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Maschi che invidiano le donne

Maschi che invidiano le donne

I dati dal mondo del lavoro sconfortano. La componente femminile, anche in pandemia, è penalizzata. Di sicuro c’è anche una ragione psicanalitica…


Non c’è nulla da fare, il lavoro delle donne vale meno di quello degli uomini. Non è quello che pensiamo noi, è purtroppo una fotografia della realtà. E francamente, più che a specialisti del diritto di questa materia, ai giuslavoristi, o agli economisti del settore, per analizzare questo problema, anzi macigno, dovremmo rivolgerci a esperti del settore psicologico, psichiatrico e soprattutto psicanalitico.

Perché è evidentissimo che la questione non riguarda le capacità delle donne ma la considerazione che gli uomini hanno delle donne nel mondo del lavoro. E perché ci vorrebbe l’aiuto di un analista? Perché – ancora nel 2021 – molti maschi hanno paura delle capacità delle colleghe che sanno, per molti versi, essere superiori alle proprie e non possono concepire che la personalità di una donna possa rivestire un ruolo che ritengono, se non esclusivo, più adatto all’uomo: ossia comandare.

Altro che quote rosa, altro che parità di genere. Qui ci vorrebbe un simposio di Sigmund Freud, Carl Gustav Jung, Alfred Adler, Michel Foucault, Viktor Frankl e altri per decretare che questo è il problema e l’economia e la legislazione sono frutto di questo problema. Il contrario è semplicemente falso. Anche perché è dimostrato, come abbiamo già sottolineato altre volte, che le donne – poste in posizioni dirigenziali – incrementano più degli uomini l’efficienza delle imprese da loro dirette. Ma questo vale anche per ruoli meno importanti.

Per non parlare delle donne che svolgono il lavoro a casa, non retribuito e soprattutto non computato ai fini pensionistici. È un’attività, quella delle cosiddette casalinghe, che ha le fattezze di un fantasma. Non esiste, non si vede, non si considera. Un dato del 2021 su tutti: ancora una volta il prezzo più alto della pandemia in termini di occupazione è pagato dalle donne. Quest’anno hanno beneficiato dei nuovi contratti attivati in larga maggioranza gli uomini. Per le donne, solo il 14% di impieghi a tempo indeterminato. E quando si tratta di stabilizzazioni, cioè assunzioni obbligatorie dopo un determinato periodo, a loro spetta appena il 38%. Mentre il 49,6% di tutti i contratti femminili è a tempo parziale. Nel caso degli uomini siamo al 26.

I dati emergono dal Gender Policies Report elaborato dall’Inapp, l’Istituto di analisi delle politiche pubbliche. Questo centro di ricerca certifica che le diseguaglianze aumentano anziché diminuire e, secondo le statistiche, il tasso di occupazione degli uomini è il 67,8% mentre quello femminile si ferma al 49,5. Il motivo, in parte, è che in Italia molte donne, violando due diritti costituzionali (quello relativo alla centralità della famiglia e quello del diritto al lavoro) devono ancora scegliere tra fare le mamme e lavorare.

Ma il resto come si spiega? Anche questa incapacità italiana di emanare leggi che consentano di conciliare maternità e occupazione non dipende forse dai motivi psicanalitici che dicevamo all’inizio? Se è così – e noi pensiamo lo sia – più che le quote rosa servirebbe l’inserimento di quote grigie, cioè attinenti alla materia contenuta nella scatola cranica; e dovrebbe essere richiesto un patentino psicologico e analitico – concesso solo dopo profonde e prolungate esami – a chi decide le sorti della strutturazione del lavoro in Italia.

Nel 2020, rispetto al 2019, le donne che hanno perso il lavoro sono state 470.000, gli uomini 370.000. Settecentocinquantamila donne che lavorano (quasi l’8%) sono state in cassa integrazione, congedo, ferie, aspettativa o hanno alternato queste condizioni all’impiego regolare. Il 26% delle occupate ha visto un deciso peggioramento della conciliazione tra gli impegni familiari e il lavoro. Chi ha seguito il peso della Dad? Su quali spalle sono ricaduti gli obblighi di questo mostro dell’insegnamento a distanza? Sempre nel 2020, il 45% delle lavoratrici ha avuto la percezione che, rispetto agli uomini, sia aumentato il rischio di perdere il proprio posto.

Cosa dobbiamo dire di più di ciò che raccontano questi dati? È sconfortante, anche perché è stato scientificamente e statisticamente provato da un’infinità di studi e ricerche che un maggiore coinvolgimento delle donne nel mercato del lavoro produrrebbe un incremento considerevole del Pil per vari motivi attinenti alle loro capacità e ai loro talenti naturali.
Chissà quando lo capiranno coloro che hanno la responsabilità di legiferare su questa materia…

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