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Il senso di Sciascia per la pittura

Il senso di Sciascia per la pittura

Lo scrittore di cui ricorre il centenario della nascita aveva una profonda sensibilità per le opere figurative. E ha anche scritto di grandi talenti trascurati dalla critica quali Fabrizio Clerici, Alberto Savinio, Pietro Guccione: «Mi piacciono i pittori di memoria, riflessivi, speculativi».


Sono passati quasi quarant’anni anni da quella bella giornata di autunno del 1983 in cui, nella casa di Ro, dove sono vissuti i miei genitori, arrivarono in frotte gli amici e gli estimatori di Fabrizio Clerici dopo l’inaugurazione della mostra a Palazzo dei Diamanti per i settant’anni dell’artista. Il curatore era Federico Zeri: la sua autorevolezza come storico dell’arte antica era la miglior garanzia per un pittore colto, trascurato se non ignorato dalla critica come Clerici, del quale Jean Cocteau, lontano dai pregiudizi e dalle preclusioni della critica nostrana, aveva scritto: «Fabrizio Clerici non è forse uno dei prìncipi di questo realismo irreale che sarà il segno distintivo del XX secolo?».

Eppure per molti la mostra di Ferrara fu una rivelazione. Non tanto per gli «happy few» che convennero a casa, uomini di gusto internazionale e sofisticato. Fra tutte era preziosa la presenza di Leonardo Sciascia, e non per la sua riconosciuta grandezza di scrittore. Aveva, come Zeri, l’età di mio padre. Era stato lui il primo e il più convinto sostenitore di Clerici nella lunga traversata nel deserto per arrivare all’oasi di Ferrara, primo presidio dell’arte contemporanea in Italia grazie all’intelligenza e all’impegno di Franco Farina, l’inventore della formidabile e precocissima stagione delle grandi mostre di Palazzo dei Diamanti. Consumati i Sironi, i De Pisis, i Morandi, i Rauschenberg, i Jim Dine, gli Andy Warhol, aveva pensato bene di perlustrare luoghi più misteriosi e umbratili. Ed eccolo arrivare a Clerici, e l’anno dopo a Leonor Fini; poi al meraviglioso e dimenticato Gustavo Foppiani. Una stagione di sogni per Ferrara. Ma il rompighiaccio era stato Clerici.

Nella lunga notte degli equivoci, la voce che si era alzata, nitida e distinta, era quella di Sciascia, indifferente a teoremi e pretese di artisti obbligatori, magari riuniti in rassicuranti gruppi. Il primo incontro con Clerici era stato nel 1970 per illustrare la copertina di un libro di Sciascia: gli Atti relativi alla morte di Raymond Roussel. Sciascia ricambiò mettendo al centro di Todo modo «un dipinto attribuito a Rutilio Manetti», pittore del Seicento, visto nella cappella della casa di campagna di Clerici. Sciascia aveva capito la complessità dell’ispirazione di Clerici, a partire dal suo Sonno romano generato dalla mirabile immagine di Santa Cecilia di Carlo Maderno: per Sciascia Clerici è un artista «al servizio dell’invisibile».

Ora, una maledizione editoriale ostacola la pubblicazione di tutti gli scritti di Sciascia sull’arte e sugli artisti, che consentirebbe una riflessione sul peccato di superbia di molta parte della critica ufficiale o militante. Da molto tempo su questa materia lavora Giuseppe Cipolla che ha raccolto una vasta antologia degli scritti d’arte di Sciascia, sparsi su giornali, riviste e cataloghi. In attesa che gli incomprensibili veti cadano, Cipolla ha pubblicato il libro Ai pochi felici. Leonardo Sciascia e le Arti visive. Un caleidoscopio critico (edizioni Caracol), con introduzione di Gianni Carlo Sciolla, dove la ricostruzione delle scelte di Sciascia si nutre di citazioni e di parafrasi di testi introvabili ed episodici. Sciascia avverte: «Mi piacciono i pittori che nel loro immediato rapporto con la realtà, le forme, i colori, la luce, sottendono la ricerca di una mediazione intellettuale, culturale, letteraria. I pittori di memoria. I pittori riflessivi. I pittori speculativi. Un sistema di conoscenza che va dalla realtà alla surrealtà, dal fisico al metafisico».

Cipolla indaga anche sull’interesse di Sciascia per Guttuso, per Bruno Caruso, su Gaetano Tranchino, su Picasso e la sua Guernica, acutamente accostata da Sciascia al Trionfo della morte, l’affresco quattrocentesco proveniente da Palazzo Sclafani e conservato a Palazzo Abatellis a Palermo. Il disordine che crea la morte genera una vitalissima energia. Cipolla spiega anche la predilezione di Sciascia per artisti-illustratori come Clerici e Caruso.

Osserva ancora Cipolla: «L’approccio con l’arte contemporanea di Sciascia si fondava, invece, sull’avversione per le avanguardie. Sciascia, infatti, diffidava delle tendenze astrattiste manifestando invece il suo interesse per tutte le esperienze contemporanee che andavano verso il recupero del figurativismo; la sua posizione sulle avanguardie, a eccezione delle opere di René Magritte, è chiara (…). Eppure l’apprezzamento per Alberto Savinio letterato e pittore, la sensibilità con cui tratta le digressioni immaginarie di Fabrizio Clerici, ci restituiscono la perizia di uno sguardo curioso e scevro da condizionamenti ideologici».

È questa positiva concretezza che rende la pagina di Sciascia inevitabile per focalizzare perfino un grande artista, lungamente trascurato dalla critica, come Alberto Savinio. È lo stesso Clerici a ricordarlo: «Ecco, qui entra soprattutto l’importanza di Sciascia, a mio parere, perché Sciascia è andato a piluccare, dietro segnalazione anche di altri e sulla base delle sue stesse conoscenze dirette, tutti gli articoli che quest’uomo scrisse durante la vita, una immensa quantità di scritti che erano andati perduti, cioè quegli scritti di cui lui non aveva tenuto neanche delle semplici copie; scritti che egli elaborò per qualsiasi giorna­le o giornalucolo pur di avere anche un minimo compenso, perché era un uomo povero, con figli da mantenere, moglie, madre, tutto un insieme che era solo un tirare a campare».

Sciascia riabilita Savinio in termini radicali: «Sono riuscito a mettere insieme tutti i suoi libri. Ma tutti i suoi libri non fanno “tutto Savinio“: bisognerà raccogliere tutti i saggi, gli articoli e rendersi conto che si tratta, dopo Pirandello, del più grande scrittore italiano di questo secolo». Anche su Piero Guccione, altro pittore e illustratore di testi letterari, Sciascia indica affinità e radici, con interpretazioni originali: «In questo duplice senso, così cogliendone l’essenza, possiamo dire che Piero Guccione ha “strologato” immagini dal Gattopardo: come dalla volta notturna che don Fabrizio contempla e che una di queste immagini rende con misteriosa e ineffabile profondità. Ed è da dire che nella storia del libro illustrato, delle interpretazioni in immagini di opere letterarie, non molti esempi abbiamo di così stretta congenialità, di così immediata e sottile affinità, paragonabili a questo incontro del siciliano Guccione col romanzo del siciliano Tomasi: onirico incontro, su una irredimibile realtà».
Quando si scriverà una storia dell’arte del Novecento, le suggestioni e il contribuito di Sciascia saranno fondamentali.

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