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L’importanza di un altro punto di vista

L’importanza di un altro punto di vista

C’è un giornale in Francia dove i giornalisti pretendono di decidere chi li debba dirigere. Si chiama Le Journal du dimanche ed è un settimanale con 75 anni di storia. Il suo editore, Vincent Bolloré, all’inizio di maggio ha deciso di nominare un nuovo direttore e da allora «Jdd», come lo chiamano i francesi, è in sciopero perché ai redattori non piace il nuovo arrivato. Stéphane Albouny, questo il nome del responsabile designato dalla proprietà, è giudicato troppo di destra e dunque respinto; perciò, il settimanale manca dalle edicole ormai da oltre un mese.


Il caso è certamente singolare, e non soltanto perché dei dipendenti (nonostante si dicano liberi professionisti, i giornalisti non sono paragonabili ad avvocati o architetti, si tratta di persone regolarmente inquadrate, che alla fine del mese ricevono dall’editore, cioè dal proprietario della testata, una busta paga) si arrogano il diritto di decidere da chi essere comandati, ma perché dimostra quanto spesso sia di parte la cosiddetta libera stampa, la quale pretende di stabilire chi abbia diritto di parola e chi no, chi possa dirigere un settimanale e chi invece debba essere messo all’indice.

Per quanto lontana da noi, la storia de Le Journal du dimanche ci riguarda e mi ha fatto tornare in mente una vicenda di cui, oltre trent’anni fa, fui indirettamente protagonista. La Rcs, azienda che oltre al Corriere della Sera controllava anche diversi periodici, un giorno decise di sostituire il direttore dell’Europeo. Il prestigioso settimanale all’epoca era guidato da Lanfranco Vaccari e da tempo soffriva la concorrenza di Panorama e dell’Espresso. Per rilanciarlo fu chiamato Vittorio Feltri, un brillante ma sconosciuto inviato del quotidiano di via Solferino. Il punto debole del futuro fondatore di Libero non era però costituito dalla sua poca notorietà, ma dal suo pedigree politico: non era di sinistra. E alla Rcs, dove il sindacato era rosso fuoco, non potevano che accoglierlo con le barricate. Infatti, contro di lui, che non aveva ancora messo piede in redazione, fu dichiarato uno sciopero a oltranza, per costringere l’editore a rinunciare al terribile proposito di affidare a un giornalista «maldestro» la direzione. Lo scontro durò due mesi, periodo in cui l’Europeo mancò dalle edicole. Poi, per ragioni di bilancio familiare, la redazione fu costretta a rientrare in sede e, di malavoglia, a lavorare anche se non abbassò mai la guardia.

Ho vissuto quel periodo e ricordo la spocchia e il disprezzo dei colleghi verso coloro che, come Feltri e in misura minore il sottoscritto, avevano un’opinione diversa. Sta di fatto che quella fu la stagione in cui l’Europeo tornò a vendere come ai tempi d’oro. Nel 1992 Vittorio lasciò la direzione per assumere quella de L’Indipendente e nonostante molti colleghi abbiano festeggiato la liberazione dall’occupante, l’uscita di Feltri rappresentò la fine dell’Europeo, che infatti dopo qualche anno chiuse.

Ho raccontato questa storia per sottoporvi un paio di riflessioni. La prima è che facendo la guerra a chi non la pensava come loro, i giornalisti fecero la guerra a sé stessi, condannandosi a perdere il posto di lavoro e decretando la morte del settimanale per cui lavoravano. La seconda è che in nome della libera stampa, i colleghi pretendevano di censurare un direttore che non la pensava come loro: non proprio un bell’esempio di coerenza per chi dichiara a ogni piè sospinto di essere contro i bavagli.

La conclusione è semplice: se davanti alle proteste l’editore avesse ceduto, decidendo di rinunciare a designare Feltri all’Europeo (dove peraltro riscosse un grande successo) probabilmente non avremmo avuto L’Indipendente, poi il Giornale e quindi Libero e perfino La Verità, cioè quotidiani che in qualche modo sono nati dall’esperienza di quegli anni in Rcs. In altre parole, la censura preventiva avrebbe impedito grandi inchieste come Affittopoli, ma anche tante opinioni controcorrente a cominciare da quelle sul Covid. In buona sostanza, all’opinione pubblica sarebbe mancato un importante punto di vista, costretta a leggere i fatti degli ultimi trent’anni con gli occhiali faziosi dei radical chic in redazione.

La morale tiratela voi, cari lettori, ma a me sembra che i giornalisti di Jdd farebbero meglio a rimboccarsi le maniche e tornare a lavorare, perché con la scusa di difendere la loro indipendenza stanno dando la miglior prova dell’esistenza di un giornalismo dipendente dai propri pregiudizi e da un’arroganza che fa sentire certi cronisti superiori a quanti non la pensino come loro.

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