europeo – l’aveva proclamato l’Houdini della politica britannica per la sua capacità di risollevarsi quando tutto pare perduto. C’è chi lo vede ancora così, ma l’impresa oggi si fa veramente titanica.

«Mi spiace, stavolta non posso votare per quel ciarlatano che avete messo alla guida del partito» si era sentito rispondere Neil Shastri-Hurst (candidato al seggio nel collegio super sicuro del North Shropshire alle elezioni supplettive di metà dicembre) dalla signora Pearl Morris, quando aveva bussato alla sua porta due settimane fa. «Al prossimo giro se ne va vero?» aveva chiesto l’anziana elettrice.

«In quel momento riavrete il mio voto». «Ma allora perché alla finestra di casa avete messo il volantino di sostegno alla mia candidatura?» aveva chiesto traumatizzato Shastri-Hurst. «È stato mio marito ad attaccarlo. Ma devo dirle che soffre di demenza senile da un bel po’» aveva risposto con involontaria ironia miss Morris prima di richiudere l’uscio in faccia al candidato ancora sotto choc.

Non doveva averla vista arrivare una sconfitta così bruciante, BoJo, nel collegio che per 200 anni era stato una roccaforte conservatrice e quest’anno ha inaugurato una nuova era con la vittoria, per 6.000 voti in più (un travaso percentuale del 34%) della candidata liberal-democratica Helen Morgan. I timori c’erano, visto che il voto era stato indetto dopo le dimissioni forzate dal deputato conservatore Owen Paterson, incappato in un complesso caso di conflitto d’interessi che aveva poi scatenato l’ampio scandalo su secondi lavori prezzolati di molti parlamentari Tories.

L’esecutivo aveva fatto di tutto per bloccare la sospensione, poi era in fretta tornato indietro e infine Johnson aveva dovuto ammettere di aver commesso un grave errore nella gestione del problema. La sua difesa d’ufficio era sembrata inefficace a molti dei suoi. «Mi sa che ha bisogno di un Lemsip» aveva commentato un deputato alludendo a un noto farmaco ricostituivo a base di paracetamolo. Ma ci vorrà più di questo per riconquistare la fiducia di una parte del Paese che si sente tradito dal suo governo. Il North Shropshire non è distante dalle regioni del «muro rosso» del Nord dell’Inghilterra che hanno decretato la vittoria di Johnson nel 2019, dando per la prima volta il loro voto laburista al «nemico».

Lo scorso mese quegli stessi elettori si sono sentiti dire che il governo ha definitivamente rinunciato al progetto di estensione della rete ferroviaria promesso durante la campagna elettorale. I recenti sondaggi rivelano che, se si dovesse votare adesso, il muro del Nord non resterebbe «blu». Qualcuno che BoJo lo conosce molto bene, come Dominic Cummings, la tempesta l’aveva prevista (e sobillata) eccome e le sue visionarie dichiarazioni aleggiano ora nell’aria col peso di una maledizione. L’architetto della campagna referendaria della Brexit ed ex braccio destro del premier a Downing Street, da mesi rilascia dichiarazioni sul suo blog personale e su Twitter a proposito di quel che accade nelle segrete stanze del quartier generale di Johnson.

E si focalizza soprattutto sulla personalità debordante di un premier che considera «un vero pericolo per il Paese nella gestione della pandemia» come dice a Panorama Tim Bale, docente di Politica alla Queen Mary University di Londra. Da quando si dimise, nel dicembre di un anno fa, Cummings ha accusato l’ex boss di «non essere in grado di guidare il Paese», attribuendogli la responsabilità di ritardi imperdonabili nella lotta al virus.

Quando i media hanno pubblicato per giorni le immagini dei vari festini di Natale avvenuti nel 2020 mentre il Regno Unito era in lockdown, Cummings sembrava imbeccare la stampa nazionale dicendo ai giornalisti dove cercare, quali porte aprire. Proprio lui, che fu il primo a violare le regole della quarantena nel 2019 per due volte e che per questo – almeno ufficialmente – fu fatto dimettere. Viene il dubbio che questo accanirsi sul primo ministro e il suo entourage abbia il gusto del piatto della vendetta gustato freddo.

«È vero che Cummings utilizza i media» prosegue Bale. «Ma questo uso va ben al di là di un fatto personale tra lui e il premier. Dom crede genuinamente che Johnson sia pericoloso quando si tratta di Covid». È probabile che non sia l’unico, vista l’incertezza con cui l’esecutivo ha affrontato l’impennata dei contagi dell’ultima settimana, finendo per mandare alla popolazione dei messaggi contrastanti rispetto a quelli del comitato scientifico e addossando a quest’ultima la responsabilità di un futuro lockdown.

Del resto, Johnson è uno che annusa l’aria che tira e le uniche restrizioni anti Covid votate in Parlamento avevano innervosito la gente e provocato dimissioni importanti come quelle del ministro per la Brexit, Lord David Frost. Il più agguerrito interlocutore del Regno Unito a Bruxelles era fortemente contrario al «piano B» contro la pandemia perché convinto che avrebbe affossato il governo quindi, quando si era iniziato a parlare di una chiusura natalizia (poi scongiurata) si era dimesso. Eppure, l’altalenante gestione del virus che ora sta affondando la popolarità dello scapigliato ex sindaco di Londra e del suo partito, potrebbe ancora una volta trasformarsi in una temporanea ancora di salvezza, unita all’economia nazionale ancora solida e impermeabile agli scandali.

«Se però gli amici che BoJo ha nei media lo dipingeranno di nuovo come San Giorgio che sconfigge il drago Covid con le vaccinazioni, potrebbe superare anche questa tempesta e durare fino a primavera» aggiunge Bale. A oggi ha lo stesso peso l’ipotesi che i laburisti riescano a consolidare il vantaggio acquisito nell’ultimo mese – rafforzando magari l’ipotesi di un patto di coalizione con i LibDem in caso di vittoria alle prossime politiche – e che la performance negativa (in termini di consensi) del premier persista. In questo caso a farlo fuori sarà il suo stesso partito. «I suoi l’avevano scelto perché in quel momento era utile elettoralmente» conclude il docente. «Se diventa un problema, che senso ha tenerselo?».

Tanto più che i candidati alla poltrona come il tesoriere Rishi Sunak o il ministro per gli Affari esteri Liz Truss, ora anche responsabile per la Brexit, sono pronti a rimpiazzarlo. In un paradossale gioco delle parti quindi, il destino del primo ministro più imprevedibile che il Regno Unito abbia avuto, ora non dipende tanto da lui ma da una lunga serie di fattori altrettanto imprevedibili. A Boris non resta che attendere e godersi la nuova nata, la seconda figlia datagli dalla moglie Carrie Simmons. Uno dei nomi della piccola è Iris, che in greco significa «arcobaleno». Chissà che non gli porti bene, in barba a quel menagramo di Cummings.

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