Se neppure agosto è riuscito a risollevare le sorti del commercio, l’autunno non potrà che essere peggio. E se soffre il commercio, soffre il Paese.
Qualche giorno fa, come faccio ogni tanto allo scopo di rimanere in esercizio, ma anche di guardarmi attorno e vedere come cambia Milano, mi sono recato a piedi in redazione. In corso Buenos Aires, quella che un tempo era considerata la via commerciale più vivace d’Italia, ho provato a contare il numero di negozi con le saracinesche abbassate. Affittasi, vendesi, chiuso per cessata attività, sconti fino al 90% causa chiusura: alla fine ho perso il conto.
Per curiosità mi sono spinto anche in via della Spiga, una delle strade del cosiddetto «quadrilatero della moda». Il numero di vetrine vuote era minore rispetto a corso Buenos Aires, ma anche lì non erano poche quelle rimaste orfane dei grandi marchi del Made in Italy. Al contrario di ciò che in piena pandemia diceva il sindaco Beppe Sala, guardando la lunga fila di negozi chiusi si ha la sensazione che Milano non riparta.
Ma la capitale economica d’Italia non è la sola. Giorni dopo la passeggiata di corso Buenos Aires, ho ripetuto l’esercizio, fisico e giornalistico, in via Veneto, a Roma, uno dei luoghi della dolce vita, che Eugenio Scalfari celebrò in un libro come luogo d’incontro di intellettuali, politici e attori. Stessa triste desolazione, come a Milano. Alberghi chiusi, apparentemente per ristrutturazione, ma dalle cui finestre impolverate si potevano scorgere tavoli apparecchiati, come se la decisione di abbassare la saracinesca fosse arrivata all’improvviso. Quanto ai negozi, ce n’erano alcuni dove i cartelloni della réclame dei saldi erano ormai ingialliti. Non molto diversa la situazione in via del Corso, luogo di struscio e offerte luccicanti che tange i palazzi della politica, da Montecitorio alla sede del governo.
Sì, il commercio soffre e se soffre il commercio, cioè l’ultimo anello del ciclo economico, quello dove i prodotti si vendono, soffre l’Italia. I dati dell’ufficio studi di Confcommercio, la più grossa delle organizzazioni che rappresentano gli esercenti, parlano chiaro. Nel 2020, il Covid è già costato al Paese 116 miliardi di consumi in meno, 1.900 euro a testa per ogni italiano. In percentuale, il crollo maggiore lo si è registrato in Trentino, in valore assoluto in Lombardia: 22,6 miliardi, l’equivalente di una manovra. Nella classifica di chi perde di più, subito dopo Milano e dintorni si piazza il Veneto (con 14 miliardi in meno), poi il Lazio (-12), l’Emilia Romagna e la Toscana perdono gli stessi soldi (-10), il Piemonte poco meno (-8).
Qualcuno potrebbe obiettare che era inevitabile. Se si rimane chiusi in casa per mesi, difficile che i negozi possano vendere e gli alberghi girare a pieno regime. Vero. Ma la situazione non è migliorata quando gli italiani sono stati liberati. Anche quando hanno avuto la possibilità di fare le vacanze e concedersi qualche acquisto e qualche lusso, i consumatori, pur rimanendo in Italia, non sono tornati a spendere come prima della pandemia.
Tanto è vero che ad agosto, sempre Confcommercio ha registrato una diminuzione dei consumi dell’8,7%. Meno 61% nei cosiddetti settori ricreativi (cinema, discoteche, eccetera), meno 35 per gli alberghi, meno 26 nei pubblici esercizi (bar, ristoranti, eccetera). L’ufficio studi parla di situazione drammatica e probabilmente non sbaglia, perché quelle appena riportate sono percentuali catastrofiche. Nessuna impresa è in grado di reggere se il fatturato ha cali del genere. Se poi l’azienda è piccola, a conduzione familiare come la maggior parte dei negozi e delle attività alberghiere e di ristorazione, lo sbocco è inevitabile.
Se neppure agosto è riuscito a risollevare le sorti del commercio (la dice lunga il consumo della benzina, in costante calo, perfino nei mesi estivi), l’autunno non potrà che essere peggio. Il direttore di un hotel del centro di Roma mi racconta: noi siamo a due passi dai ministeri, eppure non c’è stato un ministro, ma neppure un funzionario, che sia entrato per chiederci che cosa ci servisse per ripartire. Hanno fatto il buono vacanze ed è stato un flop, perché noi non abbiamo bisogno di crediti di imposta, ma di liquidità per poter andare avanti e pagare gli stipendi.
Alla fine mi sono convinto di una cosa. Le auto blu non vanno abolite perché sono uno spreco, ma perché se i politici andassero a piedi per le vie della città non solo ne trarrebbe giovamento la loro salute, dalla camminata otterrebbero qualche utile indicazione. Di sicuro, passeggiando, scoprirebbero il Paese reale, che non è fatto solo di conferenze stampa senza pubblico, ma di un pubblico che ha cose concrete da dire. Persone che lavorano e che il lavoro lo stanno perdendo mentre gli onorevoli discutono dei massimi, ma troppo spesso anche dei minimi, sistemi.
