Con la scusa di adeguare i valori degli immobili, la riforma del catasto bussa di nuovo alla porta dei contribuenti.
L’Italia sta cercando di tornare alla normalità. Mentre si riducono i contagi e i morti per il Covid, aumenta il Pil, con percentuali che non si vedevano da anni. Purtroppo la ripresa è accompagnata da un ritorno delle cartelle esattoriali, ovvero del Fisco che ricomincia a bussare alla porta dei contribuenti. E non lo fa solo con le ingiunzioni di pagamento, quei curiosi solleciti che danno tempo un mese per versare il tributo pena l’aumento delle sanzioni.
No, ora ci si mette anche il Catasto, con una riforma che, con la scusa di adeguare i valori degli immobili, nasconde semplicemente una stangata fiscale. È vero, il presidente del Consiglio ha negato che il governo voglia introdurre nuove tasse e quando il segretario del Pd Enrico Letta rispolverò l’idea di rincarare la tassa di successione, ovvero di varare un prelievo dell’1% sui patrimoni lasciati in eredità a coniugi e figli, replicò dicendo con una frase secca: «Questo non è il momento di prendere i soldi dai cittadini, ma di darli».
Tuttavia, la riforma del Catasto non significa introdurre una nuova tassa, come avrebbe voluto fare Letta e come da tempo chiede la sinistra unita, in particolare quella che fa capo a Liberi e Uguali. Rivedere gli estimi, adeguandoli ai valori di mercato, può essere fatto senza inventarsi una patrimoniale, senza neppure dichiarare un aumento del prelievo. Anche nel passato, quando altri esecutivi carezzarono l’idea di aggiornare le stime immobiliari, i ministri di turno si affrettarono a precisare che la riforma sarebbe stata a costo zero per il contribuente, cioè a gettito invariato.
Ma le rassicurazioni sono difficili da credere, perché se da anni il Fisco registra i valori reali delle compravendite, lasciando però che le tasse, cioè l’imposta di registro, siano pagate su una dichiarazione molto più bassa, è solo per rivedere al rialzo le quotazioni di mercato. Del resto, non ci vuole molto a capire che un aggravio della tassazione si nasconda dietro alle parole tranquillizzanti.
Se davvero si aggiornassero i valori a quelli reali, si potrebbero perfino abbassare le imposte, riducendole di un punto o di un punto e mezzo, ma con il risultato che il contribuente pagherebbe di più. Un gioco di prestigio facilmente smascherabile. Pagare il 4% su 100.000 euro equivale a versare al fisco un assegno di 4.000 euro. Pagare il 2,5% su 200.000 euro costerebbe invece 5.000 euro. Chiaro il trucco? Se poi si considera che i valori catastali spesso sono quattro volte di meno, l’aggiornamento potrebbe avere effetti devastanti per le tasche dei cittadini. Con aumenti anche superiori al 100%.
Ma l’operazione rincari non si fermerebbe a questo, perché rivedendo gli estimi, verrebbero riviste di certo anche le rendite catastali, ossia quel numerino che si usa per calcolare l’Imu. È vero che al momento l’imposta introdotta da Mario Monti è caricata solo sulle spalle dei proprietari di seconde case (i quali tuttavia sono 5 milioni e mezzo di italiani e pagano per tutti, in quanto la cancellazione della tassa per chi possiede una sola abitazione è stata finanziata con l’aggravio del prelievo su chi ha l’appartamento al mare o ai monti), ma dal 2012 le tasse sulla casa sono passate da 9 a 22 miliardi e con il gioco della riforma del Catasto questi ultimi potrebbero trovarsi con un fardello ancor più pesante.
E non è detto che un bel giorno, per fare cassa, il Fisco non si rifaccia anche su chi, con fatica e con un mutuo, si è comprato il tetto sotto il quale abita. Naturalmente io mi auguro che il progetto, dato ormai per prossimo da molti organi di stampa, sia accantonato per almeno due motivi. Il primo è che ricordo che cosa accadde quando l’ex rettore della Bocconi, per fare i compiti a casa come piaceva ad Angela Merkel e all’Europa, introdusse l’Imu. Come previsto, il mercato immobiliare crollò e anche quello dell’edilizia, con il risultato che, sentendo minato un investimento che ritenevano sicuro, molti italiani rallentarono anche i consumi, generando una crisi da cui per uscirne ci abbiamo messo anni.
Il secondo motivo è che, a differenza di quanto si crede, ritengo che la casa sia già stangata a sufficienza. Basta fare due conti e confrontare il prelievo sugli investimenti finanziari per rendersi conto che comprare un’abitazione e mantenerla (soprattutto se è un appartamento per le vacanze) costa di più dell’imposta di bollo che il Fisco ha introdotto a carico delle operazioni in titoli. In pratica, lo Stato, anziché agevolare le famiglie, invece di aiutare le imprese edilizie, ovvero un comparto che genera lavoro, privilegia la Finanza, ovvero la speculazione. Un bel modo di far ripartire il Paese.
