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Nel teatro della vita di Costanzo

Nel teatro della vita di Costanzo

«Sono “nato” in televisione polemizzando con lui» racconta il critico d’arte da sempre legato al giornalista-inventore del talk italiano. «È stato l’autore che andava in cerca dei suoi personaggi nella realtà». E che, senza giudicarlo a priori, ha portato il mondo dentro il salotto degli italiani.


Il salotto è chiuso, ma non perché Maurizio Costanzo è morto. Il fatto è che è finita un’epoca, si è perso l’entusiasmo, siamo diventati vecchi. Prima il salotto di Costanzo era il nostro. Una persona presente in piazza del Popolo ai funerali ha dichiarato: noi invitavamo ogni sera Costanzo nel nostro salotto. Dunque era lui l’ospite. Noi stavamo seduti in casa sua. Il miracolo di Costanzo è l’avere eliminato il diaframma tra la televisione e la realtà. Io, per i primi 10 anni con lui, ho abitato nelle case degli italiani, e con me tante persone e personaggi che sono diventati familiari come parenti e amici. Tutti appartenenti alla comunità: «Ci vediamo da Costanzo».

A partire dalla metà degli anni Ottanta la sua trasmissione più riuscita, il Maurizio Costanzo Show determinò una condizione psicologica assolutamente sconosciuta. Un’assemblea permanente che si riuniva ogni sera per metterci davanti al mondo come soggetti attivi, non passivi. Diversamente dal telegiornale che racconta quello che è accaduto, il Maurizio Costanzo Show era il luogo dei commenti e dei confronti, il vero parlamento, nella decadenza di quello ufficiale, dove gli italiani potevano partecipare, discutere, attraverso i loro rappresentanti invitati da Costanzo, non per la loro identità politica ma per la forza e la diversità delle loro idee, e si apriva una discussione coinvolgente su qualunque argomento di interesse collettivo. Un rito. Una convocazione. Una celebrazione. Quello che accadeva in quel teatro si rifletteva nel salotto di casa di quanti stavano davanti al televisore, partecipando a questo rito collettivo e quotidiano. Anche la fortuna politica di Berlusconi discende da Costanzo, che pure testimoniava e rappresentava posizioni diverse, pronto a ogni battaglia civile sulla scia di Pannella, il politico più anomalo del nostro sistema, capace di vincere battaglie fondamentali contro i partiti ma senza minarne il consenso radicato. Essere radicali, e con idee diverse. Lo era Costanzo, lo ero io.

Il Maurizio Costanzo Show era il termometro di un mondo che stava cambiando. Con Costanzo la tv è diventata elemento, strumento centrale del funzionamento della democrazia. Il luogo delle idee e delle discussioni. La televisione precedente era lontana, era spettacolo, era intrattenimento. Distanti, irraggiungibili sono tutti i personaggi conosciuti: Corrado, Mike Bongiorno, Pippo Baudo, Raffaella Carrà. A noi era consentito assistere, non partecipare. Lo spettatore prima di Costanzo era inevitabilmente passivo. Lo spettatore del Maurizio Costanzo Show era attivo, anche se non era presente. Avrebbe comunque trovato qualcuno che ne interpretava e rappresentava il pensiero. È il sistema dei talk show che sono stati generati dall’intuizione di Costanzo. E anche se lui da tempo se ne era allontanato, celebrando quarant’anni di televisione, ritirandosi (senza convinzione, ma solennemente, con le lodi di tutti) e poi risorgendo, e poi commemorandosi, la sua idea aveva trovato altre gambe moltiplicandosi per innumerevoli salotti.

La morte di Costanzo è un accidente, quello che non può morire è il suo metodo che ha trovato nuovi interpreti, e in particolare Maria De Filippi che non è la vedova o l’erede di Costanzo ma Costanzo stesso, in un diverso contesto e con un’immedesimazione in una realtà popolare, senza ideali, senza progetti, senza battaglie da vincere. Non affrontano massimi sistemi ma documentano piccole vite. Maurizio Costanzo e Maria De Filippi sono due autori in cerca di personaggi, non nella loro testa ma nella realtà. È così hanno fatto e fanno il loro teatro, un teatro della vita. Per me Costanzo è stato un padre artistico: nel senso che io sono Sgarbi, e questo è evidente a tutti, ma sono nato in televisione nel 1987, polemizzando con lui. Da quella volta poi non mi ha invitato per due anni, fino a quando nell’89 ho cominciato a far saltare il banco: prima con una preside in uno scambio irresistibile di «asino/stronza», poi con l’assessora alla vivibilità di Palermo, che ho fatto piangere, poi con Federico Zeri di cui ho detto: «Lo voglio vedere morto», infrangendo le regole della convenienza, ma interpretando il sentire (e il parlare) comune. L’impressione fu grande, nella spontaneità e imprevedibilità delle situazioni; e nacque il personaggio.

Ma nacque anche, con me e con altri, in diversi ruoli, non attribuiti ma rivelati da Costanzo, un teatro della vita. Da un lato la cronaca giornalistica perché lui era un giornalista, dall’altro lo spettacolo, per cui la vita, spesso di sconosciuti, diventava teatro. Io sono la dimostrazione che la televisione è fatta di imprevisto, è l’opposto di una sceneggiatura, e lui ha inventato questo mondo. È stato un grande impresario. La televisione è questo, è come un incidente stradale. Lui se ne va e hai Myrta Merlino, hai Nicola Porro, hai Lilli Gruber, eredi di un modello che hanno riprodotto il suo metodo. Sono, siamo tutti figli suoi, io sono un figlio amato anche sul piano personale, ma lui sapeva che non mi aveva creato lui, lui aveva dato a me, come ad altri, un palcoscenico. Chi arrivava portava, a diversi livelli, le sue capacità nel teatro che lui ti offriva. E lui si entusiasmava. Non era lui a creare il personaggio.

L’ospite, spesso sconosciuto, o con diverse gradazioni di notorietà, si rivelava, e aveva da parte di Costanzo impresario la generosità di un luogo in cui esibirsi davanti a tutti gli italiani. Io gli volevo bene e ci sentivamo con una certa frequenza, ma solo per incontrarci in televisione. La sua realtà vera era la televisione. Non ha mai perso tempo a vivere, non l’hai mai trovato in un ristorante, in un museo, al cinema. Lui viveva dentro lo schermo, che aveva fatto diventare vita. Già la televisione è riproduzione della vita, con lui era vita senza riproduzione. Ha creato un’estetica nuova, e quindi ha dato alla televisione un significato e una dimensione umana che prima non aveva. Non coltivava rapporti privati. Quando andavo a trovarlo, parlavamo (genericamente) di quello che avremmo detto, non si poteva limitare la spontaneità. Il «privato» con Costanzo era un quarto d’ora prima della trasmissione, non c’era cena o dopo cena. La vita era lì, a teatro. Il Teatro Parioli era il suo mondo, e il mondo.

Nel momento più glorioso, di massimo successo, arrivammo io e la De Filippi, capace, asciutta e senza fronzoli, concreta. Lei apparteneva alla sfera sacra dell’intimità, oltre la stima. Mentre io andavo a casa, lei rimaneva, e nel rimanere, ha stabilito una sfera riservatissima, invalicabile, di affetti. E i sentimenti degli altri ha portato, con lo stile di Costanzo, davanti al mondo. Io sono di quei tempi. Nel suo rigore, Maria mi ha sempre sentito come un complice. Come me, confidava nell’immortalità di Maurizio, che poi siamo noi. L’immortalità di Costanzo siamo noi.

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