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Gli amici americani di Putin

Gli amici americani di Putin

Cuba, Venezuela, Nicaragua e Bolivia, alleati naturali dell’ex Unione sovietica, supportano la guerra contro l’Ucraina. Ma anche i presidenti di Brasile e Messico sono contrari a isolare la Russia.


In Occidente si continua a ripetere che la Russia, con la guerra in Ucraina, è isolata come mai; ma a guardare il mappamondo questo mantra si sta rivelando falso. Oltre a Cina, India e a gran parte di Africa e Asia c’è un continente che, eccezion fatta per la piccola Guyana francese, appare compatto nell’ignorare quanto sta accadendo in Europa: ovvero l’America latina. Dal Messico alla Patagonia, nessun Paese della regione ha sinora imposto sanzioni alla Russia, né tantomeno ha intenzione di farlo.

Forse a causa di una disabitudine alla guerra visto che, a parte il conflitto per le Falklands tra Argentina e Gran Bretagna (1982), l’America latina ha vissuto gli ultimi 148 anni in pace. Schierati apertamente con Vladimir Putin sono Cuba, Venezuela, Nicaragua e Bolivia, i quattro governi autoritari, da anni alleati naturali della Russia, con cui condividono forniture militari, intelligence e collaborazione nei settori strategici dell’esplorazione spaziale e dell’energia nucleare.

A Caracas e Managua sono addirittura presenti in forza, con oltre 400 effettivi, sia membri del FSB, l’agenzia russa addetta al controspionaggio, sia i mercenari del famigerato Gruppo Wagner, che oggi si dice combattano anche sul fronte ucraino. Avendo bisogno di rompere l’isolamento internazionale causato dalle sanzioni statunitensi ed europee, il nicaraguense Daniel Ortega, il venezuelano Nicolás Maduro e il cubano Miguel Díaz-Canel hanno nel presidente russo un vero salvagente sotto forma di aiuti militari ed economici.

Ma anche una protezione garantita alle Nazioni Unite da Mosca, che blocca ogni voto contro di loro in sede di Consiglio di sicurezza ogni qual volta la comunità internazionale ne denuncia le violazioni dei diritti umani. Questo spiega perché, nonostante i crimini di guerra commessi dalle forze armate russe che emergono in Ucraina, i tre dittatori di Nicaragua, Venezuela e Cuba continuino a rilasciare dichiarazioni smaccatamente pro Mosca.

Alla vigilia di Pasqua, Maduro ha addirittura definito Putin «un grande leader dell’umanità» durante un summit anti-fascista a Caracas, a cui hanno partecipato anche il leader del Partito comunista cileno, Daniel Jadue, alleato di ferro del presidente Gabriel Boric, e Juan Carlos Monedero, il fondatore dell’iberico Podemos. Ironicamente, il delfino di Hugo Chávez ha approfittato dell’occasione anche per lamentarsi della «censura occidentale» che ha subìto su uno dei suoi cellulari, quello che usava per consultare Russia Today e Sputnik, entrambi bloccati da YouTube e Facebook. «Cosa fa l’Europa, che alza la voce per i diritti umani, chiudendo media che non sono servi di Washington? Fa tacere le ragioni del Cremlino, non cerca la diplomazia e alimenta i suoi media con una barbarie senza pari» gli ha fatto eco Monedero.

Da parte sua Jadue, fondamentale perché il governo del presidente cileno Boric abbia una maggioranza in Parlamento, ha addirittura lodato i generali di Maduro, sotto inchiesta per crimini contro l’umanità, esecuzioni, torture, stupri, sparizioni e detenzioni arbitrarie da parte della Corte penale internazionale. Vaneggiamenti replicati anche dall’ex presidente boliviano Evo Morales, che pur non guidando più il suo Paese rimane il deus ex machina della politica estera ed economica a La Paz. Per lui, che presiede il poderoso sindacato dei cocaleros, i produttori di coca, «sostenere che la Russia ha invaso l’Ucraina è del tutto sbagliato, gli interventisti sono gli Stati Uniti attraverso la Nato» aggiungendo poi che «i media che rispondono all’imperialismo e al capitalismo sono peggio dell’atomica».

Non bastasse, Morales ha chiesto qualche giorno fa sul suo profilo Twitter una «mobilitazione internazionale» contro l’Occidente «per fermare l’espansionismo interventista yankee perché l’egemonia imperialista e le armi mettono a rischio la pace nel mondo». Per i media della dittatura cubana, che considera Putin «un fratello di sangue», la guerra in Ucraina addirittura non esiste. Il 24 febbraio scorso, quando tutto il mondo si disperava per l’inizio dell’invasione russa, all’Avana il quotidiano Granma, principale organo di comunicazione del Partito comunista titolava Cuba e Russia, due popoli più vicini che difendono la pace.

Questo era solo il prologo paradossale di ciò che è accaduto poi nelle settimane successive, sino a oggi: ovvero il presentare ogni giorno gli Stati Uniti e l’Unione europea come i principali responsabili dello scontro e l’Ucraina come un regime «nazista», colpevole della morte dei suoi cittadini. Mosca è invece naturalmente descritta dal regime dell’Avana come «una vittima» che è stata costretta a iniziare «un’operazione militare speciale» esclusivamente per difendersi. Anche la propaganda sandinista, in Nicaragua, copia alla lettera le dichiarazioni del Cremlino, con tesi uguali a quelle propugnate a Cuba.

Più sorprendenti, perché non si tratta di dittature appiattite sulle posizioni di Mosca, sono però le posizioni dei tre principali Paesi latinoamericani, cioè Brasile, Messico e Argentina, il primo governato dalla destra e gli altri due dalla sinistra, giusto per sottolineare come la vicinanza di questa parte di mondo a Putin non sia solo una questione ideologica. Del resto, il fatto che il regime russo non abbia incluso nessun Paese latinoamericano nella lista dei «Paesi ostili» lo dimostra.

Non a caso, lo scorso 7 aprile, sia il Messico del presidente di sinistra Andrés Manuel López Obrador sia il Brasile del suo omologo di destra Jair Bolsonaro non hanno votato per l’espulsione della Russia dal Consiglio dei diritti umani dell’Onu, perché «contrari a isolare la Russia». In Messico, oltre alla posizione di «ferma neutralità» ribadita di continuo da López Obrador, la spiegazione potrebbe anche essere collegata a quanto dichiarato a fine marzo dal comandante del Comando del Nord degli Stati Uniti, Glen VanHerck, in un’audizione del Comitato per i servizi armati del Senato degli Stati Uniti: «L’agenzia di intelligence militare straniera della Federazione russa, nota con la sigla Gru» ha denunciato il generale «oggi ha più funzionari dispiegati in Messico che in ogni altro Paese del mondo e da lí le spie russe possono minacciare la sicurezza nazionale degli Stati Uniti».

Il presidente messicano ha ribattuto, piccato, che il suo Paese «non è una colonia di nessuno» e «non ha inviato spie all’estero», ma queste erano cose che VanHerck non ha mai detto. Non bastasse, un gruppo di deputati del partito di López Obrador, Morena, ha addirittura creato, lo scorso 24 marzo, un gruppo di «amicizia russo-messicano» che si è dichiarato «pronto a fare tutto il possibile per aumentare l’amicizia, le relazioni e la cooperazione tra Messico e Russia in ogni aspetto del mondo e della vita».

Finora il Messico si è rifiutato di inviare aiuti all’Ucraina e, tanto meno, di imporre sanzioni alla Russia. A rafforzare la denuncia di VanHerck, c’è l’enorme palazzo che ospita l’ambasciata russa a Città del Messico, di gran lunga fuori scala rispetto ai limitatissimi scambi commerciali, turistici e commerciali tra i due Stati e che, da tempo immemore, è ritenuto un centro di spie. Del resto Lee Harvey Oswald, l’uomo armato nell’assassinio nel 1963 del presidente Kennedy, fece visite mai spiegate alle ambasciate sovietica e cubana a Città del Messico poco prima dell’omicidio a Dallas.

Stupisce anche la posizione del Brasile, con il presidente Bolsonaro che, come quello messicano, sin dall’inizio del conflitto ha dichiarato che quella del suo Paese «è e sarà una posizione di neutralità», attirandosi le ire dell’amministrazione Usa. A preoccupare il leader brasiliano è soprattutto «l’impatto delle sanzioni sulla Russia sui fertilizzanti», indispensabili per l’agrobusiness e che Mosca fornisce in quantità al Brasile. «Abbiamo già abbastanza problemi seri qui e non voglio importarne altri» ha chiarito a metà aprile Bolsonaro, escludendo qualsiasi sanzione nei confronti di Putin. Una posizione analoga a quella dell’Argentina kirchnerista, che di recente ha addirittura siglato un accordo intergovernativo sulla cooperazione nell’uso dell’energia che prevede la costruzione di nuove centrali nucleari.

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