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Il Migliore (e i migliorabili)

Il Migliore (e i migliorabili)

Tutti ci invidiano Mario Draghi. Un po’ meno alcuni dei suoi ministri, spesso dei supertecnici, che però alla prova dei fatti stanno deludendo. Probabilmente anche il premier.


Apparve all’improvviso, accolto come un messia. Era «il Migliore». Emanava una luce talmente accecante da far scintillare i ministri chiamati al desco governativo. «Migliori» anche loro, per avventata proprietà transitiva. Sono passati sei mesi. Mario Draghi sembra ancora l’uomo della provvidenza. Tiene insieme la maggioranza più spericolata di sempre. Ha fatto approvare lestamente la riforma della giustizia, non proprio la sua tazza da tè. Viene osannato in Europa, munifica e riverente. È benvoluto in patria, dove gode di popolarità bulgara.

Peccato per il resto. Il Migliore è ormai circondato da migliorabili: acclamati supertecnici, inossidabili politici, improbabili beneficiati. Prendiamo il ministro dell’Istruzione, Patrizio Bianchi. Mica un’Azzolina qualsiasi, insegnante già in forza a Biella tacciata d’aver scopiazzato la tesina per l’abilitazione, bensì un illustre ex rettore, fraterno amico di Romano Prodi. Stessa flemma. Una garanzia. Il periodare, invece, è quello di Pier Luigi Bersani, suo mentore politico. «Io ministro? L’ho imparato ieri sera» informa difatti appena nominato, rimasticando quel dialetto ferrarese che gli è rimasto appiccicato come una big bubble sulla suola a carrarmato.

«Speriamo che faremo tutti bene» trilla di seguito, in spregio alle odiose regolette sui congiuntivi da mandar giù in terza elementare. E adesso, dopo un semestre in viale Trastevere, nel ruolo che fu di Benedetto Croce e Giovanni Gentile, informa: «Non sono mica Harry Potter!». Difatti. Bianchi non è certo il più abile maghetto del governo. Anzi: guida la lista dei sacrificabili, quando s’udirà il primo stormir di rimpasto. A un mese dall’inizio delle lezioni, la scuola è un pandemonio. Come la scorsa estate, in effetti. L’Invalsi ha appena certificato: Dad e disorganizzazione sono stati una catastrofe educativa. Prevenzione, monitoraggio, tracciamento, quarantene: cosa ha in serbo il già magnifico? Agostino Miozzo, ex coordinatore del Comitato tecnico scientifico e consigliere del ministro, annuncia l’apocalisse: «Il ricorso alla Dad sarà inevitabile». Proprio mentre Bianchi, che l’ha chiamato al suo fianco, trilla: «A settembre si torna tutti in presenza».

Ormai viene sbertucciato perfino dalla sua improbabile predecessora, di cui comincia a ricalcare le gesta. Del resto, è stato a capo della task force azzoliniana sulla ripartenza: per fermo volere del Pd, si sfogò lei appena destituita. Comunque sia: pure Bianchi ha deciso di investire qualche milioncino per comprare altri banchi e completare l’arsenale degli arredi rotanti. In compenso, anche quest’anno scolastico comincerà nel parapiglia. Per le graduatorie dei precari, è in arrivo un algoritmo: lo stesso sperimentato dal governo Renzi, tra valanghe di ricorsi. Per la cronica carenza di aule, aggravata dalla pandemia, si discetta di un apposito bando: ad agosto inoltrato.

Non doveva finire così. Bianchi, lo scorso aprile, promette perfino «una scuola più affettuosa». Come un illuminato padre della patria, aggiunge che questo sarebbe stato un «anno costituente». Invece, in tutto l’arco parlamentare, cresce il numero degli ingrati: sperano che presto Patrizio Potter torni a far la briscola con Romano Mortadella. Asprezze neppure ipotizzate per Enrico Giovannini, ministro delle Infrastrutture. Eppure, condivide con Bianchi l’onere del ritorno a scuola in sicurezza. Se ne parla, senza sosta, dalla primavera 2020. «Stiamo lavorando» informa Giovannini, un anno dopo, nelle copiose interviste concesse. Perché lui non è solo un ottimato.

È un indefesso. Basta dare un’occhiata al suo sterminato curriculum, colmi di riconoscenza: persino il re del Bhutan, ricorda Mario Giordano sulla Verità, l’ha chiamato per elaborare «un nuovo paradigma di sviluppo sostenibile». Pure qui è venerato. Quando la politica chiama, lui scatta: «Eccomi!». Indispensabile perno della task force contro l’evasione fiscale, creata dall’allora premier, Silvio Berlusconi. Inamovibile membro del comitato dei saggi, voluto dall’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. E soprattutto, nel 2012, a capo della commissione per il taglio dei vitalizi. Lavoro più massacrante dello studio leopardiano, matto e disperatissimo. Comunque sia: quattro mesi dopo, viene prodotto un documento di 37 pagine, pieno di inafferrabili formule matematiche. Conclusione: «Nonostante l’impegno profuso, la commissione non è in grado di effettuale il calcolo con l’accuratezza richiesta».

Un incarico via l’altro, l’ex presidente dell’Istat viene pure nominato ministro del Lavoro nel governo Letta. Esperienza fugace. Nemmeno il tempo di scatenare la furia riformatrice e arriva Renzi. Ma stavolta, santa miseria, doveva andare diversamente. Cosa c’è di più urgente del futuro dei nostri figli? «Stiamo lavorando» assicura Giovannini. Esasperati, tutti gli fanno fretta. Lui, piuttosto che di puzzolenti corriere, preferisce però discettare dell’«attraversamento stabile» tra Messina e Reggio Calabria. Quel Ponte sullo Stretto vagheggiato da mezzo secolo. Nell’attesa del miracolo infrastrutturale, che si fa più modestamente con i lavori in corso che infelicitano ogni santissima estate? Il ministro, due mesi fa, promette: «Cambiamo il calendario dei cantieri». Difatti in Liguria, già tagliata fuori dopo il crollo del Morandi, è in corso un’aspra gara autostradale: dove si formerà la colonna più smisurata? A luglio è già stato infranto ogni record: venti chilometri di coda, da Sampierdarena ad Arenzano.

Tra i migliori chiamati al governo c’era, ovviamente, anche la truppa dei mattarelliani, voluti dal presidente della Repubblica. Capo delegazione, l’ex presidente della Corte costituzionale, Marta Cartabia, diventata Guardasigilli. La sua riforma della Giustizia é stata approvata. L’Unione europea chiedeva del resto di contenere l’indecenza dei processi eterni, pena taglio dei fondi. E il resto? Politicizzazione, correnti, clientele. E il Csm: uno scandalo dopo l’altro, andrebbe rivoltato. La voluta dimenticanza resta imperdonabile. Eppure, due mesi fa, Cartabia avverte: «Urge la riforma del sistema per la credibilità delle toghe».

Così come urgeva il «cloud della pubblica amministrazione». «Entro il 30 giugno assegneremo la concessione pluriennale» giura in primavera un altro inarrivabile, Vittorio Colao. Progetto epocale. Una nuvola virtuale su cui far migrare i dati informatici. Ma le offerte per la gara arriveranno solo dopo l’estate. Colao, al tempo, assicura che avrebbe spinto pure sullo Spid. Provvidenziale. Perché, dal commercialista al medico condotto, senza un’identità digitale saremo presto cenere. Serve perfino per il contestato green pass. Ma mentre Marcell Jacobs vince l’oro olimpico sfrecciando a 9,80 secondi, ottenere lo Spid resta sfibrante: fila alle Poste, l’addetto spiega che «serve un codice per la prenotazione», si torna dunque con il numerino tra le dita, «meglio telefonare» dicono allo sportello, «troppe chiamate in attesa» informa però la voce metallica.

Colao Meravigliao lo chiama Dagospia. Era stato ancora Mattarella, nella primavera 2020, a volerlo a capo della task force per la ripartenza. Dopo due settimane, si scopre che pure lui adempie allo storico compito in smart working, dalla sua magione londinese. E perché non tornare in Italia? «Perderei tempo». L’8 giugno 2020 vede finalmente la luce il «Piano Colao»: 102 preziose slide, sfacciatamente ignorate dal perfido Giuseppe Conte. Deposto l’ex premier, è così riemerso l’ex numero uno di Vodafone: ministro per l’Innovazione tecnologica.

A dispetto di tutto, è invece rimasto dov’era, alla Salute purtroppo, Robertino (senza) Speranza. Come Luciana Lamorgese, bisministro dell’Interno. Pure lei, quota Mattarella. Nel suo caso, bastano tre numeri. Quattro agosto 2019, Matteo Salvini al Viminale: da inizio anno, 3.936 persone sbarcate sulle coste italiane. Quattro agosto 2020, con Lamorgese e i giallorossi: 14.832 arrivi. Quattro agosto 2021, governo dei migliori: gli immigrati salgono a 30.224 arrivi, + 668% rispetto ai tempi del leader leghista. Per fortuna, di scafisti e clandestini si occupa anche Luigino Di Maio: ministro in tre governi di fila. Una liana dopo l’altra, è agli Esteri. Reduce dalla quinta infruttuosa visita in Libia da inizio anno, ora vorrebbe donare 240.000 reiette dosi di vaccino AstraZeneca al Paese nordafricano. Potrebbe essere il motivo per cui Tripoli continua a rimbalzarlo.

Nella pattuglia dei grillini al governo c’è pure, alle Politiche giovanili, Fabiana Dadone. La ricordiamo per due sussulti. Le scarpe di vernice rossa sulla scrivania ministeriale, dirompente scatto in omaggio alla lotta contro la violenza sulle donne. E poi la minaccia di dimissioni dei ministri del Movimento, sulla riforma della giustizia: «Ipotesi da valutare». Nessuno se la fila. «Sono stata fraintesa» ritratta qualche ora dopo. Talento purissimo. Inclassificabile, più che migliorabile.

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