Questo numero di Panorama vuole essere un promemoria per la classe politica e il governo. Ora che la campagna elettorale è finita e si deve varare il nuovo esecutivo, credo sia giunto il momento di affrontare i problemi, senza illusioni e senza scorciatoie propagandistiche, e tra i primi da risolvere sicuramente c’è la situazione della sanità.
Nelle settimane scorse, in vista del voto, si è parlato di tutto. Di fascismo, aborto, guerra e bollette. Siccome nel mezzo, a un certo punto un violento nubifragio ha fatto strage nelle Marche, qualche partito ne ha approfittato per parlare di cambiamento climatico, accusando chi dubita della necessità di avviare con urgenza un processo di transizione ecologica, di avere sulla coscienza i morti, dimenticando però che le vittime sono dovute alle opere di manutenzione del territorio mai fatte.
Sì, la campagna elettorale, una delle più brutte a cui nella mia carriera abbia assistito, ha affrontato tanti argomenti. Tranne uno, quello che riguarda da vicino la salute degli italiani. Nessun partito ha spiegato quali siano i suoi programmi in materia, se intenda accelerare un processo che dia maggior autonomia alle Regioni o fare indietro tutta per tornare a un modello che restituisca potere allo Stato centrale. Silenzio anche sul tema degli investimenti, sugli organici di medici e infermieri, sul numero di posti letto e di presidi ospedalieri, sul rapporto tra sanità pubblica e privata. E dire che negli ultimi tre anni, cioè da quando è scoppiata la pandemia, non si è parlato d’altro. Di fronte a un contagio che ha fatto decine di migliaia di vittime, pareva che tutti fossero diventati esperti del settore. C’era chi riscopriva il rapporto fra posti letto e residenti, trovandolo curiosamente basso rispetto a quello di altri Paesi europei, addebitando la responsabilità dell’alto numero di decessi per Covid alla riduzione dei reparti di terapia intensiva. Altri facevano il conto dei medici e degli infermieri impiegati nei pronto soccorso, scoprendo all’improvviso che la terapia d’urgenza da noi non solo è sottovalutata, ma che il personale è costretto a turni massacranti. A un certo punto, si è addossata la colpa della mortalità per coronavirus al peso – ritenuto ovviamente eccessivo – della sanità privata nel nostro sistema, dimenticando che questa negli ultimi due anni si è fatta carico di ciò che il pubblico non era in grado di fare. Per non dire poi della scoperta della sottovalutazione del ruolo dei medici di base, al punto che nei mesi più difficili dell’epidemia, i dottori di famiglia sono stati ignorati e lasciati senza alcuna indicazione.
Tuttavia, se nel 2020 e nel 2021, quando le corsie erano prese d’assalto dai malati di Covid, si è cominciato a parlare di rivedere il modello di sanità pubblica per far fronte a nuove emergenze, poi nel 2022, in piena campagna elettorale, si è preferito sorvolare, per discutere di argomenti più impalpabili, per esempio il pericolo post fascista o l’applicazione della legge 194, quella che regola l’interruzione di gravidanza. Ma adesso che il voto è alle spalle e davanti abbiamo il governo del Paese, credo che la sanità, con i suoi problemi, le sue inefficienze e i suoi sprechi, debba tornare centrale. In alcune regioni, la spesa sanitaria si mangia tutte o quasi le risorse disponibili ma, come si è visto, di fronte alle emergenze il sistema non è in grado di reggere.
Orientato per soddisfare esigenze clientelari e talvolta baronali, il nostro sistema ha bisogno di essere riformato. Mancano medici e macchinari, e per curarsi spesso bisogna attendere mesi se non anni. Per non parlare poi di un fenomeno che viene classificato come mobilità sanitaria, includendo quei viaggi della speranza in ospedali lontani, fuori regione, alla ricerca di un servizio che sotto casa non si trova. Una mobilità che è la certificazione, pagata dallo Stato sotto forma di rimborso alle Regioni che ospitano i malati di altre, che la sanità non è uguale per tutti e che le cure oncologiche a Milano non sono le stesse che vengono garantite a Reggio Calabria. Eppure tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e allo Stato. Tutti hanno diritto allo stesso trattamento e a ricevere la stessa assistenza, ma se, da persone sane, si riconosce a chiunque il reddito di cittadinanza, da degenti non a tutti sono riservate le stesse cure.
Ecco, questo numero di Panorama è un promemoria, ma anche un atto d’accusa. Quelli che durante la pandemia venivano chiamati «angeli» in reparto, durante la campagna elettorale sono stati dimenticati. Ma ora che il tempo della propaganda è finito, forse è il caso di occuparci di cose serie e di problemi veri.
