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Così l’Europa spreca i soldi

Così l’Europa spreca i soldi

Panorama ha analizzato il bilancio definitivo per il 2022 e quello previsionale per il 2024 appena approvati dal Parlamento di Bruxelles. Viene da chiedersi se certi costi – dalle nuove sedi all’estero alle Agenzie con gli obiettivi più variopinti – non si potevano evitare in tempi di ristrettezze continentali. Il catalogo degli sprechi è lungo e qui lo illustriamo. Quale promemoria per le imminenti elezioni.


Cosa se ne fa l’Unione di una folta rappresentanza diplomatica nel regno di eSwatini, lillipuziana e pacifica monarchia al confine con il Sudafrica? O di un’agenzia per la parità di genere che emargina gli uomini? E perché la diplomazia continentale spende 178 mila euro all’anno per affittare aerei privati? Mancano ormai pochi giorni alle elezioni europee. E come ultimo atto di fede, i valorosi uscenti hanno approvato i bilanci definitivi del 2022 e le previsioni per quest’anno. Insomma, i salati conti del mastodontico apparato. Che rivelano i nuovi e sbalorditivi scialacqui del super-Stato che vorrebbe svuotarci le tasche, tra auto elettriche e case green.

IL BILANCIO

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A partire dalle «spese amministrative» per tenere in piedi il Parlamento.

Sono in decisa e vivace crescita: per il 2024 sono stanziati 2,4 miliardi. Lo spreco più smisurato resta doppia sede. Una volta al mese il baraccone continentale trasloca, armi e bagagli, in quel di Strasburgo per la seduta plenaria. Lì rimane quattro giorni. E dopo ritorna in Belgio. Una follia da almeno un miliardo a legislatura. Oltre cinquemila persone costrette a sciropparsi una trasferta di 440 chilometri: funzionari, deputati, interpreti, assistenti. Mentre i tir al seguito, come diligenze seicentesche, trasportano documenti e audiovisivi. Nel 2022 questo gioco dell’oca è costato 20,8 milioni. Nel 2024 la cifra salirà a 23,9 milioni: quasi la metà da investire in indennità aggiuntive. Eppure, sembra facile: basta chiudere il doppione transalpino. Ma l’iper nazionalista Francia, guidata da Emmanuel Macron, sembra proba solo con gli altri. Mai rinuncerà al sovrabbondante avamposto. Anzi, a Strasburgo è stato affittato un nuovo edificio all’avanguardia di 15 mila metri quadri, intitolato a Simone Veil, prima presidente donna dell’europarlamento. Costo del leasing: 700 mila euro l’anno. Durata: quasi un secolo. Totale: 70 milioncini. Che saranno pagati allo stato francese, proprietario dell’immobile. Capito quel drago di Emmanuel? Non lascia, raddoppia e incassa. Che poi: sommando la manutenzione, il totalone sale a due milioni. Da moltiplicare sempre per 99 anni. Duecento milioncini, quindi. L’inaugurazione, comunque, è prevista dopo le elezioni. A seguire partirà anche la ristrutturazione di palazzo Paul-Henri Spaak, che ospita invece l’emiciclo di Bruxelles: 490 milioni di euro da destinare all’efficientamento energetico. Intanto, la transumanza verso Strasburgo consuma 19 mila tonnellate di CO2 a legislatura. Emissioni che l’Unione, in ossequio al Green deal, vorrebbe drasticamente ridurre. «Già nel 2019 erano stati spesi 430 milioni per abbellire l’edificio» ricorda l’eurodeputato leghista Angelo Ciocca. «L’Europa impone sacrifici ai suoi cittadini, ma poi sperpera denaro in progetti inutili e dispendiosi. Ormai non si contano più i soldi destinati alle tre sedi». Giusto: perché, oltre a Bruxelles e Strasburgo, c’è pure il Lussemburgo, che ospita il Segretariato generale.

Fa niente. Pagano gli stremati eurocontribuenti.

A cui spetta saldare anche i salatissimi costi di comunicazione, per magnificare l’incontenibile grandeur del parlamento. Nel 2019, anno della precedente tornata, il capitolo di bilancio era già succoso: 39,3 milioni. Tre anni dopo, i danari necessari per diffondere il verbo si sono triplicati: 121 milioni. E il meglio deve ancora venire. Del resto, le eroiche gesta vanno decantate. Cosa volete allora che siano i 17 milioni destinati a «Europa experience», un’enfatica mostra multimediale allestita nelle capitali dell’Unione? «Consente di esplorare come gli europei lavorano insieme per affrontare le sfide più importanti» si legge nel sito. C’è persino un gioco di ruolo, dove si può far finta di diventare un europarlamentare. Che resta, comunque, un’ottima idea. Come dimostra la corsa a Bruxelles che s’è scatenata in tutti i partiti. Una volta era solo il refugium peccatorum di cariatidi, trombati e scartine. Adesso l’Ue ha invaso le nostre vite imponendo regole cervellotiche ed ecofollie varie. Tra i candidati, certo, c’è chi avversa e chi blandisce. Ma ne vale decisamente la pena: gli eletti guadagneranno circa 18 mila euro al mese. Meglio che rendere servigio in patria. E per alleviare l’eventuale addio, i non ricandidati o confermati otterranno una sostanziosa buonuscita come «incentivo al reinserimento lavorativo». Inevitabile obolo al loro travagliato futuro: un mese per ogni anno passato a Bruxelles. Il totale dipende dal numero di legislature alle spalle: si va dai 39 mila e agli oltre duecentomila euro.

L’ultimo sacrificio di questa legislatura è stato, lo scorso 11 aprile, l’approvazione dei «discarichi» del 2022:

ovvero i bilanci dei mega organismi continentali. Tra cui le 43 agenzie Ue: costano circa 3,7 miliardi, impiegano 12.881 persone e sono sparse nel continente. Inarrivabile resta quella per le ferrovie, che ha doppia sede, sempre in territorio francese: l’ordinaria amministrazione è a Valenciennes, mentre conferenze e incontri si svolgono a Lille. Logorante andirivieni che coinvolge 177 infaticabili e costa 31 milioni di euro all’anno. In ossequio alle più rigide regole spartitorie, le agenzie sono disseminate in ogni angolo europeo. Così Salonicco, in Grecia, ospita il Centro europeo per la formazione professionale: il Cedefop. Causa a cui si dedica pure l’Etf a Torino. Sempre nel ramo, c’è il Cepol di Budapest, specializzato nelle forze dell’ordine. Messi insieme, costano una cinquantina di milioni e impiegano quasi trecento persone. È la parità di genere, invece, a stare a cuore a Eige, istituto creato nel 2010 a Vilnius, in Lituania. Ha un bilancio di 8,4 milioni. Dà lavoro a 62 persone. Lo scopo è favoloso: «Rendere l’uguaglianza di genere una realtà all’interno e all’esterno dell’Ue». Eccezion fatta per l’agenzia stessa. Dove, si rammarica il parlamento, vige un tremendo «squilibrio di genere». A favore del gentil sesso, però. A questo punto, potrebbero chiedere aiuto all’Agenzia dei diritti fondamentali, di stanza a Vienna. Per la modica cifra di 24 milioni all’anno, sforna consulenze sulle ingiustizie planetarie. Ma il compito più incantevole è certamente quello della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, a Dublino. Oltre 22 milioni all’anno. Una bazzecola, visto l’altissimo scopo: aiutare a garantirsi un agognato anelito di felicità. È quello che, con fatica, cercano i dipendenti del ciclopico Frontex, impegnato nella sicurezza di frontiere e coste. Solo nel 2022, scrive il parlamento, sono stati denunciati 32 casi di molestie, sessuali o mentali. Dunque, urge un servizio di «assistenza psicologica». Iniziativa lodevole. Doveva costare 79 mila euro. Alla fine, deplora la Corte dei conti europea, ne sono serviti sei volte di più: quasi 503 mila euro, con «pagamenti irregolari, per un importo pari a 384 mila euro». Ma i revisori lussemburghesi eccepiscono anche sull’Ema, l’Agenzia per il farmaco. Dopo la Brexit, la sede è stata trasferita da Londra ad Amsterdam. Resta però un problemino sulla vecchia locazione nella City: «Il contratto, avente validità fino al 2039, non contempla disposizioni per una rescissione anticipata». Capito i geniacci? Blindato. Nessun recesso. A fine 2022, rivela il bilancio approvato due mesi fa, restano da pagare 366 milioni di euro. Nell’attesa, gli uffici sono subaffittati. Ma le «potenziali passività restano preoccupanti» scrive il Parlamento nel discarico approvato: quasi due milioni al mese.

Fiore all’occhiello della burocrazia continentale è però il Servizio europeo per l’azione esterna, in breve Seae.

La diplomazia europea, insomma. Costa 1,2 miliardi di euro all’anno: 479 milioni servono per tenere in piedi le 135 delegazioni nel mondo, dove lavorano 2.769 persone, compresi ambasciatori e funzionari. Per capirsi, basta un esperimento. Chiudete gli occhi, fate girare il mappamondo, puntate un dito, sospirate con sollievo. Anche nel più remoto angolo del pianeta ci sarà una considerevole delegazione. Nelle isole Figi, a Suva, sono in 54. Vi domanderete: cosa diavolo c’è da fare laggiù, oltre a surfare le onde e bere piña colada sulla spiaggia? Tutta invidia. Pure a Port-Louis, a Mauritius, ci sono 32 emissari europei. Come in Papua Nuova Guinea, a Port Moresby. Giornate trascorse a stringere mani e tessere alleanze. I mandatari continentali sono inviati perfino a Honiara, nelle isole Salomone: un arcipelago, immerso nella vegetazione lussureggiante, di fronte all’Australia. Anche loro si affannano per rappresentare mirabilmente l’Unione. Che difatti non bada a spese pur di rendere gradevole la loro permanenza. A Trinidad e Tobago, perle dei Caraibi, si sacrificano in locali da 205 mila dollari. Nelle decisive Barbados la sede costa invece 423 mila euro. E tra i contratti più recenti di «accomodation», ovvero gli alloggi per funzionari e dipendenti, ne sono stati siglati tre a Mbabane. Vi sfugge persino questo luogo strategico per la diplomazia planetaria? È la capitale del regno africano di eSwatini, una delle ultime delegazioni aperte dall’Ue. Come rivela l’ultimo report della prestigiosa diplomazia, la spesa complessiva ammonta a poco meno di 129 mila euro.

Anche per decantare le imprese dei suoi emissari l’Europa non lesina.

Nel 2022 oltre 15 milioni sono finiti in «comunicazione pubblica» e «attività promozionali», vista pure «la guerra di aggressione russa contro l’Ucraina». A cui vanno aggiunti altri 7,2 milioni «per contrastare la manipolazione delle informazioni e le ingerenze da parte di attori stranieri». Del resto, inutile fare i micragnosi. L’arte della diplomazia costa. Nel 2022, per esempio, l’esborso per le missioni è salito a 24 milioni: il quadruplo dell’anno precedente. Tra queste, ci sono anche quelle del politico di sterminato corso che guida la Seae: Josep Borrell, alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e vicepresidente della commissione. È un illustrissimo esponente del Psoe, il partito socialista operaio spagnolo. Eppure, non disdegna i voli privati. Così, quando i revisori scoprono che nel 2022 il servizio diplomatico ha speso «178.320,76 euro per aerotaxi», nella loro relazione insinuano: «Quante volte l’alto rappresentante ha viaggiato con aerei commerciali e quante volte sono stati utilizzati voli charter?». Già, la Corte dei conti «esprime preoccupazione per l’ampio ricorso al noleggio di aerei privati», evoca «la sana gestione finanziaria nell’utilizzo dei fondi pubblici» e aggiunge che «i leader dovrebbero fungere da esempio» vista «l’iniziativa faro del green deal europeo».

Insomma: siamo alla solite. Ci impongono l’auto elettrica e intanto affittano jet super inquinanti.

Anche il compagno Josep ha peccato? Il servizio diplomatico non chiarisce. Nell’attesa, dopo analoga richiesta, la commissione europea ha però dovuto rivelare che l’anno scorso sono stati usati aerei privati in 29 occasioni. E a bordo, quasi sempre, c’era la presidente: ovvero la baronessa Ursula von der Leyen, ora a caccia di riconferma. Per l’esattezza, 23 volte. Come d’altronde s’impone a una del suo rango. Noblesse oblige. Con i soldi dei sudditi continentali, ovviamente.

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