Home » Attualità » Opinioni » Romanziere, mistico e filosofo. Il Limonov ignorato dall’Occidente

Romanziere, mistico e filosofo. Il Limonov ignorato dall’Occidente

Romanziere, mistico e filosofo. Il Limonov ignorato dall’Occidente

La biografia di Emmanuel Carrère ci ha fatto conoscere una star vagamente punk e anti putiniana. Ora l’editore Gog dà la parola direttamente a lui, pubblicando un’antologia di scritti. Pieni di idee scomode su Russia e Europa

«Devi essere coraggioso, è quello che vuole da noi la storia, lo vuole tutto il popolo, sempre insaziabile, assetato di sangue. Bisogna essere coraggiosi e temerari, Edik Limonov; devi, fratello, devi!». A ben vedere, tutta la vita di Eduard Limonov (1943-2020) è stata regolata da questo imperativo: essere temerario, a volte ben oltre il coraggio. Certo, a Limonov non dispiacevano le luci della ribalta, era estasiato dall’idea di poter creare scompiglio, il suo ego traforava ogni parete. Ma era ben altro dall’istrione egocentrato a cui lo hanno in qualche modo ridotto la celeberrima biografia di Emmanuel Carrère e il film che ne è da poco stato tratto. Di quel libro Limonov parla in toni agrodolci in un bell’articolo contenuto in Ideario di un figlio di puttana, una scoppiettante antologia edita da Gog, che permette di scoprire il Limonov visto da Limonov in alternativa a quello raccontato da Carrère.

«Non mi pronuncio sul libro di Carrère», dice lo scrittore russo, «ho dato la mia parola. Dico solo quello che, dal mio punto di vista, nel libro purtroppo non c’è, e che avrebbe potuto esserci: Carrère ha tenuto la mia filosofia ai margini del suo racconto. […] Dipingendomi come un self-made-man, avendo scelto di mostrarmi come un avventuriero, un soldato, un carcerato, marito e amante di belle donne, ha totalmente ignorato quello che è il mio talento di pensatore, che è proprio quello di cui vado più fiero. Ma, di certo, il suo libro ha raggiunto la fama tratteggiando coerentemente una figura eroica. Che dire di più? Anche la mia dimensione mistica, il cui esempio per antonomasia è l’opera Trionfo della metafisica, è rimasta fuori dalle pagine di Limonov. Tuttavia, senza il mio Français non sarei arrivato ai miei contemporanci europei. Sarebbe male lamentarsi, come si dice: a caval donato non si guarda in bocca».

Dice il vero, Limonov. La sua fama europea sembra basarsi per lo più su fraintendimenti, che del resto lui stesso ha alimentato. L’ambiguità era il suo stagno, ma senza dolo. In lui tutto conviveva, tutto era egualmente vero e sentito, anche e soprattutto le contraddizioni. Anche per questo, forse, Limonov è stato prima di tutto un grande scrittore (leggere per credere le opere pubblicate da Sandro Teti, Il boia in primis). Poi un coraggioso politico, fondatore del partito nazionalbolscevico con Aleksandr Dugin, a cui riserva carezze e pugni. Dalle nostre parti è presentabile soltanto perché lo si può vendere come oppositore di Putin, che in effetti egli detestava. Solo che molte delle idee di Limonov erano più estreme di quelle dello zar.

All’Occidente, per dire, dedicava coltellate: «Loro, del resto, ci odiano per davvero», scriveva. «Intendo l’Europa e l’America compresa la sua diaspora anglosassone. A parlare non è un gretto sciovinista in preda alle allucinazioni: tutte le organizzazioni internazionali, che poi sono organizzazioni euro-americane, sono anti-russe. Qualsiasi: l’Onu, l’Unione europea, il Consiglio d’Europa, la Corte europea dei diritti dell’uomo, il Tribunale dell’Aia, la Corte arbitrale, persino la Croce Rossa e le organizzazioni sportive, per non parlare poi della Nato. Basta guardare cosa stanno combinando con i test antidoping, stanno squalificando tutti i nostri atleti migliori in questo modo. E le sanzioni! Per non parlare delle lezioni di morale tenute da quei cannibali incalliti degli Usa e dell’Ue, affinché rinunciassimo alla Crimea. Tramite queste sanzioni vorrebbero che il popolo russo si ribellasse ai suoi governanti, ma non capiscono la psicologia russa. È vero che vorremo che i nostri politici fossero perfetti e che quelli che abbiamo non ci piacciono. Ma se c’è qualcosa di più forte dell’antipatia che proviamo per i nostri rappresentanti è proprio quella che proviamo per questi volgari tizi d’oltreoceano che tentano di metterci pressione».

Sì, detestava Putin, ma ricordate cosa disse sul Donbass? Era il 2015, parlava al Corriere della Sera: «Non capisco perché Putin abbia ancora paura di dire che Donbass e Russia sono la stessa cosa». E dell’Ucraina? «È un piccolo impero, è composta dai territori presi alla Russia e da quelli presi a Polonia, Cecoslovacchia, Romania e Ungheria. I suoi confini sono le frontiere amministrative della Repubblica socialista sovietica dell’Ucraina. Non sono mai esistiti». E del dissidente Aleksej Naval’nyj? Ecco: «Le sue mani non sono proprio pulite e ciò non si addice a chi combatte la corruzione: mi riferisco alla faccenda della Kirovles, una società off-shore con sede a Cipro. Qualcosa che potrebbe sporcare la brillante immagine di Lëša Naval’nyj. Sono stati i mass media a creare Naval’nyj. I media sì borghesi, ma di opposizione. Non è stato creato neanche dagli uomini, bensì dalle ragazze e dalle donne dei media. […] Naval’nyj è vuoto cosmico che va di moda. Ho già spiegato da dove è uscito».

Che fosse pericoloso, dopo tutto, lo diceva il nome: Limonov, come le granate. Anche per questo ci piace la sua immagine patinata costruita da biografie e film. Ci piace più il Limonov morto di quello vivo e urlante. Preferiamo la star vagamente punk al romanziere. Ma lui era tutte le cose insieme: una unità di opposti. Opposti estremismi, per lo più.

© Riproduzione Riservata