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Sulle strade che raccontano un’Italia perduta

Sulle strade che raccontano un’Italia perduta

La Cassia sulle colline dolci del Senese, certe curve «a picco» dell’Aurelia, i pini a fare da corona all’Appia verso Terracina… Un testo originale e affascinante per scoprire le storiche vie di comunicazione del Paese. Dove si apprezza l’unicità del nostro paesaggio. E l’importanza di preservarlo.

Non so se fu Antonio Delfini o Cesare Garboli, suo innamorato esegeta, a parlare delle strade bianche di un’Italia perduta: un’immagine indimenticabile. L’Autostrada del sole, che cambiò la nostra percezione delle distanze, fu iniziata nel 1956 e inaugurata nel 1964, tra i miei 4 e i miei 12 anni. Fu il compimento dell’«Unità d’Italia», cancellando le differenze tra una regione e l’altra, per un solo nastro che univa capoluoghi e città come fece la televisione con i dialetti.

Esce ora, sulla materia il bel libro Strade storiche. Monumenti da salvare di Oreste Rutigliano (Baldini+Castoldi). Nella introduzione osserva Enzo Siviero: «Se l’Ottocento, dalla seconda metà in poi, è caratterizzato dall’avvento della ferrovia, il Novecento sarà ricordato per l’impetuoso irrompere delle automobili e il XXI secolo per la spettacolare diffusione dei mezzi aerei e per l’incredibile sviluppo dell’Alta Velocità. La modernità prima e la contemporaneità oggi, rappresentano dunque il motore sociale per un cambio di paradigma della mobilità. È così che i trasporti di massa hanno integralmente modificato il nostro modo di vivere».

Ne è consapevole Oreste Rutigliano, automobilista convinto, che denuncia gli inutili errori di chi ha distrutto e distrugge per ignoranza. Il tema è affrontato con amarezza e poesia, e con il tono struggente di chi ha visto l’Italia perduta. Quello che Rutigliano racconta sulle strade storiche d’Italia, come monumenti da salvare, resta intatta memoria in film come Il sorpasso di Dino Risi, da lui giustamente rievocato. Ed è singolare che il libro inizi, dopo un sommesso elogio dell’automobile, con il riferimento a una strada e a luoghi che anche a me sono cari, a minacce che fortunatamente non ebbero esito.

Rutigliano, infatti, inizia a parlare della super Cassia, progetto Anas, per raddoppiare la strada consolare tra il bivio di Monterosi e Viterbo, compromettendo l’integrità del paesaggio di Sutri e di Vetralla. Oggi possiamo compiacerci dello scampato pericolo; ma allora Italia Nostra scrisse un lungo e struggente appello: «C’era una volta l’Italia intatta, ove dominavano la campagna e il paesaggio. E c’erano anche le strade, che già allora ti conducevano ovunque alla scoperta del Paese. Erano strette e tortuose, lente e faticose: una meta raggiungibile oggi in un’ora, non più di 40-50 anni fa (oggi dobbiamo correggere in non più di 60-70 anni fa) richiedeva un tempo di due o tre volte superiore. Allora, però, le strade erano tutte “belle” e si “sposavano” al paesaggio… Quasi d’improvviso, questa rete stradale è diventata insufficiente, e incapace di assorbire la montante motorizzazione. È iniziata la corsa all’adeguamento e all’allargamento della rete stradale esistente e nel contempo alla costruzione di nuove strade e autostrade. Il tutto con il solito metodo italiano dell’emergenza e dell’improvvisazione».

Un testo pieno di nostalgia, ma la provvidenza ha salvato l’integrità di quei luoghi e di quelle strade, che portano e allontanano da Sutri, che altrove sono state irrimediabilmente perdute. La parola tabù è «adeguamento»; e Rutigliano evoca , nella difesa della Cassia, la via Francigena, e ci ricorda l’integrità della vecchia Aurelia. Ringrazia il cielo di ritrovare, com’era nella sua infanzia, la Cassia tra Siena e Bolsena, e si commuove vedendo l’Appia tra Cisterna e Terracina, fiancheggiata da alberi altrove abbattuti, e che pur non sono «a norma» (intollerabile norma). Conosco bene il suo tormento perché, nel tempo in cui fui sindaco di San Severino Marche, or sono trent’anni, l’obiettivo di tutte le forze politiche era la realizzazione di un rettifilo che, come per una necessità irrinunciabile, riducesse il tempo di percorrenza tra la mia città e Tolentino, unite da una strada tortuosa tra le colline. Una strada provinciale di indimenticabile bellezza, che era stata il paesaggio del cuore dello scrittore Giorgio Zampa. Non c’era particolare amore tra le due città, e di certo non tanto che motivasse l’urgenza di ridurne la distanza di dieci minuti. Ma la nuova strada veloce era denominata «Bretella»: bastava il nome ad accendere la mia battaglia per impedirne la realizzazione. Così fu. Oggi una conveniente lentezza mantiene le distanze, e limita la circolazione, tra Tolentino e San Severino.

L’amore degli amministratori per le bretelle è una forma di pigrizia. L’ansia immotivata è accelerazione del mondo per arrivare prima, per non vedere, non godere. È il tema del libro di Rutigliano che immagina un mondo che abbia piena consapevolezza di come una strada rotabile sia un bene storico paesaggistico. E lo dimostra con esempi e argomenti. Anche la strada è paesaggio, e consente di vedere i paesaggi che percorre. La consapevolezza che vi fu negli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta sembra oggi perduta. Bello che Rutigliano affermi: «Il paesaggio s’impara».

Eppure mai come oggi il paesaggio, tutelato della Costituzione, è in pericolo. C’è ansia per l’ambiente, per il clima, in una generica e indistinta difesa del pianeta, concetto astratto e troppo vasto, «campo largo», mentre non c’è attenzione per il paesaggio vicino, minacciato da quelli stessi amministratori locali che dovrebbero difenderlo. Ecco allora le mostruose devastazioni di ettari di terra agricola con il fotovoltaico, e i crinali delle colline più delicate, luoghi poetici e remoti, con l’innalzarsi brutale di pale eoliche. Il consiglio dei ministri, nel luglio scorso, ne ha autorizzato sei in Puglia, terra devastata, e tre in Basilicata. Lentamente si distrugge il patrimonio tutelato solo dalla memoria.

Poi si arriva allo stordimento. Troppo lontana è ancora la consapevolezza che è arbitraria la distinzione tra paesaggi minori e paesaggi straordinari. Spesso ciò che è minore è arcano, intatto, numinoso. Le strade che attraversano quei paesaggi appartengono a un tempo lento, hanno spesso più di 70 anni: la loro storicità è, per Rutigliano, un dato di fatto e di diritto. Ciò determina, nell’ansia diffusa di modernizzazione e delle ragioni di sicurezza, un pericoloso conflitto fra il Codice dei beni culturali e il Codice della trada. Così Rutigliano per difendere quegli storici e poetici percorsi, che lo riportano ai suoi viaggi da bambino con i genitori e da grande con l’ansia di vedere cancellati quei percorsi della memoria, ci propone un inventario delle strade rotabili in Italia dall’Unità al Secondo dopoguerra. È forse la prima volta che le strade vengono considerate monumenti.

Sulle strade che raccontano un’Italia perduta
Puglia: la litoranea Otranto-Leuca (Oreste Rutigliano)
Sulle strade che raccontano un’Italia perduta
La SS7 Appia, tra Cisterna e Terracina. (Oreste Rutigliano)
Sulle strade che raccontano un’Italia perduta
SS 17 L’Aquila-Foggia. Segnaletica invasiva di fronte alla chiesa di S.Maria delle Grazie sulla piana di Navelli. (Oreste Rutigliano)
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