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Per una scuola davvero di vita

Per una scuola davvero di vita

L’editoriale del direttore

In aula, come in ogni luogo, dovrebbero esserci regole di comportamento e sanzioni per chi le viola. Quindi, ben vengano le proposte del Ministro Valditara che vuole vietare il cellulare in classe e «condannare» a lavori socialmente utili chi si comporta da teppista.


Il mio insegnante di applicazioni tecniche, alle scuole medie, aveva un assistente di nome «Giuseppe». Era un manganello lungo una quarantina di centimetri, ricavato da uno pneumatico di bicicletta, che il prof agitava sotto il nostro naso, minacciando di usarlo sui più indisciplinati. Non lo vidi mai in azione, in compenso chi si distraeva o faceva rumore, finiva in un cerchio disegnato sul pavimento con un gessetto e lì, in piedi, senza poter uscire dal recinto immaginario, trascorreva la lezione. Erano metodi un po’ autoritari? Sì, ma nessuno di noi è rimasto traumatizzato. Siamo cresciuti semplicemente sapendo che c’erano delle regole da rispettare e una di queste prevedeva che in classe si stesse zitti e si ascoltasse il professore.

Tutto ciò mi è tornato in mente in questi giorni, a proposito delle direttive disposte dal ministro dell’Educazione e del Merito. Da quando è arrivato ai vertici del dicastero di viale Trastevere, Giuseppe Valditara fa discutere. Una delle sue prime decisioni a finire nel mirino di sindacati e commentatori, è stata l’idea di «condannare» ai lavori socialmente utili gli studenti più violenti, ovvero quelli che distruggono i beni della scuola. «L’umiliazione (dei bulli, ndr) è un fattore di crescita» ha spiegato il ministro. Apriti cielo: giornalisti e politici (di sinistra) sono inorriditi all’idea che qualche teppista, resosi responsabile di aver distrutto banchi, divelto porte e terrorizzato i compagni, sia esposto al pubblico ludibrio di dover spazzare il cortile della scuola o di rimettere in ordine la palestra. Che c’è di male? Non è meglio imparare da subito che in una società, a ogni azione sbagliata corrisponde una giusta sanzione? A molti non è piaciuta neppure la decisione di vietare i cellulari in classe, perché – secondo i critici – il telefono consentirebbe agli alunni di rimanere in contatto con i genitori qualora ci fossero notizie urgenti da dover comunicare a casa. Ora, io non credo che ogni mattina ci sia la necessità di informare papà e mamma su quel che accade in classe. Piuttosto, penso che il cellulare sempre acceso sia una fonte di distrazione, perché invece di ascoltare una lezione molti guardano TikTok, cioè il social network cinese su cui vengono postati i video di milioni di ragazzini. Il telefono, più che consentire di rimanere in contatto con la famiglia, offre la possibilità di escludersi da ciò che accade durante la lezione, collegandosi a un mondo virtuale che certo non contribuisce né all’educazione né al merito, ossia alla missione della scuola. Dunque, ben vengano le idee di Valditara, sia per quanto riguarda i lavori socialmente utili che i divieti di portare in classe il cellulare. Con una sola obiezione: se la punizione è utile per insegnare ai bulli a comportarsi in modo civile, una sanzione deve esistere anche per chi ignora l’obbligo di lasciare fuori dall’aula il telefono, altrimenti finirà che i professori dovranno ingaggiare ogni volta un braccio di ferro con gli studenti per evitare che continuino a messaggiare invece di ascoltare la lezione. Ogni regola funziona se esiste un’ammenda che fa da deterrente, altrimenti dopo un po’ finisce che si ignora la disposizione, perché tanto non si rischia nulla.

Un’ultima annotazione: Valditara ha scritto ai genitori una lettera in cui li sollecita ad aiutare i figli nella scelta del percorso formativo. In pratica, invita le famiglie a valutare tutte le possibilità offerte dal nostro sistema scolastico, guardando soprattutto al futuro inserimento nel mondo del lavoro. Anche in questo caso, la circolare ha scatenato reazioni a non finire, al punto che qualcuno ha accusato il ministro di essersi trasformato in un navigator. Ma che cosa c’è di male nello spiegare che non esiste solo il liceo, ma ci sono scuole che ai giovani possono offrire migliori opportunità? Se abbiamo il 30 per cento di disoccupazione giovanile, ma non abbiamo né fornai né artigiani, forse è proprio frutto di una sbagliata concezione della scuola pubblica, che è guardata come un’istituzione che deve dispensare cultura, senza mai pensare che poi quella cultura ci deve anche consentire di guadagnarci da vivere. Con il risultato che spesso la scuola diventa una fabbrica di disoccupati.

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