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Rampini: «Non facciamo di tutto l’Oriente un fascio»

Rampini: «Non facciamo di tutto l’Oriente un fascio»

Certo, c’è la Cina. Dominante e dispotica. Sempre più protagonista, dopo il coronavirus, nella sfida per l’egemonia globale. Ma in Asia ci sono molti altri Paesi con cui l’Europa dovrà dialogare. E intanto gli Stati Uniti dovranno adattarsi… Parola di un giornalista sempre in equilibrio tra civiltà opposte, che nel suo ultimo libro traccia i nuovi rapporti tra i due estremi del mondo.


«La pandemia è diventato un fattore accelerante».

Cioè? «Il Covid-19 sta rendendo più rapidi e netti processi che erano già in atto nel confronto fra Oriente e Occidente».

Vuoi dire che il coronavirus agevola la Cina nella sua sfida per l’egemonia globale? «Questo è fuor di dubbio».

Sarà il secolo del «dragone cinese»?

«Sì, ma non esiste solo la Cina. La tesi del mio libro è che l’Oriente oggi contiene una pluralità di soggetti diversissimi tra di loro».

E quindi?

«La Cina si rafforza, ma ci saranno tanti altri protagonisti, in Oriente, con cui dialogare. Capirlo per noi è vitale».

Federico Rampini, giornalista e scrittore, ha mandato in libreria un volume di storia che ripercorre i rapporti tra i due estremi del mondo, affondando in una storia millenaria. Così il suo Oriente e Occidente (Einaudi Stile libero, pp. 228, 17 euro) è come un missile a due stadi utile per capire il tempo presente. Rampini ha vissuto l’emergenza Covid-19 a New York, è (anche) cittadino americano, racconta e vive in prima persona le sofferenze dell’America ferita dalla pandemia.

Quali sono le immagini più forti del tuo diario di questi mesi?
«Martedì sono andato a raccontare la riapertura della Borsa di New York».

Un ritorno alla vita?
«Un effetto di contrasto impressionante: le strade della città erano addobbate con centinaia di cartelli “affittasi”. Tutti negozi e ristoranti già falliti».

Possibile?
«Certo. Quasi tutti non riapriranno mai più».

Perché? In America in prestiti sono arrivati tempestivamente.
«È vero: tanti soldi e anche in modo veloce. Ma non basta».

Come mai?
«Il sistema era in equilibrio su un filo precario. Se hai un ristorante a Manhattan e paghi un affitto esorbitante, il finanziamento a fondo perduto non ti salva».

E cosa succede?
«Chiudono, falliscono, forse faranno altro, tra un anno. Ma è saltato un sistema. Questo mondo finisce qui».

Milioni di posti di lavoro in fumo.
«Ci sono già 40 milioni di nuovi disoccupati. Uno di questi nel soggiorno di casa mia: mio figlio che fa l’attore».

Gli sono arrivati aiuti?
«Ha preso subito i 1.200 dollari del Tesoro, che spettano a tutti gli americani con un reddito sotto i 100 mila dollari».

Tu non li hai presi.
(Sorriso). «Io per fortuna guadagno di più».

E poi?
«Sono arrivate anche altre indennità di disoccupazione. Non poco, 600 dollari a settimana: ma a New York il costo della vita è altissimo, e fra quattro mesi questi soldi finiranno».

E poi?
«L’America è a un bivio ma sa che non potrà più tornare al “prima”».

Mi dicevi della Borsa.
Qualcuno, come sempre capita, si è arricchito enormemente in questa crisi.

Chi?
«Le azioni di Big Tech e Big Pharma sono più contese di prima. Ma pensa ad Amazon!»

Un modello di sviluppo puntato sui pacchi…
«… In un tempo in cui si poteva comprare solo per corrispondenza. Questo elenco di vincitori e vinti ci spiega la geografia del nuovo mondo».

A proposito di novità. Molti tam tam annunciano un tuo addio a la Repubblica, dopo l’arrivo della nuova proprietà.
«È una fake news, sgradevole per me».

È falso?
«Assolutamente sì».

Si diceva che Gad Lerner e Rampini andavano via.
«È evidente che c’è differenza tra Lerner e Rampini».

Come è nato il tuo libro?
«Da una riflessione sul passaggio di epoca che stiamo vivendo. Ho letto cento libri, tutti indicati nella bibliografia, mi sono rimesso a studiare».

In quale campo?
(Sorride). «Un po’ in tutti. Questo è un libro di storia che ha tempi lunghissimi. Risale a 2.600 anni fa».

Da dove parte questa datazione?
«Ci sono tracce di influenza buddhista in Siria nel quinto secolo avanti Cristo. La Cina ha una storia 4.500 anni
prima di Cristo».

Una sfida con l’Islam, prima ancora che con il Cristianesimo.
«L’Islam va alla conquista della Persia, e riesce a convertirla, trasformandola nell’Iran sciita di oggi».

Una strategia di penetrazione epocale. «Partito dall’Arabia è arrivato in Indonesia. Ecco perché la Cina perseguita spietatamente gli Uiguri, i musulmani dello Xinjiang, e li tiene nei campi di concentramento».

Uno dei messaggi più forti del libro è: di Oriente non ce n’è uno solo.
«Esatto. Noi spesso confondiamo in un unica percezione, come satelliti della Cina, realtà come Taiwan, Malesia, l’India!»

Facciamo degli esempi nel tempo della pandemia.
«Io sono rimasto strabiliato dal Giappone: ha avuto solo 800 morti, su 125 milioni di abitanti!»

Come mai?
«In Giappone non servono polizie, milizie, né comitati di quartiere da Cina popolare».

Perché?
«C’e l’auto-quarantena. Il contagio si è fermato senza un vero e proprio lockdown».

Cosa ti ha colpito?
«Un’immagine: giapponesi al ristorante. Seduti, distanziati, uno a fianco all’altro sullo stesso lato. Sai dove nasce questa disciplina?»

Dimmelo.
«Nel confucianesimo. I cinesi e i giapponesi si mettevano le mascherine molto prima del Covid».

Per l’inquinamento?
«Anche. Ma il punto è il principio. Non per proteggere se stessi! Ma gli altri».

Da cosa?
«Questo è il bello. Magari anche solo dal rischio di uno starnuto. Questa cultura nella pandemia ha fatto
la differenza».

Parliamo del «modello coreano».
«La Corea ha avuto la variante tecnologica. Ma le sole app non spiegano il loro successo».

C’è qualcosa di più profondo?
«Certo. Dal 2003, dopo la Sars, la Corea si è preparata a un nuovo virus».

Forse lo avremmo fatto anche noi.
«Scherzi? Hanno cambiato cinque governi, ma per 17 anni si sono preparati con investimenti e reti di prevenzione».

Che lezione ne trai?
«Il senso della durata, molto diverso dal nostro. Noi dopo un anno avremmo fatto un taglio di bilancio e tutto finiva lì».

Vuoi dire che il Covid-19 colpirà in modo asimmetrico il mondo?
«È ancora presto per decretare vincitori e vinti della pandemia. Ma dopo questo viaggio qualche lezione più meditata si può trarre».

In che direzione?
«Questa è una crisi acceleratrice, perché impone la centralità dell’Asia».

Finisce l’equilibrio del dopoguerra.
«Sì, ma attenzione. Era quella la parentesi. Non è mai esistita una parità».

Dici «in natura»?
«L’Oriente è smisurato, ricco, popolato. Il solo Sud-est asiatico ha più abitanti dell’Unione europea».

E tu vuoi dire: era già così.
«Mi sono appassionato alla figura straordinaria di Matteo Ricci: un gigante, un gesuita scienziato».

Va in Oriente a fine Cinquecento per evangelizzare i cinesi.
«Esatto. L’Oriente era il vicino Oriente, e noi cercavamo già allora nella Cina un alleato contro l’Islam. Ma poi
il Ricci scienziato resta folgorato dal loro livello di progresso, dalla loro cultura».

E cosa fa?
«Traduce Confucio in latino».

Di quante radici è figlia la Cina di oggi?
«Quella di Xi è figlia della Cina di Deng Xiao Ping. E Deng studia il Giappone che a sua volta ha copiato l’Occidente, ispirandosi agli imperi centrali dell’Ottocento. Qualcuno da noi aveva intuito questa lunga marcia molto prima».

Chi?
«Napoleone a Sant’Elena scrive: «Quando la Cina si sveglierà il mondo tremerà».

Napoleone aveva proiettato le sue ambizioni fino all’Oriente?
Non tutti sanno che dall’Egitto voleva andare in India. In tutti i musei figli dell’età Napeleonica, non a caso, troviamo sia «egittologia» che «orientalismo».

Nel primo capitolo, parti addirittura da Erodoto.
«Perché noi abbiamo iniziato a raffigurare l’Oriente ai suoi tempi, e siamo ancora calati nella sua chiave interpretativa».

Quale?
«Noi siamo pochi, siamo individui, siamo portatori di libertà e diritti. Loro sono moltitudini, massa, dispotismo».

E questo stereotipo non è vero?
«Solo in parte. Non dimentichiamo che Voltaire e Montesquieu si innamorano della selezione dei mandarini… “per concorso”. Allora in Europa le cariche si compravano».

Il dispotismo, tuttavia, c’era allora e c’è anche oggi.
«Molti non lo sanno, ma Xi Jinping esalta questo sistema in antitesi al nostro. Non lo definisce «dispotico», ovviamente, ma nei suoi discorsi spiega che un sistema autoritario è molto più efficiente del nostro».

Anche in Occidente, purtroppo, si è fatta l’apologia della dittatura «utile» nella guerra al Covid-19.
«Vero. Anche se io vorrei partire da un po’ più lontano».

Da dove?
«Da Confucio. Purtroppo un italiano di media cultura può non saper nulla di lui. Tuttavia le radici di questa storia sono lì».

È stato interpretato in cento modi diversi.
«Vero. Ma l’idea che i doveri vengano dopo i diritti, che l’autorità sia imprescindibile, che cultura e istruzione siano importantissime è il cuore della sua dottrina».

Xi Jinping fonde Confucio e Mao?
«Senza dubbio. Assorbe il confucianesimo nella sua versione più paternalistica e autoritaria».

E poi?
«È profondamente comunista. Per Xi il primato del partito è il primo pilastro del sistema di potere. In questo più figlio di Deng, che di Mao».

Fammi un esempio.
«Non esiterebbe un minuto a schiacciare nel sangue la popolazione di Hong Kong. Considera Hong Kong Cina».

Malgrado i trattati solenni con i britannici?
«Figurati. Gli inglesi si presero il porto con la guerra dell’oppio, pagina infame nella storia occidentale. Per i cinesi Hong Kong è come la Crimea per la Russia».

Se la riprenderanno con la forza come Putin con i paracadutisti?
«Intanto stanno dissanguandola economicamente. Poi vedranno. Di sicuro non la mollano».

Il Covid-19 degrada i rapporti tra America e Cina.
«Anche in questo è solo una accelerazione: io ricordo che i rapporti erano già in crisi già nel secondo mandato di Barack Obama».

Era scritto?
«Sì. Semmai l’elezione di Donald Trump è il risultato di una globalizzazione selvaggia, imperniata sulla Cina che ha colpito la middle class americana».

Il «virus cinese» ha dato il colpo di grazia.

«Su questo punto si può rimproverare poco a Trump. La Cina ha mentito sull’epidemia».

Lo dici così?
«In modo spudorato, e manipolatore. In un regime come quello, il Covid-19 è diventato quello che fu Chernobyl per i sovietici».

Una reazione a catena burocratico-emergenziale?
«Inizia a mentire un funzionario di partito locale, per paura di figuracce. E poi mente un intero Paese perché non si può perdere la faccia».

Non è un quadro confortante, il tuo: l’America ferita, la Cina dispotica, l’Europa in crisi…
(Sorride). «Tutto vero. Ma il senso del mio libro è che oggi siamo tutti come dei novelli Matteo Ricci».

Cioè?
«Se capiremo che esiste una pluralità di opportunità economiche e culturali enormi, anche questa crisi può diventare lo stimolo per scoprire un mondo nuovo».

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