Con il Reddito di cittadinanza si è creata una categoria di persone che ritiene di avere diritto all’assistenza eterna, a prescindere dalle proprie condizioni familiari e dalla propria capacità di lavoro.
Giorgio Cremaschi è un vecchio agitatore di piazze. Lo conosco da più di quarant’anni: all’epoca guidava la Fiom di Brescia ed era specializzato in battaglie perse. Dallo scontro con Luigi Lucchini, presidente degli industriali, uscì a pezzi e quelle lotte sindacali furono il preludio di ciò che a metà ottobre del 1980 avremmo visto a Torino, ossia un mese di picchettaggi davanti ai cancelli della Fiat che si risolsero con la marcia dei 40 mila e una clamorosa sconfitta della Flm (Federazione lavoratori metalmeccanici) e di Enrico Berlinguer, accorso davanti alla fabbrica per sostenere la vertenza. Ritiratosi dal sindacato per raggiunti limiti di età, oggi Cremaschi continua la sua attività di capopopolo in tv, partecipando a trasmissioni in cui interpreta l’anima conflittuale dei movimenti, a sinistra della sinistra. Lotta dura, insomma, senza paura. Di recente, mi è capitato di incrociarlo nello studio di Rete 4 dove si discuteva di Reddito di cittadinanza. Argomento del dibattito, la riforma introdotta dal governo Meloni con l’ultima manovra finanziaria.
Come è noto, l’esecutivo ha deciso di prorogare per soli otto mesi il sussidio destinato ai cosiddetti «occupabili», ovvero alle persone che possono lavorare e non sono ostacolate dal fatto di avere disabilità, figli piccoli o un’età superiore ai sessant’anni. Quando è arrivato il suo turno, l’ex dirigente della Fiom si è messo a ululare, ripetendo all’infinito una domanda: che fine faranno le centinaia di migliaia di persone quando saranno licenziate? Sì, ha detto proprio così: licenziate. Secondo lui, evidentemente il Reddito di cittadinanza equivale a un’assunzione, anzi a una prestazione lavorativa, anche se non è richiesta, e la sospensione del sussidio di Stato a un licenziamento. Il che la dice lunga sulla distorsione della realtà prodotta dal provvedimento caro ai Cinque stelle, visto che ormai per una parte politica, e di conseguenza anche per molti italiani, non è più ritenuto un aiuto temporaneo, che serve a far fronte a un periodo di disoccupazione o a un problema di disabilità al lavoro, come doveva essere, ma è considerato un diritto acquisito intoccabile, al pari di un’assunzione nel pubblico impiego o di una pensione.
Durante la trasmissione tv, sono poi andate in onda le testimonianze di alcuni percettori del Reddito di cittadinanza i quali, oltre a ululare come Cremaschi, hanno confermato che chi incassa il sussidio lo ritiene un assegno per la vita e non una misura tampone. Molti degli intervistati erano padri o madri con figli minorenni e dunque per loro, almeno per tutto il 2023 (poi la legge è destinata a essere rivista), con la riforma voluta da Giorgia Meloni non cambierà nulla. Nonostante ciò, hanno rifiutato di comprendere che la misura introdotta dal nuovo esecutivo non avrebbe inciso in alcun modo sulla loro situazione familiare, forse preoccupati che in futuro qualcuno metta mano al diritto senza contropartita. Il meglio però lo si è avuto quando il servizio ha inquadrato la signora che aveva rimproverato il presidente del Consiglio, dicendole che senza Reddito l’alternativa consiste nel mettersi a rubare. La donna, cinquantenne, disoccupata e senza figli, alla domanda della giornalista che le chiedeva se stesse cercando un lavoro in vista della sospensione del sussidio, ha risposto dicendo di essere timida e di vergognarsi: entrare in un negozio o in un bar per chiedere se avessero bisogno di una commessa o di una cameriera era un’azione che la metteva a disagio. No, molto meglio il posto pubblico. «Io vorrei parlare con la signora Melloni (la doppia «l» è sua, ndr), perché lei ce l’ha il lavoro. Loro ce li hanno i posti di lavoro se me li vogliono dare» ha spiegato, prima di andarsene con lo scooter.
In poche parole, la signora ha espresso lo stesso concetto di Cremaschi: è lo Stato che deve provvedere, non il cittadino che deve sbattersi alla ricerca di un posto. Del resto, subito dopo è stata mandata in onda un’intervista al giovane che sui social ha minacciato di prendersela con la figlia di Giorgia Meloni qualora il governo gli togliesse il Reddito di cittadinanza. A nessuno dei presenti, Cremaschi o altri, è sembrato strano che un ragazzo di 27 anni, in salute e senza figli, ricevesse il sussidio. E neppure si è chiesto fino a quando, cioè per quanti anni e con quali costi per la collettività, un uomo o una donna debbano essere sostenuti. Per dieci, venti o trent’anni? Fino alla pensione oppure no? Ecco, il tema è tutto qua: con il Reddito di cittadinanza si è creata una categoria di persone che ritiene di avere diritto all’assistenza eterna, a prescindere dalle proprie condizioni familiari e dalla propria capacità di lavoro. Il sussidio è per sempre, come i diamanti. E infatti, in una ricerca pubblicata su Lavoce.info, si segnalava che tra i percettori di Reddito di cittadinanza intervistati, almeno uno su due aveva ricevuto un’offerta di lavoro, ma il 56 per cento aveva deciso di non accettarla. Perché? Il 53,6 per cento perché la proposta non era in linea con le proprie competenze, il 24,5 perché non adeguata al proprio titolo di studio. Cioè il 78 per cento ha rifiutato il avoro perché, pur essendo disoccupato, non gradiva ciò che gli veniva offerto. Probabilmente riteneva umiliante accettare un posto non all’altezza delle proprie aspettative. Molto meglio l’aiuto di Stato.
