Ci sorge un sospetto: l’accordo con la Germania per ricevere i 25 miliardi del Recovery Fund ha forse, come contropartita, trattenere entro i nostri confini le ondate di extracomunitari?
Diciamolo con chiarezza, direi definitiva. L’Europa sui migranti non c’è, non c’è stata e non ci sarà. Occorre portare prove a carico dell’imputata? Eccole. Vi ricordate il tanto sbandierato accordo di Malta per il ricollocamento dei migranti nel vertice che si svolse alla Valletta (Malta) il 23 settembre 2019 cui parteciparono i ministri dell’Interno di Francia, Germania, Italia, Finlandia e, appunto, Malta? Prevedeva l’allargamento progressivo ad altri Paesi, ricordo una festante e gioiosa ministra Luciana Lamorgese che «in sintesi» ci diceva ciò che ci avevano detto prima in molti a partire da un’indimenticabile Federica Mogherini, Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri.
Ebbene, grazie all’accordo di Malta, dei 52.845 sbarcati in Italia – fonte ministero dell’Interno – ne sono stati ricollocati la strabiliante cifra di 995. Quelli che ne hanno accolti di più sono stati la Francia con 536 e la Germania con 382. Qualche unità in qualche altro Paese. Nel frattempo, dal 1° gennaio al 17 giugno 2019 gli sbarchi furono 2.184, quelli avvenuti dal 1° gennaio al 17 giugno 2021 sono stati 18.170, sempre secondo i dati offerti dal medesimo dicastero, come si dice per i papi, Lamorgese regnans.
Nel frattempo si segnalano respingimenti di altri Stati, come la Francia a Ventimiglia (e senza neanche troppe delicatezze), la Spagna verso il Marocco. Respinge anche la Germania che pure accoglie numeri importanti ma solo coloro che sceglie (vedi il caso dei siriani istruiti e capaci di svolgere mansioni utili al mercato del lavoro tedesco); e non accolgono neanche i famosi Paesi del Nord, patria del cosiddetto welfare scandinavo, il conclamato miglior sistema di rete di protezione sociale dell’intera Europa. Ammesso e non concesso che sia vero, non funziona sicuramente nel caso dei migranti. In altre parole, il welfare scandinavo riguarda gli scandinavi.
Per carità è un loro diritto, il problema è che quelle nazioni, facendo parte dell’Unione, dovrebbero rispondere ai doveri sociali europei e non solo nazionali. Lo abbiamo detto molte volte ma ci tocca ripeterlo, perché se le cose non cambiano bisogna ricordare che non sono cambiate. Del resto, la Chiesa parla del peccato da quando è nata, sarà permesso a noi poveri mortali e peccatori ricordare il peccato europeo nei confronti dell’Italia sulle migrazioni…
La domanda è la seguente: quando un essere umano sbarca sulle coste dell’Italia alla ricerca di una soluzione ai propri problemi, economici o politici che siano, quelle coste sono solo italiane o anche europee? Che differenza c’è tra le nostre coste, quelle francesi, portoghesi, spagnole, quelle che affacciano sul Mar Baltico? Qual è la differenza? A noi fin dalle elementari hanno insegnato che le coste dei Paesi europei sono, appunto, «coste dei Paesi europei». Ossia sono confini che appartengono a Stati sovrani, ma hanno deciso di unirsi nell’Unione europea per assumersi doveri comuni e aiutarsi a garantire i reciproci diritti.
Siamo consapevoli che semplificare e ridurre le questioni a termini semplici, comprensibili, dotati di una logica e quindi non ideologici, fumosi e velleitari, non appartiene alla discussione italiana sulle migrazioni. Se le cose finissero qui è l’Europa che conosciamo, figuratevi se ci meraviglia. Ci stupiremmo del contrario. Per essere un po’ cattivelli, speriamo che quest’accordo con la Germania per avere subito i 25 miliardi del Recovery Fund non si riproponga come gli accordi fatti da altri governi: prendete i soldi ma non parlateci di migranti. Speriamo vivamente di sbagliare.
Una persona potrebbe dire: ma cosa vuoi che siano 18 mila sbarchi in Italia, un Paese con circa 60 milioni di abitanti? Non è questa la domanda giusta. A parte che andrebbe chiesto ai luoghi dove avvengono questi sbarchi, ai cittadini che vi abitano e alle istituzioni sottoposte a stress organizzativi non indifferenti. La domanda giusta è cosa ci stia a fare l’Europa in tutto questo. Purtroppo la risposta è: nulla di nulla.
Poi c’è un’altra questione. Il Vecchio continente ha perso il treno anche in Africa. Quel treno che viceversa ha preso la Cina impiantando imprese, regalando infrastrutture, mettendo la prima base militare a Gibuti. Ci siamo fatti soffiare sotto il naso una grande occasione dai cinesi. E se non ci fossero la Chiesa cattolica, alcune Ong e molti imprenditori italiani presenti in quel continente come soggetti positivi per l’economia locale, noi non ci saremmo per niente.
Intanto ci pensa la Francia a portare via dall’Africa tutto quello che può, lasciare poco o niente alle popolazioni locali e poi, per bocca del «decadente» (non nel senso del decadentismo francese, ma nel senso che sta rotolando nei consensi in modo clamoroso) Emmanuel Macron, dice che vuole un accordo per dare 100 miliardi di euro all’Africa. Se qualcuno ci crede ritenga di poter chiedere alla Congregazione delle cause dei santi la sua beatificazione in vita, perché ha una fede che in confronto Mosè era un ateo.
