In uno dei suoi momenti più bui, il Paese ha scoperto un nuovo sentimento nazionale. Si sfoggiano il tricolore e l’inno… Si dichiara amore per la nostra terra. Ma ci sono anche molte ombre che non si possono tacere. Panorama ne ha parlato con: Bruno Vespa, Andrea Bocelli, Giovanni Orsina, Bianca Berlinguer, Alessandra Ghisleri, Lapo Elkann, Francesco Panella, Pietro Ichino, Flavio Briatore, Marco Rizzo, Roberto Calderoli, Pietrangelo Buttafuoco, Gianluigi Buffon e Marco Mazzoli.
E’ sotto gli occhi di tutti. Sta nelle bandiere tricolori appese ai davanzali e proiettate sui palazzi più belli. Esplode con l’inno nazionale cantato a squarciagola dai balconi. Ritorna nelle parole di quanti vogliono esprimere quella cosa lì – comunità, terra nostra, orgoglio – e per farlo rispolverano un termine che si credeva vetusto. Patria. Tra ciò che rimarrà di un orribile 2020 c’è questo: il superamento della retorica, l’affrancamento dagli scherni. Patria, bandiera, nazione. «Una conversione di massa che mi rende contento» la definisce Bruno Vespa. Il giornalista è tra le 12 personalità italiane – imprenditori, politici, ristoratori, intellettuali e un grande dello spettacolo come Andrea Bocelli – che hanno parlato con Panorama di cosa significhi essere patriottici oggi. In queste pagine raccontano il loro amore per l’Italia ma anche paure, speranze e rabbia. Perché la voglia di cantare dai balconi sembra già passata e il Paese è sempre più diviso in attesa di passi decisi che non arrivano. Dopo la generosità degli italiani, dopo il sacrificio degli eroi, avere a cuore la Patria potrebbe non bastare.
BRUNO VESPA. La nostra Italia è da ricostruire, ma con questo clima di divisione non ci riusciremo

Bruno Vespa, monumento del giornalismo italiano, ha vissuto da cronista gli anni in cui sventolare il tricolore era considerato da «fascisti».
Quand’è che la bandiera
ha cessato di venire identificata come qualcosa «di destra», tornando a essere simbolo dell’unità nazionale?
Con Carlo Azeglio Ciampi. Solo un uomo che proveniva dalla Resistenza e dalla sinistra moderata poteva sdoganare il tricolore e la parola «patria», che prima era assolutamente impronunciabile. Io sono stato testimone diretto di questa svolta.
Ce lo racconti.
Ciampi, quando visitava i capoluoghi, aveva l’abitudine di invitare a cena le personalità più rappresentative della città. Quando venne a L’Aquila, invitò me e Gianni Letta. Facemmo una passeggiata per il Corso, mi ricordo la fanfara degli alpini…
E che successe?
Chiesi a lui e a sua moglie di ripristinare la festa del 2 giugno: eravamo l’unico Paese che non festeggiava il suo «compleanno».
E oggi che effetto le fa vedere i tricolori sui balconi, la gente che intona l’inno, questo rinnovato senso di comunità?
È una conversione di massa che mi rende molto contento. E mi fa anche molta tenerezza. Un po’ del patriottismo «da pandemia» è montato anche in reazione alle angherie che l’Italia ha subito dall’Europa. I sondaggi dicono che il 67 per cento degli italiani ha sentimenti antieuropei: un numero enorme. Difatti mi pare che persino in Europa, dopo l’iniziale indifferenza, si stiano ricredendo.
A che allude?
Alle scuse di Ursula von der Leyen: fino a un po’ di tempo fa, una cosa impensabile, detta da una signora tedesca.
C’è il rischio che al governo usino il concetto di unità nazionale in modo strumentale? Il «non è tempo per le polemiche» serve a impedire che si discuta degli errori nella gestione dell’emergenza?
Lei ha iniziato parlando degli anni di piombo: quell’epoca la superammo proprio restando uniti. Non ne voglio fare una questione di maggioranza e opposizione, ma credo che oggi sia impossibile ricostruire il Paese se manca un clima di unità: i soldi sono pochi e i problemi sono enormemente più grossi di quello che appaiono. Se il clima non cambia, travolgeranno qualsiasi governo, di qualunque colore.
GIOVANNI ORSINA. La UE è matrigna, però occhio al rischio di vittimismi

Secondo Giovanni Orsina, storico e politologo, a capo della Luiss School of Government di Roma, quello patriottico non è un revival: semmai, «la partentesi è stata quella del radicalismo degli anni Sessanta-Settanta, che vedeva nell’idea di patria uno strumento borghese e capitalista».
Il patriottismo non è nuovo?
No: basti pensare al concetto di Resistenza come secondo Risorgimento, o agli scambi di accuse tra Dc e Pci di voler svendere la nazione allo straniero.
E dopo gli anni piombo?
Negli anni Ottanta, l’idea di patria viene declinata nei termini della positività della società civile italiana, che è vitale, esporta, crea.
Poi?
Spariti i partiti novecenteschi, si prova a ricostruire un riferimento condiviso proprio nell’idea di patria, specie con Carlo Azeglio Ciampi.
Come incidono oggi sul patriottismo gli attriti con l’Europa?
Il rischio è che il patriottismo diventi vittimismo. Che poi è la cifra dell’opinione pubblica:
il trionfalismo dell’era berlusconiana è finito.
BIANCA BERLINGUER. nessuno si salva da solo: oggi patria è L’Eeuropa

Bianca Berlinguer, giornalista e conduttrice di Cartabianca su Raitre, riflette sul nuovo patriottismo italiano.
Ma la sinistra è patriottica? «Lo è sempre stata», risponde la giornalista. «Lo dico da persona che in casa ha sempre respirato certi valori. Quando mio padre Enrico morì, mia madre volle che la sua bara fosse avvolta nella bandiera del Pci e nel tricolore. Disse: “Mio marito è stato prima di tutto un italiano che ha amato profondamente il suo Paese”». Per Bianca Berlinguer, però, il patriottismo «è amore per la nostra comunità, la nostra terra, la nostra cultura. Non è sciovinismo o sovranismo». E sulle sue radici non ha dubbi: «Quando si è combattuto il nazifascismo, chi era il patriota? Rispetto tutti i morti, ma c’era chi combatteva per la libertà degli italiani e chi per difendere la dittatura».
E in tempi di pandemia? «Ci salviamo solo se capiamo che, in un mondo globalizzato, non possiamo fare da soli. Il patriottismo oggi non può essere solo italiano: deve essere europeo. Il patriottismo è amore per la nostra comunità, la nostra terra, la nostra cultura».
ALESSANDRA GHISLERI. Il tricolore ha valore personale e collettivo. Per questo ci aiuta a combattere

Alessandra Ghisleri, sondaggista, politologa attenta osservatrice della società italiana.
«La bandiera italiana non appartiene a nessuno, come la parola Patria. È un valore di ciascuno di noi e al tempo stesso di tutti. Per questo nei momenti di crisi ci si riunisce intorno al tricolore: per sentirci comunità e combattere tutti insieme. Con questa crisi sanitaria ed economica, è fondamentale credere che ne usciremo, con le ossa rotte e perdite dolorissime. Ma che, come si dice, andrà tutto bene».
ANDREA BOCELLI. Quanta emozione l’inno nazionale. coltiviamo il nostro orgoglio

La voce lirica più nota al mondo scrive a Panorama.
di Andrea Bocelli
«La musica è un linguaggio universale, apre il cuore oltre alla mente, affratella e aiuta a essere persone migliori. Ci sono pagine che evocano più d’altre le tipicità emotive e valoriali della nostra amata Italia, esprimendo quel senso d’appartenenza che – lungi da derive nazionalistiche – dovrebbe rinsaldare il nostro Paese e rendere orgogliosi i suoi abitanti.
Penso ad alcuni classici della canzone popolare, ma anche ad alcuni popolarissimi brani del repertorio classico… Dal Nessun dorma pucciniano a Volare, al nostro magnifico inno nazionale. Quel Canto degli Italiani di Mameli e Novaro che evoca un sogno perseguito per decenni e raggiunto al costo di tante vite sacrificate. Da patriota convinto, lo intono sempre con orgoglio e confesso che devo ogni volta appellarmi al massimo controllo delle emozioni per non commuovermi… Perché dietro a quella melodia lineare e scandita, sento la nostra storia e lo sforzo di dare unità e autonomia a un Paese che, tutt’oggi, credo sia ancora il posto migliore dove trascorrere la propria vita.
La storia ci insegna che nell’emergenza gli italiani hanno sovente dato prova di maturità e umanità, di ragionevolezza e di cuore. Oggi viviamo un periodo molto delicato e difficile. Attraverso la pandemia, il mondo ci ha dato un avvertimento… Sta a noi far tesoro di questa lezione, ripartendo con una nuova consapevolezza, pervenendo a un nuovo concetto di cura (del prossimo e del pianeta). E la chiave per una rivoluzione interiore che urge intraprendere, per un Rinascimento che tutti auspichiamo, a mio avviso passa anche per quel sano orgoglio patriottico che ciascun italiano dovrebbe coltivare.
Orgoglio, responsabilità, coscienza di vivere in una terra che ha generato e custodisce un immenso patrimonio, inalienabile, irrinunciabile per il mondo intero. È bene che ciascuno ne abbia coscienza, che faccia il possibile per preservarlo e divulgarlo, con generosità, senso di responsabilità e d’appartenenza.
Coltivare un sano patriottismo è un investimento a lungo raggio, che genera unità, ottimismo, benessere. Ricordo sempre con piacere quando, nell’ebrezza delle vittorie calcistiche della nostra nazionale, le notti italiane si sono illuminate di caroselli, di cori che intonavano puntualmente l’inno nazionale e di persone che sventolavano il tricolore.
Varrebbe la pena sentirsi popolo, sentirsi uniti, non solo intorno a un pallone, non solo nell’incognita d’un gioco. La risposta dell’Italia a ben altra incognita, in queste settimane, con i tricolori alle finestre e l’inno nazionale intonato dai balconi, fa ben sperare».
FRANCESCO PANELLA.La mia Italia è una famiglia seduta a tavola

Francesco Panella è l’erede del ristorante trasteverino di famiglia, L’antica pesa. Con il suo locale di New York, adorato dalle star, è un ambasciatore della cucina italiana. Su Canale 9 conduce Little Big Italy. Tema: chi è più italiano tra i ristoranti italiani all’estero.
Che relazione c’è tra cibo e italianità?
Partiamo dalla costruzione della reputazione della nostra cucina. Quando siamo emigrati negli Usa, abbiamo portato agli americani i nostri valori: la famiglia, il condividere la vita attorno a una tavola.
Storie e affetti…
Quando giro il mondo per Little Big Italy, spesso mi commuovo. Il patriottismo che l’Italia sta riscoprendo è sempre vivo in chi si racconta alla mia telecamera. Quando vai all’estero, porti con te ricordi, sapori, aromi. Ma anche una ferita che ti piega in due: la nostalgia.
E la moda del cibo etnico?
Legittimo essere curiosi. Ma puoi mangiare tutto il sushi che ti pare: quando ti siedi davanti a uno spaghetto al sugo, capisci che il palato è memoria, è Patria. Ripensi a tua nonna, a tua mamma. Torni un po’ a casa.
LAPO ELKANN. Io mi sono tatuato la bandiera. ma chi comanda non pensa al paese

Nella sua campagna «Never give up» (permette di farsi un selfie con la mascherina dai colori della bandiera italiana: lapsonlus.org) Lapo Elkann sostiene la Croce rossa e molte famiglie bisognose. «Così chiunque può mostrare il proprio affetto al Paese».
«Siamo il paese con più arte e più bellezza, il miglior cibo e vino. Abbiamo una creatività imbattibile. Siamo geniali. Per questo l’Italia deve tornare nel posto che merita: il fiore all’occhiello d’Europa. Ma adesso troppa gente soffre mentre chi è al potere, siano regioni o governo, non è coeso. La smettano di perdere tempo in diatribe inutili e si concentrino sul come aiutare. Si diano da fare! Non restino con il sedere piantato sulla sedia: vadano cazzuti in Europa perché gli interessi degli italiani siano considerati. Dico questo perché io non sono un patriota… sono un mega patriota! Ho il tricolore tatuato sul braccio sinistro e due mie aziende hanno “Italia” nel loro nome, lo stesso che darei a mia figlia. Italia… Saremmo imbattibili. Ma se credo nel mio Paese e negli italiani non posso dire lo stesso della classe politica, della burocrazia e della gerontocrazia».
PIETRO ICHINO. Il «dovere sacro» di difendere la patria, oggi, è tornare al lavoro

Nella Costituzione c’è la più alta risposta ai nostri dubbi ricorda Pietro Ichino, giurista ed ex parlamentare del Pd.
«Alla generazione precedente alla mia durante la guerra è stato chiesto di esporre la vita a rischi molto più gravi del coronavirus. Se l’articolo 52 della Costituzione – che impone a ogni italiano il “dovere sacro” di difendere la Patria anche mettendo a rischio la vita – ha ancora un senso, esso legittima lo Stato a chiedere a persone di età nella quale un tempo si veniva mandati al fronte, o si era comunque soggetti all’obbligo della leva, di separarsi per qualche settimana dalla famiglia ed esporsi a un modesto rischio per la salute tornando a lavorare, per evitare un rischio mortale per il Paese».
FLAVIO BRIATORE. Se la gente ha fame non c’è amore per il paese che tenga. Il governo capisca

Il patriottismo oggi, secondo l’imprenditore Flavio Briatore, già team manager di Formula 1, proprietario di locali e resort di lusso, uomo senza peli sulla lingua.
Si è riscoperto il tricolore, l’inno nazionale, la parola «patria». Che ne pensa?
Quando arriva uno tsunami cercano tutti di essere patrioti. Però si aspettano che la patria, ovvero il governo, dia anche lei una mano. Oggi si vive ancora di emozioni, ma tra un po’ le emozioni saranno finite e la gente non ne potrà più. Arriveranno momenti difficili, se il governo non si dà una mossa. La gente sente solo proclami e promesse. Patriota, sì, finché arriva il punto di rottura e non lo sei più.
La retorica del patriottismo ha le gambe corte?
Dire andiamo avanti e stiamo uniti non è retorico. È giusto stare uniti. Ma vale fino al punto in cui si trova da mangiare. Il governo non si rende conto di cosa significa. Non si rende conto di quanto in Italia la situazione sia grave e pericolosa.
Ritiene ci siano rischi di tenuta sociale?
Prima o poi li vanno a cercare… Pensano che i sondaggi siano positivi, ma devono stare attenti perché si capovolgono nel giro di 24 ore.
Soluzioni?
Quando ci sono le guerre, e questa è una guerra, è il momento di fare riforme. Serve una pace fiscale con tassazioni al 20-25 per cento e una rivoluzione burocratica. Bisogna stampare euro, creare inflazione. Dare soldi a fondo perduto alle aziende che sono con l’acqua alla gola. Invece se vai in banca non sanno neanche di cosa parli perché non hanno avuto istruzioni dal governo. Il quale è stato molto occupato con le nomine. Ma in un momento del genere perdi tempo con le nomine? Bisogna ripartire, come altri Paesi. La Germania, la Cina, la Corea… Con le dovute precauzioni ma bisogna ripartire, se vogliamo che la patria rimanga tale.
L’Europa è nostra nemica?
L’Europa sarà anche cattiva ma ha visto che abbiamo creato un debito pubblico devastante. Che bruciamo i soldi che ci danno. Che abbiamo amministrato male. Non siamo perfetti. Se lo fossimo ci aiuterebbero facilmente. Ma con i prestiti non si scherza. È come con lo strozzino: ti fa andare lungo e poi ti porta via la casa. E con un carico fiscale già del 70 per cento restituire quel denaro è impossibile.
Curiosità: ce l’ha una bandiera italiana in casa?
No, ma è come quando uno è religioso: per pregare non è che devi per forza andare in chiesa. Mi sento italiano.
MARCO RIZZO. Non più dirsi patriota chi sposta la sede in Olanda

Marco Rizzo, già militante di Lotta continua, tra i fondatori di Rifondazione comunista, è segretario del Partito comunista.
Da buon comunista, è ancora internazionalista?
Assolutamente sì.
E che c’entra con il patriottismo?
L’internazionalismo dei comunisti è quello dei popoli, quindi delle patrie. Basti ricordare Fidel Castro e Che Guevara: patria o muerte. È l’idea dei popoli che conducono una lotta di classe internazionale.
A che allude?
Prenda Italia e Olanda. Cos’è, l’Olanda, oltre ai coffee shop e alle mignotte in vetrina?
Me lo dica lei.
È un grande paradiso fiscale. E molte grandi aziende italiane hanno la sede legale lì. Gli esempi più eclatanti sono Ferrari, Fca, Luxottica, Cementir…
Torniamo al patriottismo.
Appunto: che patriottismo c’è in chi tradisce il proprio Paese per piazzare la sede legale in Olanda? La mia idea di patria parte dall’estromissione di queste figure. Quelli che parlano di made in Italy, che sventolano il tricolore, ma tradiscono il Paese e i lavoratori.
ROBERTO CALDEROLI. L’unità della nazione tradita da chi comanda,ma nessuno tocchi la Lombardia

Roberto Calderoli, esponente storico della Lega, è vicepresidente del Senato.
Tra le persone vediamo un rinnovato sentimento di unità nazionale. Le pare che questo governo se ne stia facendo interprete?
Assolutamente no. Basti vedere l’attacco di Giuseppe Conte a Matteo Salvini e a Giorgia Meloni in tv, per capire quale sia la predisposizione a coltivare il sentimento di unità.
Il nuovo livello dello scontro è quello tra Stato e Regioni di centrodestra.
E questo dimostra la mancanza di coscienza istituzionale degli esponenti dell’esecutivo. Usare una tragedia per tendere un’imboscataagli avversari politici è vergognoso.
Dopo la minaccia di Vincenzo De Luca di chiudere i confini della Campania ai viaggiatori provenienti dal Nord, Luca Zaia ha parlato di un conflitto aperto dal Sud contro le Regioni settentrionali.
De Luca s’è dimenticato l’articolo 120 della Costituzione, che gli impedisce di prendere simili iniziative. Ma io certe parole non potrò mai dimenticarmele.
I dissapori tra le due Italie sembrano un ferita pronta a riaprirsi. Si parla di patria ma qui si rischia che ci dividiamo.
Io voglio un’Italia che funzioni meglio e, per questo, credo che la forma migliore sia quella della confederazione. Con uno Stato che però sappia fare lo Stato. Io credo nell’autonomia, ma questo presuppone un cambiamento della coscienza amministrativa nelle Regioni in cui le risorse sono state scialacquate.
Teme che la frattura che si è creata tra Roma e la Lombardia possa portare a un commissariamento?
Qualche partito magari lo spera. Ma per fare le cose ci vogliono gli attributi. Devono tenere conto che dietro la Lombardia non c’è solo il Pirellone. Ci sono i lombardi, che, magari, s’incacchiano… Non solo prendi i loro soldi, ma poi vuoi gestire anche quelli che restano qua? C’è un limite a tutto.
PIETRANGELO BUTTAFUOCO. quei ´Bella ciaoªal posto dellíinno perpetuanola guerra civile

L’appello al patriottismo nella gestione del governo? Secondo lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco non ha nobili scopi.
A chi critica il governo, capita di sentirsi dire: «No alle polemiche, serve unità». Che cosa pensa di questo appello alla responsabilità patriottica?
Dico che non hanno nessuna intenzione autentica di favorire un’unità d’intenti. Basti vedere che sono andati in ambasce per capire come celebrare il 25 aprile, il che poi equivaleva a perpetuare la guerra civile.
In che senso?
Mica intonano l’inno di Mameli. Scelgono Bella ciao, il canto che, nel dopoguerra, accompagnava la mattanza dei seminaristi e dei sacerdoti nel triangolo rosso. Non a caso, le istituzioni incappano in un lapsus rivelatore.
Cioè?
Non parlano mai di «Italia», ma di «Paese», nel significato anglosassone, che lo priva di ogni riferimento alla cultura, all’identità, alle radici.
Alla Klemens von Metternich: l’Italia come mera espressione geografica.
Solo che Metternich amava l’Italia molto più di quanto l’amino loro…
GIANLUIGI BUFFON. L’Italia è come una mamma

Gianluigi Buffon, portiere della Nazionale vincitrice dei mondiali 2006 e della Juventus
«A mio avviso Il senso di appartenenza con la mia nazione è un legame viscerale, stretto, quasi materno, un rapporto così profondo che condiziona i miei umori. Gioire con e per l’Italia… Piangere con e per l’Italia… Soffrire con e per l’Italia… Inorgoglirmi con e per l’Italia… Indignarmi con e per l’Italia… Senza assistere a tutto questo passivamente, ma cercando di apportare in ogni momento qualcosa alla causa!».
MARCO MAZZOLI. Il virus ha tirato fuori l’italiano che è in noi

Marco Mazzoli, Radio 105
Sarà ricordato come uno dei video più virali ai tempi del Covid-19. Si intitola Siamo italiani perché ed è stato trasmesso dal programma radiofonico più ascoltato d’Italia: Lo Zoo di 105. A leggerlo Marzo Mazzoli, voce e “frontman» della trasmissione. Che spiega: «È nato perché gli ascoltatori ci facevano notare le cose buone che facciamo in questo periodo. Per dire, da una maschera per lo snorkeling abbiamo creato un respiratore, e la valvola l’ha fatta Beretta. Invece di deprimerci c’è stato uno sbocciare di creatività: i canti, la solidarietà. Mi sento orgoglioso. Ci piace tanto criticare il nostro Paese, ma siamo un popolo con una marcia in più. E quando in Europa ci hanno schifato come la feccia del mondo, è venuto fuori l’italiano in noi. Nessuno può osare romperci le palle. Noi possiamo parlar male di noi stessi, ma dall’estero devono solo stare zitti… I tedeschi dell’Audi potranno anche acquisire la nostra Lamborghini, ma solo noi la sappiamo fare. Non ci arrivano, non lo capiscono. Perché non sono italiani».
