Nonostante scienza e norme ora li consentano, molte strutture vietano i contatti dei pazienti con i propri cari. Altro sfregio
della pandemia. Che in questo caso, però, si può sanare.
Nonostante le norme di riapertura degli ospedali contenute in un’ordinanza del luglio scorso del ministro della Salute, Roberto Speranza, tanti non aprono ai parenti per le visite ai ricoverati. Premesso che chi scrive non è medico, non è scienziato, non è epidemiologo, ma semplicemente una persona che prova a informarsi e a studiare gli argomenti, ebbene, ci sono molte ricerche e soprattutto molte esperienze pratiche a certificare che: ove si utilizzino i corretti strumenti di contenimento del contagio, come le mascherine adeguate, e si rispettano le norme di igiene, le visite sono possibili, tant’è vero che in alcuni ospedali si possono fare; nello specifico ci riferiamo a quelli di Pisa, Torino e Ancona. Purtroppo, la maggioranza di essi è ancora un luogo vietato per i parenti, pur sapendo quanto sia importante per i malati, soprattutto per gli anziani, il contatto con la famiglia e gli amici.
Abbiamo già ricordato in un’altra occasione che l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità), in uno studio pubblicato alcuni anni fa ma tuttora validissimo, stabilì dopo un’attenta, approfondita ed estesa ricerca sugli anziani, che almeno un terzo della loro salute dipende dalle relazioni sociali, in particolare con la famiglia, i giovani, gli amici e i coetanei. Non per motivi di tipo sociologico ma specificamente medici e psicologici. La ricerca sosteneva ciò che potrebbe essere intuito anche senza essere scienziati, e cioè che la solitudine dell’anziano, il vivere quella parte dell’esistenza senza relazioni sociali, incide in modo determinante sulla sua psicologia e quindi – per quella relazione fortissima che esiste tra stato mentale e stato fisico – sulla sua salute.
Se questo è vero nella normalità della vita quotidiana, risulta notevolmente ingrandito e negativamente rafforzato nei momenti di maggiore fragilità, di malattia e di ricovero ospedaliero. Lo ripetiamo, non siamo né medici né scienziati, ma ci basiamo su questi studi, sulle esperienze di alcuni ospedali e sulla conoscenza, per quanto vale, della condizione degli anziani soli. E ci chiediamo: non è proprio possibile aprire gli ospedali alle visite dei ricoverati, soprattutto se anziani, ma non di meno agli altri? Perché se è vero che la solitudine di queste persone è più pesante – per ovvi motivi dettati dal semplice buon senso – è pur vero che in tempi di pandemia la solitudine ha effetti non positivi anche per chi anziano non è.
Certo, meglio la solitudine che l’aggravarsi della malattia dovuto alla non osservanza delle norme di contenimento del contagio e di igiene, ma non è possibile trovare una via di mezzo? Perché a volte viene il dubbio che, oltre a un legittimo timore dell’estendersi dei contagi e di aggravamento delle condizioni degli anziani, vi sia anche una carenza di organici, cioè di personale specializzato che possa garantire una gestione controllata e sicura di quelle auspicabilissime visite. Alcuni primari si sono espressi con molta forza a questo proposito. Per esempio, Alberto Giannini, primario di Terapia intensiva pediatrica agli Ospedali civili di Brescia nonché componente del Comitato etico della Società italiana degli anestesisti-rianimatori, ha affermato che la chiusura degli ospedali alle visite: «Sembra la scelta più corretta, ma probabilmente non lo è. Se all’inizio della pandemia la scelta di isolare i pazienti era ampiamente condivisa e motivata, oggi norme così restrittive non sono più giustificate né giustificabili. Il corretto uso di mascherine e camici protegge efficacemente da questo virus».
Rincara la dose Paolo Malacarne, primario fino a pochi giorni fa dell’Ospedale Cisanello di Pisa: «Gli altri ospedali stanno chiudendo di nuovo le porte perché hanno paura, ma anche per questioni culturali: benché largamente smentita, l’idea che i familiari rappresentino un intralcio o siano responsabili della diffusione dell’infezione è difficile da scardinare». Inoltre «alcuni direttori sanitari chiudono perché sono pigri e infingardi: blindare i reparti è la strada più comoda, consentire l’ingresso di un familiare comporta un impegno organizzativo considerevole, ma è un dovere morale cui non possiamo sottrarci». Non sapremmo dire nulla in più di maggiormente chiaro, esplicito ed eticamente ineccepibile.
