Nella stragrande maggioranza dei casi, i caduti sul lavoro si possono evitare introducendo maggiori controlli.
In un solo giorno, la settimana scorsa, il lavoro ha mietuto altre sei vittime in Italia, due nel milanese, una nell’hinterland di Torino, una a Capaci in provincia di Palermo, una nel Padovano e una nel Pisano. Sono morti diverse. Su alcune di esse in particolare le Procure hanno aperto delle inchieste. A queste vittime ne va aggiunta una che riguarda un operaio investito e ucciso mentre lavorava in autostrada nel Foggiano, più altri quattro decessi sul lavoro, appena qualche giorno fa, in appena 24 ore.
Ha detto bene il sindacato sostenendo che non possiamo sentirci ripetere, ogni volta che questo accade, che si tratta di una «tragica fatalità». Le fatalità sono fatti per i quali non si può praticamente fare niente, si chiamano così perché sembra siano guidate da un destino indipendente dalle azioni degli uomini. Per quanto riguarda i morti sul lavoro, nella stragrande maggioranza dei casi non si tratta di fatalità bensì di eventi che potevano essere evitati se si fosse fatto e controllato ciò che si doveva fare e controllare.
Fatalità un corno. Si chiama responsabilità, esattamente il contrario. Nella fatalità non ci sono cause che conosciamo, nei fatti ci sono cause che conosciamo anche nella loro responsabilità. In Italia, secondo dati rielaborati da Edoardo Di Porto e Tito Boeri, gli incidenti mortali sul lavoro sono più numerosi che in altri Paesi: da noi sono circa 2,5 ogni 100.000 lavoratori per anno, nei Paesi dell’Unione europea la media è 1,9 ogni 100.000 lavoratori. Giustamente viene osservato dai due studiosi che questi numeri non sono imputabili né al peso rilevante del settore manifatturiero nella nostra struttura dell’occupazione (ci sono casi anche nei servizi), né al fatto che da noi, diversamente da altri Paesi, vengono contabilizzati anche gli incidenti nel transito da casa al lavoro.
Vogliamo chiarire subito che quanto scriviamo non ha alcun intento negativo nei confronti della classe industriale e imprenditoriale in genere, ma nasce dalla consapevolezza che il rispetto delle regole richiede ovunque, compresi i conventi, una vigilanza continua e specifica. Le regole senza controlli e sanzioni sono praticamente inutili. E qui, in Italia, casca l’asino: perché la prevenzione di questi incidenti – oltre alla responsabilità etica di chi gestisce la sicurezza nelle aziende e degli imprenditori stessi – dovrebbe costituire il fondamentale presupposto della sicurezza sul lavoro. Tale prevenzione, però, non può che trovare un fondamento importante nel rafforzamento urgente e poderoso degli ispettori e della loro relativa attività sui luoghi di lavoro.
A questo riguardo i numeri che ci fornisce il rapporto annuale dell’Ispettorato nazionale del lavoro ci dicono che negli ultimi 10 anni c’è stato un calo costante del numero degli ispettori. Limitandoci solo a quelli del ministero del Lavoro e dell’Inps, gli ispettori che dovrebbero vigilare sono diminuiti dal 2010 al 2020 del 30 per cento, da 5.500 siamo arrivati a 4.000. Siamo anche in questo caso notevolmente al di sotto della media europea che vede il numero di costoro ben più alto del nostro.
Cinque anni fa venne istituito l’Inl (Ispettorato nazionale del lavoro) che doveva unificare in un’unica agenzia l’attività dell’Inps, dell’Inail, del ministero del Lavoro. È poi utile ricordare che della sicurezza sul lavoro si occupano anche vigili del fuoco e Asl. In realtà si è assistito a un calo di aziende ispezionate sia da parte dell’Inps (da 90.000 nel 2010 a poco più di 15.000 nel 2019) sia dell’Inl (da circa 150.000 a 113.000 nel 2019).
Tra l’altro, spesso questi ispettori sono burocrati – con tutto il rispetto – inviati a controllare luoghi che non conoscono: ispezionare un cantiere edile non è uguale a ispezionare un cantiere stradale, ispezionare un’azienda sanitaria (vedi i due morti a causa dell’azoto) non è uguale che ispezionare un’industria metalmeccanica. L’attività di monitoraggio richiede, infatti, conoscenza ed esperienza che senza perdere tempo vadano al nocciolo delle questioni, individuando quelle situazioni che possono comportare un pericolo per l’incolumità dei lavoratori e consentendo agli enti preposti di sanzionare chi non rispetta le regole.
Qui c’è di mezzo la vita delle persone. E così come in altri ambiti – vedi quello fiscale – in cui lo Stato è spesso giustamente inflessibile, dove c’è di mezzo la vita delle persone lo dovrebbe essere ancora di più. Occorrono più ispettori e più ispezioni.
