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I bellicisti da salotto scendano dal divano

I bellicisti da salotto scendano dal divano

Tre anni e mezzo di guerra raccontati dalle copertine di Panorama: dalle sanzioni boomerang al declino di Zelensky, fino alla resa annunciata a Putin e Trump. Un racconto che mostra come l’Occidente sapesse già come sarebbe finita.

Sono andato a rivedermi le copertine che Panorama ha dedicato negli ultimi tre anni e mezzo alla guerra in Ucraina. Beh, posso dire, non senza riconoscere i meriti della redazione del nostro settimanale, che c’era già tutto. Anzi, si intuiva già tutto. Cioè come sarebbe andata a finire.

Il numero 10 del 2022, uscito pochi giorni dopo l’aggressione russa a Kiev, aveva in copertina una lampadina che bruciava tra lingue di fuoco e il titolo era «Quanto ci costa la guerra (e che cosa rischiamo)». Si capiva, infatti, fin dai primi giorni, che – sebbene fosse a distanza di migliaia di chilometri – il conflitto scatenato da Vladimir Putin l’avremmo pagato caro.

Del resto, una delle copertine che seguì aveva un titolo ancor più esplicito per spiegare ciò che stava accadendo, con il riposizionamento di alcuni Paesi sullo scacchiere internazionale: «Il nuovo disordine mondiale». Le pedine avevano la faccia di Joe Biden, Vladimir Putin, Xi Jinping, ma non c’era quella con il volto di Volodymyr Zelensky. Strano, no, che il presidente ucraino, protagonista di una resistenza coraggiosa e assurto a icona dell’Occidente, celebrato ovunque, non fosse messo in evidenza? La copertina sembra quasi anticipare quello che sta accadendo, ovvero un accordo per il cessate il fuoco dove Kiev non ha modo di far pesare le sue ragioni.

Promesse e realtà

Quelli erano i giorni in cui Stati Uniti ed Europa giuravano di essere pronti a sostenere l’Ucraina a ogni costo e minacciavano misure forti contro la Russia. Peccato che già un mese dopo l’invasione si capisse che non soltanto il conflitto avrebbe fatto sprofondare le economie europee in una recessione da cui si sarebbero rialzate con fatica, ma era evidente che le sanzioni adottate per fermare le truppe di Putin sarebbero state inefficaci e controproducenti.

Un tubo giallo annodato su sfondo rosso rappresentava simbolicamente il boomerang delle misure adottate. Si sapeva che l’esclusione del sistema bancario russo non avrebbe messo in ginocchio Mosca, come molti opinionisti e politici sostenevano. Si sapeva anche che chiudere i rubinetti del gas che importavamo avrebbe fatto più male a noi, alla nostra economia, che allo zar.

Ma nessuno – tranne noi – si è preso la briga di spiegarlo a chiare lettere alle famiglie e alle imprese. Si è preferito gonfiare il petto, promettere sfracelli, minacciare rappresaglie che già in partenza si ritenevano inattuabili. Con il risultato che questi tre anni e mezzo sono stati accompagnati, oltre che dai bollettini di guerra, dalle copertine di Panorama che raccontavano le bollette in aumento, la crisi della locomotiva tedesca, gli affanni dell’economia europea, gli errori di Bruxelles.

A fine giugno del 2022 il nostro titolo, con l’effige di Putin, era significativo: «Scacco all’Europa». Già tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024, mentre qualcuno ancora parlava della riscossa ucraina, Panorama scriveva del lungo inverno di Zelensky e si interrogava se avesse vinto il presidente russo.

A settembre dello scorso anno, mentre la Germania navigava in brutte acque, il nostro settimanale titolava «Ucraina, ultimo atto» e nei primi mesi del 2025 segnalava la voglia di pace a ogni costo, che sarebbe stata ricercata da Trump e Putin sacrificando l’ex comico.

La memoria corta della politica

Perché ho voluto ripercorrere tre anni e mezzo di guerra attraverso le copertine di Panorama? Perché spesso mi sorprendo a discutere con colleghi e politici che fingono di scoprire solo ora come stanno le cose. Alcuni si indignano per come è stata condotta la trattativa fra il capo della Casa Bianca e quello del Cremlino, altri invece lamentano l’esclusione e l’umiliazione del leader ucraino.

E poi parlano di pace giusta, di perseguire quel criminale di guerra del presidente russo, di altre sanzioni e così via. Parole in libertà che non tengono conto di una serie di fattori.

Il primo è che il conflitto vero è sempre stato fra Washington e Mosca e dunque al tavolo delle trattative si sono seduti Putin e Trump. Il secondo fattore è che la guerra non può durare in eterno e non soltanto per i costi umani ed economici, ma anche perché lo sforzo bellico non può essere infinito.

In più c’è un altro aspetto non secondario: anche se al prezzo di aver sacrificato centinaia di migliaia di soldati, Putin la guerra la sta vincendo. Magari non come desiderava e magari senza ottenere tutto ciò che avrebbe voluto. Ma è indubbio che Mosca sia in vantaggio su Kiev, la cui popolazione non soltanto è allo stremo per carenza di uomini e di mezzi, ma non ha intenzione di vivere altri anni tra bombe, sangue, privazioni e corruzione.

Una resa annunciata

Dunque, tutte le anime belle che oggi si indignano per una pace che non è una pace ma somiglia a una resa, dov’erano quando era evidente che sarebbe finita così? Quando noi scrivevamo delle sanzioni boomerang, della crisi che avanzava insieme alle truppe di Putin e segnalavamo i rischi di un conflitto senza sbocchi, che dicevano?

Io so dove si nascondevano mentre propugnavano programmi tanto bellicosi: stavano comodi nel proprio salotto di casa, lontano dalle granate e dalle trincee. Proprio dove stanno ora mentre criticano un possibile cessate il fuoco.

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