L’ardimento fu nel volo. Sulla scia della trasvolata atlantica di Italo Balbo si diffuse il motto: «Chi vola vale. Chi vale vola. Chi non vola e non vale è un vile». E così anche il punto di vista cambiò: passò dalla terra al cielo. In un articolo del 1929 Filippo Tommaso Marinetti annuncia il manifesto dell’aereopittura che sarà firmato da otto futuristi nel 1931. Nello spirito del primo manifesto c’è già l’idea che il fascismo farà propria, del coraggio, dell’audacia, della ribellione, elementi essenziali della poesia.
E se anche non si fa riferimento ai voli aerei, la tecnologia e il movimento sono evocati con il riferimento all’automobile: «Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un’automobile da corsa, col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia… Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita». Anche nella conclusione arriva un riferimento diretto al volo: «Noi canteremo… i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, le locomotive dall’ampio petto che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta».



L’inizio sistematico, nel 1931, di questa esperienza estetica coincide con il momento di massima esaltazione del fascismo grazie alle imprese aviatorie di Italo Balbo. È proprio la prima trasvolata atlantica del 1930 che ha acceso l’entusiasmo e trasmesso il brivido di una concezione creativa nuova. Quella emozione travolgente si traduce in immagine attraverso la visione di alcuni artisti che rovesciano dalla terra al cielo quello spazio figurativo che Pierre Francastel aveva classificato, per progredienti evoluzioni, nella parabola «dal Rinascimento al cubismo». Ma erano, appunto, visioni terrestri. A partire dal 1930 si fanno celesti. Cambia il punto di vista, cambia l’orizzonte. La veduta è dall’alto. Si va oltre il Cubismo e oltre il Futurismo.
Nel Medioevo, in una prospettiva non umana bensì divina, si era manifestata la veduta a cavaliere, sopra il paesaggio, in una distanza siderale. Ma mai il sopra si era fatto sotto e viceversa. L’uomo ha raggiunto e dominato il cielo. Questo spiega anche la fortuna, fino alla vertigini spirituali del Piccolo principe di Antoine de Saint-Exupery. Il cielo è conquistato. Volo di notte, al passo con i tempi, è del 1931; e i primi aerodipinti sono più o meno dello stesso tempo.
La sapiente ricostruzione di Massimo Duranti per la mostra Dall’alto Aeropittura futurista al Labirinto della Masone, vicino a Fontanellato, attribuisce particolare rilievo e il primato a Mario Somenzi, figura lungamente marginale nell’Olimpo degli aeropittori: «Marinetti scrive nella premessa del manifesto del 1931: “La convivenza in carlinga col pittore Dottori, intento a prendere appunti dall’alto, ha suscitato in un altro artista, Mino Somenzi, la concezione precisa dell’Aeropittura”». Ma non cita il testo somenziano.
Dunque, il capo del movimento ammette che si deve a lui l’idea puntuale dell’Aeropittura e, allo stesso tempo, vuol far sapere che il futurista perugino prendeva appunti dall’alto mentre Somenzi guidava l’aeroplano. Il futurista umbro, in realtà, aveva già ampiamente sperimentato il valore innovatore della visione dall’alto, privilegiando punti di osservazione elevati sul paesaggio umbro già dai primi anni Venti.
E però le visioni degli anni Venti erano statiche e la restituzione pittorica si poteva solo limitare alla lettura dilatata, a fish eye. Arriviamo così al 1923 quando Dottori dipinse Primavera umbra che fu ammessa, a concorso, alla Biennale di Venezia. Marinetti non era ancora riuscito a far partecipare ufficialmente i futuristi alla manifestazione, quindi il quadro di Dottori risulta il primo quadro futurista presente a Venezia. Dottori scrive nella sua autobiografia del 1969 che quel dipinto, un paesaggio dilatato che abbraccia una grande estensione territoriale, rappresentava una concezione che voleva dare la sintesi della visione totalitaria del paesaggio umbro veduto dall’alto di una montagna, per immettere nel quadro più spazio possibile e superare così il tradizionale orizzonte limitato da una linea orizzontale.
Ammetteva, subito dopo, di aver avuto certo l’idea di un paesaggio sconfinato, ma pur sempre statico, e rivelava che proprio Somenzi, guardando quel quadro, da pilota di aeroplani, intuì di ritrarre il paesaggio dall’alto, in velocità, inventando un mondo da vedere dall’aereo in volo. L’aeropittura aveva trovato nelle intuizioni spaziali di Giacomo Balla lo spirito germinatore, con la conclusione dell’attiva ricerca sperimentale proprio nel 1929, quando nasce la nuova visione. Lo spazio di Balla era stato però uno spazio interiore, psicologico, mentre quello di Dottori, e poi di Delle Sete, Bruschetti, Andreoni, Benedetta Cappa Marinetti, Tato, Korompay, BOT, D’Anna, Corona, Angelucci Cominazzini, e naturalmente Crali, è uno spazio fisico, con un’inedita vastità di orizzonte e con la vertigine del punto di vista in movimento, realizzando il motivo dominante dell’estetica dinamica del Futurismo rispetto al Cubismo.
Nulla è statico, tutto si muove nella aeropittura. Lo capiamo bene davanti a Sorvolando in spirale il Colosseo di Tato, inedita veduta della Roma imperiale, o Acrobazia fra le nuvole di Bruschetti, o il doppio gioco, da aereo ad aereo, della carlinga ed eliche di Korompay, fino alla luminosa e aerea Stanza paese di Dottori per l’idroscalo di Ostia. Sono immagini nuove e senza precedenti, frutto di incontenibile euforia, esaltazione della purezza del volo dopo le imprese di Balbo. Un’estetica del volo. Ma è notevole che essa si trasformi in un ritorno all’astrazione, come ripiegamento interiore, nell’esperienza di Enrico Prampolini, seguito da Roberto Iras Baldassari e Nicola Diulgheroff. Il campo vasto della veduta si dissolve in una idea di spazio cosmico, che va oltre il rapporto terra/cielo garantito dalla distanza e dalla velocità, per deflagrare in una galassia o in una nebulosa di corpi indistinti.
L’aeropittura si amplifica in una dimensione astratta dentro cui si affacciano forme indeterminate, come in Marinaio nello spazio o in Paesaggio femminile. All’assoluta astrazione arriva Baldessari in Organicità spaziale, in voli sempre più lontani. In cieli irraggiungibili,fra vapori azzurri, se innalza l’ultimo aereo di Fillia, in Mistero aereo. Ai confini fra figurazione e astrazione si pone la vicenda della aeropittura nella sua complessità, cuore e ragione di quel momento delle avanguardie, ancora non compiutamente riconosciuto, che Enrico Crispolti chiamò «secondo Futurismo».
La teoria che l’aeropittura nasce col fascismo e l’esaltazione delle imprese aeree è stata degli studiosi americani. Duranti e Crispolti la contestarono duramente a New York nel 2014 al Guggenheim, sostenendo che Dottori e altri hanno dipinto aeropitture anche nel 1920/21, tempi non sospetti. Molte aeropitture prescindono da Balbo e dagli eroismi, esaltando solo il paesaggio. Per questo attribuire l’origine dell’Aeropittura solo al regime sarebbe storicamente non corretto.