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Le ferite risanate (e quelle aperte) di un terremoto dimenticato

Le ferite risanate (e quelle aperte) di un terremoto dimenticato

Il patrimonio culturale è stato gravemente danneggiato dal sisma che colpì le due regioni del Nord nel 2012. Edifici pubblici e chiese che a lungo hanno portato i segni dell’evento, a differenza di case e siti produttivi. Oggi molti monumenti sono stati recuperati, in alcuni procedono i restauri, ma ci sono perdite importanti.


Credo che compito di un buon governo sia riparare alle distrazioni dei precedenti su una questione vitale: la ricostruzione dei luoghi colpiti dai terremoti, e nei quali la vita dopo più di dieci anni non è ancora tornata alla normalità. Per esempio, in Emilia e Lombardia la prima scossa di terremoto di magnitudo 5.9 alle 4,04 del 20 maggio 2012 era stata avvertita e localizzata tra le province di Ferrara, Modena, Mantova e Bologna. Il 29 maggio alle 9 si era verificato un nuovo evento sismico in provincia di Modena di magnitudo 5.8. Diverse repliche avevano interessato anche le province di Reggio Emilia e Mantova, tra cui una scossa di magnitudo 5.3 alle 12,55. Durò ancora con epicentro tra Mirandola e San Felice sul Panaro il 29 maggio, e il 31 maggio, con epicentro a Rolo e Novi di Modena, estendendosi fino alla bassa reggiana e l’Oltrepo mantovano. Per fortuna non furono molte le vittime, 27; ma pesanti i danni. In provincia di Modena colpiva la visione dei ruderi di Cavezzo. Nella prima notte del sisma io dormii a Finale Emilia, verificando i danni di una villa meravigliosa che ho poi rivisto perfettamente ricostruita: Villa Bregoli.

In provincia di Ferrara si verificò il crollo della torre dell’orologio del castello Lambertini a Poggio Renatico. A Cento registrai i danni al municipio, al teatro, alla pinacoteca, lungamente e forse tuttora chiusa, mentre l’Oratorio della Crocetta è stato restaurato. A Ferrara ho visto danni in numerose chiese, tuttora chiuse, in particolare la grande chiesa di San Paolo. In provincia di Mantova ho visto duramente colpite Moglia, San Giacomo delle Segnate, Poggio Rusco, Quistello, Gonzaga, Pegognaga e San Benedetto, compresa la bellissima e completamente recuperata Abbazia di Polirone. In questi comuni si sono avuti danni ingentissimi a edifici pubblici e religiosi, in alcuni casi distrutti, ma anche all’edilizia residenziale e industriale.

Nella bella Quistello, dove sempre andavamo all’Ambasciata dei fratelli Tamani, mirabile locanda, ho visto colpiti tutti gli edifici del centro storico e una nobile villa poco lontano dal fiume Secchia. All’Ambasciata furono distrutte tutte le bottiglie della cantina. Nella provincia di Ferrara il delitto più grave, non del terremoto ma degli uomini, è stato l’abbattimento del municipio di Sant’Agostino che io ho cercato di salvare in tutti i modi, anche andando il giorno stesso in cui, per decisione del sindaco Fabrizio Toselli, preoccupato soltanto del lampadario di Italo Balbo, della sovrintendente Carla Di Francesco e del ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri, che chiamai per frenare i sadici artificieri, fu demolito con le bombe.

Una giornata tristissima, festeggiata da cittadini imbarbariti, e con il solo risultato di lasciare il deserto in quella piazza, dove l’edificio ottocentesco poteva essere puntellato e restaurato. Provo ancora rabbia per quel sindaco e per i complici che lo protessero. Nelle cronache del tempo leggo la ricostruzione di quelle ore malinconiche: «E nemmeno le modalità scelte per abbattere il palazzo, costruito nel 1875, sono piaciute al critico d’arte, che ha definito l’esplosione controllata “una vera barbarie” e ha interpellato sia il ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri, sia Lorenzo Ornaghi, ministro dei Beni culturali, per guadagnare tempo e fermare i lavori. Ottenendo però solo un lieve ritardo sull’orario previsto per la detonazione controllata. “L’idea che contro il rispetto dei monumenti si usi la dinamite invece di tentare un’altra forma di messa in sicurezza è una cosa totalmente criminale che va denunciata nella maniera più assoluta” aveva insistito Sgarbi,“le bombe si usano in guerra e qui non siamo a Damasco”. Il suo appello però non aveva raccolto consensi nemmeno in città, né da parte della popolazione che l’ha contestato chiamandolo “buffone” e invitandolo ad andarsene, né dall’amministrazione cittadina. “Questo è l’edificio simbolo del nostro paese e sapere che deve essere demolito fa male” aveva chiarito davanti alle transenne Filippo Marvelli, assessore ai Lavori pubblici di Sant’Agostino. Tuttavia per la giunta non c’era altra possibilità se non demolire tutto, perché le condizioni dello stabile, di terremoto in terremoto, erano sensibilmente peggiorate. Il palazzo non solo presentava un vistoso squarcio sulla fiancata, ma era completamente fuori asse, sbilanciato in avanti e “a rischio crollo” avevano detto gli esperti. Quindi da abbattere per recuperare il centro storico”. “È evidente che se non ci fossero i barbari queste cose non accadrebbero” aveva ribadito Sgarbi minacciando provvedimenti legali. “E se persino i sovraintendenti o gli assessori sono d’accordo, figuriamoci un popolo che si diverte come a una festa davanti alla distruzione”. Ora sarà il tribunale a decidere se la demolizione è stata “un atto contro la legge”, come l’hanno definita Sgarbi, Salvatore Settis, Tommaso Montanari e la sezione regionale dell’Emilia-Romagna di Italia Nostra, che in un ultimo tentativo di preservare il palazzo avevano contattato il ministero dei Beni Culturali e denunciato pubblicamente il programmato abbattimento dello stabile storico con la dinamite, o se era davvero l’unica scelta possibile».

Ho rivisitato con attenzione gran parte dei luoghi colpiti dal terremoto e, nell’arco di qualche anno, ho fatto considerazioni che non possono essere fatte per nessun altro sisma recente a partire dal Belice, dall’Irpinia, fino ai drammatici terremoti dell’Aquila, delle Marche e dell’Umbria e alla distruzione pressoché totale di Amatrice, Accumuli, Arquata. Sono ferite irreparabili, e soprattutto indimenticabili; nel ritornare sui luoghi, ci fanno sentire che il terremoto è ancora attivo nelle conseguenze che ha lasciato. La fattispecie unica del terremoto dell’Emilia e della Lombardia è che esso appare quasi completamente rimosso nella percezione degli abitanti di quelle laboriose regioni, senza incriminare le altre aree meno reattive psicologicamente, e nella memoria collettiva degli italiani.

Se domandate a chiunque, terremoto è sinonimo di Aquila o Amatrice, non Ferrara, Modena, Mantova. In questi luoghi il terremoto è stato rimosso. Tutte le attività pubbliche e private e tutte le imprese hanno ripreso rinnovato slancio. E gran parte delle case sono state recuperate e restituite alla vita. Non si può dire lo stesso di Onna, di Roio, di Paganica, di San Gregorio, nel cratere dell’Aquila. Da noi il terremoto sembra non esserci stato e rare ne sono le tracce negli edifici ancora feriti. In questa laboriosa ricostruzione, soprattutto a Ferrara, inizialmente non è stata altrettanto veloce l’attenzione per edifici monumentali pubblici e chiese.

In tutte le città dell’Emilia i monumenti sono isole di lenti e impegnativi interventi che non sono percepiti come sottrazioni alle città e alla vita quotidiana. Dentro di me ho sofferto vedendo perfettamente recuperati – magari con finanziamenti propri – case e palazzi privati, mentre soltanto adesso chiese monumentali come San Paolo sono oggetto di restauri, ora a uno stadio molto avanzato. Oggi finalmente, a poco più di dieci anni da quei giorni, si fa riferimento al terremoto quasi come a una ricorrenza storica, nel genere del Palio, come se si parlasse del terremoto del 1346, del 1561, del 1570, lontano, leggendario. La vita e la rinascita, in Emilia e in Lombardia, hanno prevalso.

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