Mentre l’Europa procede spedita verso il blocco delle auto a motore termico, nessuno dei partiti che sostengono la linea della transizione energetica pare preoccuparsi delle ricadute sul portafoglio delle classi più economicamente svantaggiate.
Chi non vorrebbe una macchina nuova, che consumi e inquini meno? La risposta è ovvia: non credo che ci sia nessuno disposto a viaggiare su un macinino che si lascia dietro una nuvola di fumo puzzolente rischiando, dopo un certo numero di anni, di lasciarti a piedi. Tuttavia, il problema sono i soldi. Le vetture più recenti, che emettono meno polveri inquinanti e riducono il consumo di carburante o addirittura non ne impiegano, costano. E anche parecchio. Spesso più delle macchine di vecchia generazione, quelle che vanno a benzina o a gasolio. Il problema dunque è tutto qui. A Bruxelles fanno in fretta a stabilire che dal 2030 non si potranno più produrre veicoli a motore termico, ma se l’alternativa poi non è a portata di portafogli, la maggior parte delle famiglie che non si possono permettere l’acquisto rischia di rimanere a piedi. Negli anni Sessanta, con il boom economico, le aziende produttrici sfornarono modelli a quattro ruote per la famiglia media. La motorizzazione del Paese passò dalla vendita delle 500 e delle 600 Fiat e dopo questi modelli arrivarono la 126 e la 127, ovvero vetture economiche il cui acquisto poteva essere effettuato in comode rate.
Ora di comodo non c’è nulla. Infatti, se all’epoca un operaio con l’equivalente di dieci stipendi poteva comprarsi una Fiat 500 D (prezzo di lancio 450 mila lire), oggi, considerando che lo stipendio annuo lordo oscilla in media sotto i 20 mila euro, le buste paga necessarie sono quelle di svariate annualità. Sì, parafrasando il titolo di un libro di Cormac McCarthy, scrittore recentemente scomparso, l’Italia, ma sarebbe meglio parlare dell’Europa, non è un Paese per poveri. E però, in ossequio alle nuove regole del politically carb free, cioè sull’onda della moda che vuole abolire la CO2 ritenendola responsabile di tutti i mali (non dico che non ne provochi, ma forse non così tanti come dicono certi politici per raggranellare voti), rischiamo di ritrovarci in panne.
Già, è bello rispettare l’ambiente, vivere nel verde, avere una casa efficiente che risponde ai criteri più moderni di risparmio energetico. Ma chi paga? Le auto elettriche sono bellissime. Basti solo pensare al silenzio che producono quando si viaggia. E poi vuoi mettere l’aria che respiri intorno alle quattro ruote? Un tempo, quando qualcuno accendeva una vecchia auto a gasolio si veniva avvolti da una nuvola che toglieva il fiato. Però le auto diesel, per quanto gravate di superbollo da non ricordo più quale governo alla ricerca di soldi per fare cassa, non costavano così care come oggi quelle elettriche. Chi comprava l’auto faceva i calcoli sui chilometri percorsi e poi decideva in base alla convenienza.
Oggi come si fa a calcolare ciò che conviene? La bolletta è aumentata in poco tempo, al punto che quasi non conviene più la ricarica e quando conviene, a scoraggiarne l’acquisto non solo è il prezzo di gran lunga più elevato della vettura elettrica rispetto a quella a benzina, ma sono le ricariche, che non sono così facili in quanto mancano le «stazioni di servizio» per fare il pieno di elettricità. Risultato, mentre l’Europa procede spedita verso il blocco delle auto a motore termico, nessuno dei partiti che sostengono la linea della transizione energetica pare preoccuparsi delle ricadute sul portafoglio delle classi più economicamente svantaggiate. Non si tratta di stare con gli inquinatori, come sostiene una parte della sinistra dura e pura che vorrebbe impedire agli italiani anche di fare il barbecue con l’accusa che la carbonella inquina. Ma semplicemente occorre il buon senso. Nessuno è contrario a una vettura che non inquina e non consuma (troppa) energia: ma l’acquisto deve essere compatibile con il portafoglio.
Lo stesso ragionamento vale per la casa, a cui dedichiamo la copertina di questo numero. Chi può essere contrario a un alloggio caldo d’inverno e fresco d’estate ma con consumi pari a zero? Pensate davvero che ci sia qualcuno così pazzo da non volere serramenti nuovi, impianti efficienti e pure un cappotto per proteggere l’edificio dagli sbalzi termici? Ovvio che tutti vorrebbero abitare in una casa moderna invece che in una catapecchia, ma il problema resta sempre quello dello stipendio al minimo che impedisce di andare al massimo, cioè di sognare in grande e di cambiare tutto.
L’Europa pare intenzionata a imporre una data per avviare non la transizione energetica, ma addirittura quella edilizia. E le classi più svantaggiate, che già con fatica sono riuscite a comprarsi una casa, pensate davvero che siano in grado pure di finanziare una ristrutturazione per ammodernare l’alloggio? L’elenco potrebbe continuare con le caldaie a gas, che rischiano di essere presto dichiarate fuorilegge. E pure con i condizionatori che, nel caso il gas utile per farli funzionare venisse messo al bando, dovrebbero essere sostituiti. Con quali soldi? Chi aiuterà le famiglie che vedranno «rottamate» le loro auto, le loro caldaie, i loro condizionatori e forse anche le loro case? Come farà chi ha investito in un appartamento classificato in fascia G quanto a efficienza energetica a venderlo senza essere costretto ad abbassarne drasticamente il prezzo? Le domande non sono solo legittime, ma anche urgenti, perché è evidente che se non si interviene in fretta, quella verso cui ci stiamo avviando non è una transizione energetica, bensì una transizione verso la povertà. Altro che decrescita felice. Qui si va in un mondo dove non c’è crescita e neppure felicità.