Nella Puglia del governatore Michele Emiliano gli ex-moralizzatori pentastellati firmano un accordo dem che prevede per i consiglieri regionali un Tfr da 40 mila euro (e per qualcuno, il doppio). Un colpo di spugna che riporta agli antichi fasti.
La proposta di legge con la quale la Puglia dem di Michele Emiliano ha deciso di tornare ai vecchi, cari privilegi di casta, porta la firma del capogruppo del Partito democratico in Consiglio regionale Filippo Caracciolo: l’uomo è riuscito nell’impresa di mettere d’accordo quasi l’intero centrosinistra allargato per introdurre un trattamento di fine mandato per chi ha occupato gli scranni del Consiglio regionale pugliese, a prescindere dalla durata della legislatura.
Il bonus è calcolato nella misura dell’ultima mensilità dell’indennità di carica lorda percepita dal consigliere, moltiplicata per ogni anno del mandato: in soldoni, una buonuscita da circa 40 mila euro a testa. Il doppio per chi c’era anche nella legislatura precedente. E a partire dal 2013, anno in cui l’ex governatore Nichi Vendola decise di abrogarlo.
Caracciolo, ricordiamolo, è l’ex assessore all’Ambiente che temeva le intercettazioni di un’inchiesta per una presunta turbativa d’asta (aveva intestato il suo telefonino a un ignaro cittadino rumeno, del quale a un certo punto ha dovuto assumere i panni per evitare di farsi tagliare la linea) e, per aver disposto un rimborso forfettario all’autista di Emiliano, si era trovato una contestazione della Corte dei conti da 8.747 euro. Ora, la sua astuta manovrina riporta l’orologio indietro esattamente di dieci anni. E a far girare le lancette al contrario lo aiutano con solerzia i 5 Stelle.
Il capogruppo pentastellato Marco Galante, infatti, infischiandosene della posizione che il leader del suo partito Giuseppe Conte aveva espresso durante un precedente tentativo di ripristinare il regalino ai consiglieri regionali del Tavoliere, ha offerto la sua firma al collega dem. «Il Movimento 5 stelle sarà in prima fila per eliminare quella norma» aveva tuonato Conte. Due anni dopo uno dei suoi è proprio in prima fila, ma per chiederne l’approvazione.
Il provvedimento ad hoc costerà circa 4 milioni di euro nel 2023, per poi ridursi nel 2024 e nel 2025 anche per effetto del possibile taglio degli eletti dagli attuali 50 a 40. Il cortocircuito è diventato ancora più imbarazzante quando si è scoperto che a guidare il fronte del «no» c’era proprio un consigliere di centrosinistra, Antonio Tutolo: da sempre contrario ai benefit aggiuntivi, compreso quello per il segretario d’aula (incarico affidato a due consiglieri regionali che hanno diritto, ciascuno, a 1.200 euro in più al mese oltre ad autista, la macchina e segreteria particolare con due dipendenti regionali), è rimasto coerente.
A disagio ci sarebbe anche la corrente Schlein, con due consiglieri: Lucia Parchitelli e Barbara Ciliento, che hanno subito storto il naso. Caracciolo però ha convocato una riunione del suo gruppo per questa settimana, convinto che uscirà con una posizione unitaria.
Per la verità pure tra i grillini c’è chi non è allineato. «Io non sono con la maggioranza, a differenza degli altri componenti del mio gruppo» è sbottata Antonella Laricchia, consigliera che ci tiene ancora al «vaffa» e si sta battendo per mantenere i grillini lontani dal futuro accordo elettorale con Emiliano. E aggiunge: «Che la proposta sia stata votata da tutta la maggioranza, quindi anche dal Movimento 5 stelle è vero, ma all’interno del nostro gruppo c’è un’anomalia».
Laricchia annuncia una «riflessione». Ma è incerta sull’esito: «Come andrà a finire io non lo so. Io in Consiglio regionale rappresento solo me stessa. Nella migliore delle ipotesi ci stiamo sottoponendo a uno stress inutile, nella peggiore stiamo cercando di ottenere un odioso privilegio».
Se Laricchia è distante dalla maggioranza, i suoi colleghi di partito, scrive il Corriere del Mezzogiorno, ne «fanno parte a tutti gli effetti». Un probabile alleato, confermando la fase di riflessione nel gruppo grillino (composto da cinque consiglieri regionali), è Cristian Casili, che annuncia un possibile «ripensamento».
A prescindere da come andrà a finire, la firma di Galante sulla proposta di Caracciolo ha decretato anche in Puglia l’ennesima marcia indietro sui princìpi di un tempo. Come per la Tap: dopo le manifestazioni e gli annunci sullo stop al progetto, Luigi Di Maio annunciò che in nome delle penali (20 miliardi di euro) i 5 Stelle avrebbero dovuto darsi «un pizzico sulla pancia».
Per restare in Puglia, i leader grillini la spararono grossa: «Chiuderemo l’ex Ilva». Il processo di vendita dell’industria ad ArcelorMittal si chiuse con un accordo identico a quello sollecitato dai dem e con i pentastellati al governo.
Grandi barricate pure sui condoni edilizi. Su Ischia proprio Di Maio giurò che se fosse passato avrebbe preso la tessera del Pd. Nel Decreto legge Genova, la norma su Ischia ha fatto passare ben 28 mila domande di condono. Alla fine l’iscrizione dem Di Maio non l’ha fatta, ma i pentastellati si sono trovati sempre più vicini al Partito democratico.
Altro tema assai ripetuto in campagna elettorale: «Non faremo alcuno sconto agli evasori fiscali». Per poi approvare un condono per le cartelle non pagate attraverso una sanatoria del 30 per cento. Adesso è il turno dei bonus della casta e nel laboratorio giallorosso pugliese hanno già messo il detonatore sotto l’ultimo baluardo dei seguaci del fu incendiario Beppe Grillo. n
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