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Sì, festeggiamo chi aiuta gli altri

Sì, festeggiamo chi aiuta gli altri

In Italia 7 milioni di persone fanno volontariato: un giacimento di umanità cresciuto negli anni. Da sostenere e incoraggiare.


Circola in Italia l’idea di fare del 2022 l’anno del volontariato. Ne ha parlato anche, in una lettera al Corriere della sera, Gianni Mereghetti, presidente dell’associazione chiamata Portofranco, un centro di aiuto allo studio per studenti delle medie superiori. Ogni anno scolastico ne usufruiscono più di 1.200 studenti, di cui 300 stranieri. Tutti i servizi offerti sono gratuiti e consistono nell’aiuto allo svolgimento dei compiti, nel recupero dei debiti formativi e delle conoscenze disciplinari per un totale intorno alle 15 mila ore di lezione all’anno. Un lavoro incredibile se pensiamo che è svolto da 300 volontari, tra docenti in attività e in pensione, professionisti e studenti universitari. Riprendo le parole di questo operatore del volontariato che ne spiegano le motivazioni. «Il volontariato è un segno di speranza in un mondo che sta riprendendo lentamente, un segno che vale per ogni persona perché indica quanto faccia parte del vivere fare del bene a chi ha bisogno. Chi fa del volontariato, qualsiasi tipo, ha colto una delle sfide della pandemia: avere cura degli altri e la consapevolezza che facendo del bene si cresce in umanità».

Parole vere e prive di ogni retorica, perché andando all’essenza la retorica si scioglie come neve al sole. Sono circa 7 milioni gli italiani che decidono di affiancare azioni gratuite a supporto degli altri, della collettività, oltre agli impegni quotidiani. A partire dalla crisi 2008, e al conseguente raddoppio delle persone in stato di povertà assoluta, c’è stato un aumento dei volontari in misura notevole. Per la verità, il fenomeno ha radici che affondano nella storia del nostro Paese a partire da molti secoli fa, e nel 1900 il fenomeno si è sviluppato in modo impressionante. Chi fa volontariato fa qualcosa che purtroppo dobbiamo chiamare anche una «supplenza ai doveri dello Stato».

Lo ha riconosciuto anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella alla cerimonia inaugurale, nel 2020, di Padova capitale europea del volontariato: «I volontari» ha dichiarato «sono corpi intermedi della Repubblica pronti all’intervento di urgenza, impegnati nelle ricostruzioni delle lacerazioni patite dalle popolazioni, delle ferite presenti nel tessuto sociale, alle quali non sempre le istituzioni riescono a porre rimedio, nella gestione e nel perseguimento di obiettivi di sostenibilità ambientale». È proprio così. Dei 7 milioni di italiani che fanno volontariato, secondo una ricerca guidata dal professor Riccardo Guidi dell’Università di Pisa, con Ksenija Fonovic e Tania Cappadozzi, circa 4 milioni lo svolgono attraverso una o più organizzazioni, ma c’è anche un’altra altra faccia della medaglia: cioè 3 milioni di persone cha lo fanno individualmente, informalmente, senza alcuna intermediazione organizzativa. Si prendono cura degli altri e decidono di farlo da sole.

È un fenomeno di altissimo valore sociale, che rivela un forte senso di umanità e di compassione nei confronti degli altri, nel rispetto dell’origine latina «compassio» che non vuol dire compatire nel suo senso negativo, quasi spregiativo, ma che esprime un sentimento di pietà verso chi è infelice, verso i suoi dolori. Come diceva Giovanni Boccaccio, «umana cosa è aver compassione degli afflitti». È bello sapere di questi milioni di nostri concittadini, perché sono un giacimento di umanità. E solo Dio sa quanto ce ne sia bisogno, non solo in Italia ma ovunque.

Chi sono coloro che fanno volontariato? Sempre secondo la ricerca citata, hanno tra i 40 e il 60 anni; quindi, non sono persone che non hanno niente da fare, anzi, hanno già molto da fare e aggiungono a questo molto anche l’attività di volontariato. Non vuol dire che i giovani e i pensionati non ne facciano, ma spesso, nel caso di questi ultimi, il volontariato è anche un modo di uscire dalla propria solitudine e sentirsi ancora utili; ciò non ne diminuisce il valore, rivela un altro aspetto della medesima umanità. Nei giovani, viceversa, oltre all’entusiasmo classico di quell’età, terminati gli studi, vedono in esso anche una possibile via per l’ingresso nel mondo del lavoro; e neppure questo, a nostro avviso, ne diminuisce il valore.

Un’altra caratteristica molto interessante dei volontari è che, come aggiunge il professor Guidi, «il volontariato non è roba da ricchi, se per ricchi intendiamo il possedere risorse materiali e denaro, semmai è roba da persone con un livello culturale discreto. Ciò non esclude che venga fatto anche da persone di istruzione inferiore». Per tutti questi motivi dedicare il prossimo anno al volontariato potrebbe rappresentare un riconoscimento dovuto, e un incentivo per molti nostri concittadini a iniziare anche loro questa esperienza. n © riproduzione riservata

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