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La pazzia non si abolisce per legge

La pazzia non si abolisce per legge

L’editoriale del direttore


Non voglio mettere in discussione la Legge Basaglia, né penso che sia opportuno riaprire i manicomi. Però penso sia giusto pensare se quelle norme, nate sotto i migliori auspici, oggi non abbiano bisogno di un po’ di manutenzione.


Ero poco più di un ragazzo quando la Legge Basaglia entrò in vigore. Anno 1978, il fondatore di Psichiatria democratica (all’epoca tutto doveva essere democratico, il proletariato, la magistratura, la scuola e pure la sanità), sulla base della propria esperienza di direttore dell’ospedale di Trieste, riuscì a far approvare dal Parlamento una legge per la chiusura dei manicomi. A Brescia, città dove sono cresciuto, i matti, così li si chiamava allora in modo poco politicamente corretto, erano rinchiusi in un ospedale dalle alte cancellate e dal nome lugubre: i Pilastroni. Vedendolo era difficile non essere d’accordo con l’idea che i malati di mente non dovessero essere reclusi, né legati. Tuttavia, liberarli, affidandoli alle famiglie, non era la soluzione del problema.

Perché, come si sarebbe scoperto in seguito, se il principio di restituire alla vita persone affette da disturbi psichiatrici era giusto, credere che fosse sufficiente aprire i cancelli dei manicomi per riportare tutto alla normalità era sbagliato. Me ne resi conto molti anni dopo quando, divenuto direttore del quotidiano Il Tempo, feci un titolo per dire che Romano Prodi rischiava di mettere sulla strada migliaia di ricoverati rimasti nel limbo dell’assistenza psichiatrica. Nel dicembre del 1996, cioè 18 anni dopo l’introduzione della Legge Basaglia, gli ultimi manicomi chiusero i battenti. Rispetto al 1978, quando i ricoverati erano circa 90 mila, i degenti erano di poco superiori ai 15 mila. Persone bisognose di aiuto, che però non avevano né un posto dove andare né qualcuno che li potesse assistere.

Per questo, scrissi che Prodi condannava migliaia di italiani a un destino da homeless. Il presidente del Consiglio quella mattina reagì tramite il suo ufficio stampa, annunciando una querela che, a dire il vero, non arrivò mai. Tuttavia, a prescindere dalla reazione dell’allora premier, con trent’anni di ritardo le conseguenze della Legge Basaglia erano esattamente quelle che descrissi. Per legge si erano aboliti i manicomi, ma con altrettanta facilità con una legge non era possibile abolire i matti. Infatti da allora, le persone con disturbi psichiatrici non hanno più trovato né assistenza, né un luogo in cui era possibile ospitarle.

Certo, i Pilastroni, e tutti gli altri manicomi dove per anni erano stati reclusi i cosiddetti malati di mente, non erano la soluzione al problema. Ma neppure la cancellazione del disagio psichico si poteva fare con un semplice decreto. Infatti, a quasi mezzo secolo di distanza, le cronache ci costringono spesso a fare i conti con la realtà. I casi in cui le persone affette da disturbi impugnano un revolver e sparano ai vicini, come è successo di recente a Roma, per fortuna sono pochi. Così come non accade di frequente che un giovane entri in un centro commerciale e cominci a fare fuoco per dare ascolto ai suoi demoni. Tuttavia, sono molti di più gli episodi di famiglie che si trovano a fare i conti con familiari problematici, che soffrono di disturbi difficili sia da curare che da gestire. Quanti sono i genitori che tra le mura domestiche sono costretti ad affrontare un problema più grande di loro? Figli già in età adulta, che però non sono cresciuti, mentre papà e mamma sono invecchiati e non riescono più a tenere a freno la rabbia e la sofferenza di quel ragazzo complicato. Ecco, la copertina di questo numero di Panorama è dedicata a loro, ai genitori di un dio minore, che per la politica e il servizio sanitario non esistono.

Non voglio mettere in discussione la Legge Basaglia, né penso che sia opportuno riaprire i manicomi, ovvero quei lager di cui la stampa era costretta a occuparsi trent’anni fa. Però credo che a quasi mezzo secolo dall’introduzione di una legge che restituiva i diritti di cittadinanza e di cura ai malati psichiatrici, sia giusto pensare se quelle norme, nate sotto i migliori auspici, oggi non abbiano bisogno di un po’ di manutenzione. Ribadisco: non penso che si debbano riaprire i manicomi, né auspico i letti di contenzione: però, ripensando a quel titolo di 26 anni fa che tanto fece arrabbiare Prodi, il problema rimane l’assistenza. Se ci sono migliaia di persone che hanno bisogno di cure, chiudere gli ospedali per non aver niente a che fare con loro non è la soluzione. In altre parole: va bene liberare i matti, ma poi qualcuno li deve seguire, a casa e nella vita di tutti i giorni. Altrimenti, da una condanna dietro le sbarre si passa a un’altra condanna.

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