Un dibattito sull’estinzione degli italiani è sicuramente più importante dell’istituzione dello ius scholae. Il primo forse aiuterebbe a cambiare qualche cosa, il secondo al massimo a guadagnare qualche voto.
La scorsa settimana, in Parlamento, destra e sinistra se le sono suonate di santa ragione, facendo ballare anche il governo. A scatenare la rissa, per fortuna solo verbale, è stata la discussione della proposta di legge sullo «ius scholae», ovvero la modifica delle norme per l’acquisizione della cittadinanza italiana. Oggi un cittadino extracomunitario la può ottenere dopo 10 anni di residenza nel nostro Paese, ma Pd, Italia viva e grillini giudicano troppo lungo il percorso e dunque vorrebbero introdurre la possibilità di diventare cittadini italiani a seguito del compimento di un ciclo di studi di almeno cinque anni. In pratica, se la proposta della sinistra dovesse diventare legge, un bambino immigrato che avesse frequentato le elementari, all’inizio delle medie potrà ottenere la cittadinanza.
Per quanto mi riguarda, penso che 10 anni non siano un’eternità, ma un giusto periodo di integrazione, che consente di comprendere diritti e doveri. Dunque, non vedo l’urgenza di approvare una norma per trasformare in italiani ragazzi che magari dopo qualche anno, seguendo un viaggio a ritroso della famiglia, lasciano il nostro Paese, rimanendone però cittadini. Che fretta c’è di dichiararli tali, visto che dal punto di vista dei servizi sanitari, scolastici e assistenziali ricevono lo stesso trattamento di un italiano, in quanto la Costituzione riconosce a chiunque pari diritti? Probabilmente l’urgenza è dovuta all’avvicinarsi delle elezioni e dunque alla necessità di piantare qualche bandierina ideologica per differenziarsi dal centrodestra con cui la sinistra è al governo. In campagna elettorale nessuno dei due poli potrà vantare di aver contenuto l’aumento dei prezzi e nemmeno di aver rilanciato l’occupazione, visto che nonostante le promesse, gli obiettivi che più premono all’opinione pubblica non sono stati raggiunti. Perciò servirà qualche cosa da esibire e lo ius scholae, insieme con la legalizzazione della cannabis (altra proposta di Pd e grillini), possono tornare utili.
Ciò detto, pur ritenendo che la legge attuale sia migliore di quella che si vuole approvare, io non ne farei una battaglia di religione. Anche perché credo che l’Italia abbia ben altri e più urgenti problemi da affrontare di quelli che occupano le discussioni dei nostri parlamentari. Nei panni dei partiti che si accalorano per lo ius scholae, guarderei di più al tema di cui ci occupiamo nel numero odierno di Panorama, ossia al calo demografico. Gli italiani stanno scomparendo e non basterà dare la cittadinanza ai bimbi degli extracomunitari per invertire la tendenza. Qualche settimana fa, a dimostrarsi preoccupato per la tendenza è stato Elon Musk, il quale rispondendo a un tweet di un ricercatore, ha detto che di questo passo siamo destinati a estinguerci, perché il nostro Paese è tra quelli che nel mondo registrano il più basso tasso di natalità. Musk, oltre a essere un geniale e visionario imprenditore, coltiva ambizioni politiche molto importanti (ne parliamo a p. 56). E forse è per questo che si interessa a fenomeni demografici che possono cambiare la fisionomia di Paesi alleati degli Stati Uniti. Ciò detto, è sorprendente che il calo delle nascite nel nostro Paese abbia attirato la sua attenzione e non quella della nostra classe politica. Eppure, i dati sono sotto gli occhi di tutti. L’ultima previsione dell’Istat, stima che nel 2070 la popolazione del nostro Paese sarà di 47,6 milioni. In pratica, in meno di mezzo secolo perderemo 12,1 milioni di abitanti. Vi sembrano tanti? Be’, in realtà sono molti di più, perché il dato dell’istituto statistico tiene conto di un saldo attivo di immigrati per 6,5 milioni. Vale a dire che, senza calcolare il flusso di circa 120-130 mila stranieri che ogni anno si insediano in Italia, la popolazione si ridurrebbe di quasi 19 milioni. Dunque, se prosegue il trend di 400 mila nati l’anno, entro la fine del secolo gli italiani saranno dimezzati. I conti sono presto fatti, nonostante l’arrivo degli immigrati il saldo negativo tra nascite e decessi viaggia intorno alle 300 mila persone ogni anno; e di questo passo non c’è scampo.
Del resto, nella prima metà degli anni Sessanta, con cinque milioni di abitanti in meno, l’Italia superava il milione di nascite l’anno e oggi sono meno della metà. Secondo Roberto Volpi, autore di un libro in cui spiega come si estingue un popolo (Gli ultimi italiani, Solferino editore; lo intervistiamo a p. 11) a provocare un calo della natalità non contribuisce solo l’aspetto economico, ma anche un decennio «che ha cambiato la morale e insieme gli atteggiamenti e gli stili di vita degli italiani riguardo al sesso e ai rapporti sessuali da un lato e al matrimonio, alla famiglia e i figli dall’altro». Il riferimento è chiaro. Tutto comincia con il Sessantotto e prosegue con «un atto legislativo, per quanto importante, come l’introduzione del divorzio o il nuovo diritto di famiglia o la legalizzazione dell’interruzione della gravidanza». Per Volpi, che è uno statistico, è arrivato il momento di fare piena chiarezza sul rapporto tra de-nuzialità religiosa e denatalità: «Non si nasce più da quando gli italiani hanno smesso di sposarsi in chiesa, davanti al prete e all’altare, rinunciando al tanto evocato e bistrattato, temuto e santificato “per sempre”».
Non so se davvero rinunciare al matrimonio significhi, in pratica, inconsapevolmente rinunciare ai figli come sostiene lo studioso. Tuttavia, sono certo di una cosa: che un dibattito sull’estinzione degli italiani sia più importante dell’istituzione dello ius scholae. Il primo forse aiuterebbe a cambiare qualche cosa, il secondo al massimo a guadagnare qualche voto.