Home » Attualità » Politica » A chi giovano (veramente) i referendum

A chi giovano (veramente) i referendum

A chi giovano (veramente) i referendum

Il Partito Democratico si spacca sui referendum della Cgil: Elly Schlein perde consensi interni, mentre Maurizio Landini emerge come possibile federatore della sinistra. Riformisti in rivolta, Conte si defila, e l’opposizione resta divisa a pochi giorni dal voto.

Forse non l’hanno vista arrivare, ma adesso vorrebbero vederla ripartire. A Elly Schlein è riuscita un’impresa epica: spaccare il Partito democratico, dividere la coalizione, incassare un’annunciata sconfitta, ridare fiato all’affannato Giuseppi. Eccoci qui, dunque. Ormai manca poco. Tra l’8 e il 9 giugno si voterà per i referendum sul lavoro, voluti dalla Cgil. La segretaria ha aderito entusiasticamente, tentando di trascinare nell’agone tutto il Pd. All’ordine di scuderia, i riottosi riformisti rispondono però con una tonante pernacchia. Pina Picierno, per esempio. È il suo momento: vicepresidente dell’Europarlamento, già sobillatrice della rivolta sul riarmo in Ucraina. «Siamo in fibrillazione» aveva eufemisticamente ammesso da Bruxelles. Adesso informa: «Credo che lo strumento referendario non sia il più adatto a risolvere il rapporto tra produzione e lavoratori». Concetto brutalmente reiterato in una missiva, firmata assieme a un’arcigna ridotta: Giorgio Gori, Lorenzo Guerini, Marianna Madia, Lia Quartapelle e Filippo Sensi. «Non voteremo i quesiti sul jobs act» scrivono. «La condizione del lavoro in Italia dipende dal futuro, non da una sterile resa dei conti con il passato». Personificato da Matteo Renzi, a cui i riottosi erano devoti, allora segretario del Pd: nel 2014 fu proprio il suo governo a volere quella riforma. 

Insomma, Elly rimarca distanza. Per isolare i poco allineati. O in mancanza di migliori alternative. Del resto, il movimentismo da centro sociale non ha mai incantato nessuno nel partito, fedelissimi a parte. La vaghezza schleineiana, dalla guerra all’economia, costringe la segretaria a mutuare il programma della Cgil. Basta dare un’occhiata alle proposte di legge presentate come prima firmataria. Appena tre. La prima, a febbraio 2024, sul sostegno finanziario al sistema sanitario. La seconda, un anno dopo, per aumentare gli aiuti a maternità e paternità. Infine, la terza: l’istituzione dell’Agenzia per il cinema e l’audiovisivo, non esattamente una priorità. Insomma, nonostante i due abbondanti anni alla guida del Nazareno, la segretaria arranca. Rimane soprattutto l’antagonista degli esordi: diritti civili, populismo progressista, ideologia al potere. Vaghi intenti che scaldano solo i pretoriani arcobaleno. Nessuno, comunque, scalpita per la sua successione. Giorgia Meloni, la premier, sembra al momento imbattibile. La maggioranza, certo, fibrilla: Lega e Forza Italia, per dirla garbatamente, non si amano. Dall’altra parte, però, una coalizione non c’è nemmeno. Elly, già «testardamente unitaria», è sempre più isolata. Vedi Giuseppe Conte. Il capo del Movimento è furbescamente tiepidino sui referendum. Spera che la disfatta travolga Elly. A quel punto, potrebbe persino tornare a sperare in un futuro più luminoso. 

I supposti alleati sono brancaleoneschi come sempre. Si voterà anche sull’ipotesi di dimezzare i tempi necessari agli extracomunitari per ottenere la cittadinanza. Pd e Alleanza Verdi-Sinistra chiedono di votare sì a tutti i quesiti. I Cinque stelle ne appoggiano quattro. Più Europa solo tre. Italia Viva appena uno. E pensare che tra Elly e Matteo, la scorsa estate, sembrava scoppiato l’idillio. Lui aveva indossato speranzoso gli scarpini da calcio, per la partita del cuore tra politici e cantanti. L’assist in fuorigioco alla leader del Pd era stato seguito da un caloroso abbraccio. Sembrava fatta: nel «campo largo» ci sarebbe stato posto per l’aspirante «centrino». Invece, Elly ha deciso di rimanere dov’era: in fondo a sinistra. Assieme al compagno Maurizio. Immemore della batosta del Pci al referendum sul taglio della scala mobile, che adeguava i salari all’inflazione. Il referendum fu voluto dai comunisti e dalla Cgil. Nel giugno 1985 votarono 35 milioni di persone. Vinse il governo, guidato da Bettino Craxi. Fu la peggior sconfitta di sempre per partito e sindacato.

Stavolta la maggioranza invita a snobbare la tornata, per scansare il quorum: la metà degli elettori. L’affluenza, annunciano i sondaggi, non dovrebbe superare il 38 per cento. Così, promotori e sostenitori accusano media e governo di oscurantismo. «Sono temi scomodi» sentenzia Landini. O forse solo antistorici. Comunque: i referendum non dilaniano solo il Pd. «Si continua a guardare al futuro con lo specchietto retrovisore, però il mondo del lavoro è cambiato e servono tutele nuove» eccepisce Daniela Fumarola, segretaria generale della Cisl. Dunque, si asterrà. L’interessatissimo Renzi dettaglia: «Il dramma non sono i licenziamenti, ma i salari bassi: il mondo va a pezzi e stiamo a discutere di una cosa di dieci anni fa». Concorda persino l’arcinemico: Carlo Calenda. Anche Azione voterà sì solo sulla cittadinanza. Intanto, stringe accordi con il centrodestra alle prossime regionali e s’allontana dalla deriva massimalista del Nazareno. 

«I quesiti sul lavoro sono un pezzo della campagna elettorale di Landini per diventare il leader del centrosinistra» maramaldeggia quindi il Churchill dei Parioli. In effetti, nessuno ha mai politicizzato il sindacato come lui. L’occupazione continua a crescere? Male, anzi malissimo. Assieme alla Uil, la Cgil ha già proclamato tre scioperi generali in due anni. Un record assoluto. Puntellato ora dalla tornata referendaria. Del resto, dopo anni di governi tecnici o istituzionali, il potere è saldamente in mano al centrodestra. «Siamo a una svolta autoritaria e antisociale» assalta il segretario. Mentre l’opposizione continua a dividersi, il sindacato resta l’unico baluardo. Lui organizza la rivolta in piazza. Gli altri cincischiano in parlamento. 

Solo il partito della Cgil è destinato a trionfare. Avrà comunque portato milioni di persone a votare. Così, Landini potrebbe diventare il mister Wolf della sinistra, colui che risolve i problemi. Anzi il papa rosso, l’unico in grado di unire. A conferma dell’ambizioso intento, ha appena pubblicato la sua autobiografia. Il titolo è già un manifesto politico: «Un’altra storia». A riprova, non si decanta solo la sua vocazione sindacale. Ma pure l’afflato ecumenico, indispensabile per chi voglia tentare grandi imprese: «Ho imparato come il Vangelo e la Costituzione possono stare insieme nell’azione di ogni giorno. Laici e cattolici possono avere valori comuni forti e condivisi: la centralità della persona e la coerenza nei comportamenti». 

Il pio Landini aggiunge: «Ho avuto la fortuna di conoscere e dialogare con la comunità di Sant’Egidio». Ovverosia: l’influentissimo movimento fondato da Andrea Riccardi, già consigliori di Papa Francesco. Per dire l’ultima: nei giorni del conclave, s’è attovagliato persino con Emmanuel Macron, il presidente francese. Del resto, a dicembre 2022, Landini aveva incontrato Bergoglio. Udienza storica. Per la prima volta, un pontefice riceveva ufficialmente la storica confederazione, con notevole entusiasmo tra l’altro: «Non c’è sindacato senza lavoratori e non ci sono lavoratori liberi senza sindacato». Pane, pace e lavoro. Ma Landini è in splendidi rapporti anche con il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei. D’altronde, meglio lui di Elly: la mangiapreti arcobaleno. 

«Io non ho bisogno di entrare in politica» scrive il leader della Cgil nel libro. In effetti, sembra già oltre. Non si accontenterà di una poltroncina in parlamento come Sergio Cofferati e Susanna Camusso, ben più concilianti predecessori. È stato riconfermato segretario a marzo 2023, per quattro anni. Il suo mandato scadrà qualche mese prima delle elezioni, quindi. Tempistica superba. Sia Schlein sia Conte fremono. Vogliono sfidare Meloni. Eppure, per tentare la disperata impresa, Pd e Cinque stelle dovrebbero allearsi. La più solida convergenza, però, resta sulle tonitruanti iniziative della Cgil. Solo Maurizio, il papa rosso, potrebbe portare concordia. Che sia fatta la sua battagliera volontà.

© Riproduzione Riservata