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Tutti sul carro dei «competenti»

Tutti sul carro dei «competenti»

Gli interlocutori politici di Mario Draghi spesso hanno una preparazione culturale e professionale «sui generis». Eppure pretendono di trattare da pari a pari col premier che partecipava ai G7 sul Recovery Plan e sulle emergenze del Paese. Che hanno contribuito ad aggravare.


Anche i saperi, come le porte della politica, sono girevoli. Martedì 16 febbraio, mentre il professor Mario Draghi, 73 anni, laurea in economia alla Sapienza di Roma, dottorato al Mit e cattedra in quattro università, limava il discorso per la fiducia alle Camere, il senatore di Frascati Emanuele Dessì, 56 anni, diventava dottore in scienze politiche all’università telematica Unicusano. Tesi da grillino doc: «La democrazia diretta: dalla Polis greca all’era digitale, passando per Rousseau». La piattaforma, non Jean-Jacques, ovviamente.

Notizia data dall’interessato su Facebook con pregevole autoironia: «Meglio tardi che mai». Un segno dei tempi inequivocabile, la laurea di Dessì, che quando aveva letto delle decine di migliaia di avvocati, notai e architetti che avevano chiesto l’indennità di 600 euro prevista dal decreto Cura Italia si era così distinto: «Solo oggi mi rendo conto che ho fatto bene a non studiare da ragazzo. Invece di stare addosso ai libri mi sono divertito e ho girato un po’ il mondo. Tanto, mi pare di capire, sarei stato in ogni caso un morto di fame… Anche se fossi diventato notaio».

Era aprile dello scorso anno, politicamente una vita fa. La sbornia dell’«Uno vale uno», la weltanschauung grillina in forza della quale uno che insegna in un istituto per geometri ha diritto a zittire Renzo Piano, si è sciolta come la neve in attesa di un decreto Speranza. Adesso che gli italiani si scoprono improvvisamente 60 milioni di competenti, è tutta una corsa a salire sul carro di Mister Euro, invocando studio e serietà. E una classa politica tra le più modeste del dopoguerra, piena di gente che non ha mai lavorato o non è mai uscita da alcune delle regioni più arretrate d’Europa, tenta di salvarsi sulle spalle di Super Mario.

«La sconfitta della politica». Mercoledì 6 febbraio, dopo l’incarico affidato a Draghi da Sergio Mattarella, le prime pagine dei maggiori quotidiani erano un coro di elogi. La Stampa, sopra una foto dei due presidenti, scriveva a caratteri cubitali: «I costruttori». Per fortuna che ci sono ancora in circolazione democristiani come Gianfranco Rotondi. Il deputato di Forza Italia, mentre i colleghi facevano a gara nel scegliere il salmo, scriveva su Twitter: «Non si può non stimare Mario Draghi, la sua storia, i suoi meriti verso il Paese. Ma il suo arrivo è la sconfitta della politica, e i colleghi che ne esultano vanno più commiserati che criticati. Il pazzo ride della sua sventura». Alla voce «cose strane che accadono nella vita, quando torni al tuo paese dopo aver fatto fortuna», vanno sicuramente annoverate le ultime consultazioni del presidente del Consiglio incaricato con i rappresentanti dei partiti. Distanziati e mascherati come a un esame di maturità, davanti a un signore di poche parole e senza profili social che è stato presidente della Bce e governatore della Banca d’Italia, sono sfilati segretari e capigruppo. Molti di loro non si cimentavano in un colloquio tanto impegnativo dai tempi del liceo.

Non si sa in che lingua abbiano dialogato, però qualche terreno comune devono averlo trovato perché quando sono usciti dall’incontro con Draghi, a parte Fratelli d’Italia, erano tutti contenti. È vero che le doti morali e personali sono più importanti dei titoli di studio, ma il Professore, durante le consultazioni s’è dovuto subito confrontare con uno come Andrea Orlando, maturità scientifica a La Spezia e un passaggio incolore al ministero della Giustizia. Non risulta abbia mai lavorato e allora, con un colpo da vero educatore, il Professore lo ha fatto entrare nel mondo del Lavoro. Direttamente da ministro.

Ma che brava persona… Abituato a cenare con i leader del mondo alle riunioni del G7, Draghi ha finalmente potuto fare la conoscenza di Vito Crimi, ex cancelliere di tribunale dopo un vano tentativo di laurearsi in matematica. E alle consultazioni con M5s è comparso anche Beppe Grillo. All’ex comico genovese, Draghi è piaciuto parecchio. Già alcuni anni fa aveva detto che «è una brava persona». Ora, dopo il «colloquio», è stato riabilitato dalle accuse di essere un pericoloso banchiere al soldo di Goldman Sachs e della finanza angloamericana. «Mi aspettavo il banchiere di Dio, invece è grillino», ha detto Beppone, diploma di ragioneria e studi in economia abbandonati a metà.

E chissà che contributo d’idee per il Recovery sarò arrivato dal toscano Riccardo Ricciardi, 38 anni, vicecapogruppo di M5s alla Camera e regista teatrale. Sensibilità per il dramma anche dal suo coetaneo e collega Sergio Battelli, che ha spiegato a La7 il proprio appoggio a Draghi, con la considerazione che avrebbe dato vita a «un governo postbellico» e che «c’è un paese da ricostruire». Battelli, genovese, ha la terza media e lavorava in un negozio per animali. Probabilmente sa tutto sui camaleonti, si presume meno sui meandri algebrici del Recovery Fund.

Con tutto il rispetto per chi non ha potuto studiare perché ha lavorato fin da giovane, va detto che davanti al professor Draghi, nella delegazione di Italia viva, Matteo Renzi ha fatto sfilare anche Teresa Bellanova, diploma di terza media e poi lunga carriera sindacale. E come capogruppo si è portato dietro Davide Faraone, che invece dopo 16 anni di impegno è riuscito a laurearsi in scienze politiche.

Quel talento per le lingue. Quanto a Renzi, laurea in legge e una passione per le slide, nei giorni scorsi ha sfoggiato il suo inglese per dire a tutti i giornali europei che Draghi è un grande. «The best, the best, the best!» ha garantito in tv anche alla Cnbc, con lo stesso piglio con il quale, da studente, partecipò alla Ruota della fortuna di Mike Bongiorno. Ma Draghi, che fino all’altro ieri si telefonava con Angela Merkel e Janet Yellen su geopolitica ed emergenze finanziarie, ora ha potuto discutere del futuro della nazione con l’Udc Antonio De Poli, già perito industriale e dipendente delle Ferrovie in aspettativa.

Quando l’ora è grave, torna sempre in pista Adriano Celentano. L’ex «Re degli ignoranti», in lungo post su Facebook, dopo la notizia dell’appoggio della Lega a Draghi, ha scritto con sintassi innovativa: «Non ci si deve meravigliare se il doppio triplo salto mortale di Salvini abbia tramortito, non solo i suoi antagonisti ma lui stesso, dal quale pare non essersi ancora ripreso». Invece il sindaco di Torino, Chiara Appendino, ha studiato alla Bocconi e quindi è già una pericolosa intellettuale. Alla vigilia del referendum interno sull’appoggio al governo dei competenti ha chiarito di «stimare Draghi» e che «noi Cinque stelle siamo nati sulle idee e non sulle ideologie (…), quindi auspico la formazione del governo e che il Movimento ne faccia parte». E pazienza se il 23 gennaio di quattro anni fa, quando l’allora presidente della Bce andò a Santena (Torino) a ritirare il Premio Cavour, Appendino diede buca all’ultimo momento e si fece rappresentare dall’assessore al commercio.

Conversioni da tribuno. Perfino Vincenzo De Luca si è imbarcato sull’Arca della conoscenza. Il 6 febbraio, l’istrionico presidente della Campania ha tessuto l’elogio della «grande sobrietà di Draghi», del «suo stile» e del «suo grande riserbo», «dopo un decennio di demagogia fatta di supponenza e incompetenza». Un decennio durante il quale De Luca dev’essersi rinchiuso nel convento del Santo Sepolcro, a Gerusalemme. Appena due giorni prima, si era detto «diffidente» sull’incarico a Draghi, ma succede quando hai più di settant’anni e i figli non ti tolgono Facebook.

Difficile allontanare dalla tastiera anche padre Antonino Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, giornalista, teologo, accademico e critico letterario. Il problema è che gli piace un sacco anche la politica italiana, dove ha minori competenze. Se fino all’altro giorno il gesuita è stato un sostenitore di Giuseppe Conte, il giorno dell’incarico all’ex allievo dei Gesuiti dell’Eur, padre Spadaro ha scolpito: «Draghi è stato protagonista di una delle fasi più complesse della storia recente della nostra Europa (…). Una persona che ha (sic, ndr) tanta stima sia nel nostro Paese che in Europa e ha assolto il suo mandato in maniera molto rigorosa ma allo stesso tempo creativa, cioè è stato capace di prendere decisioni innovative e audaci ma sempre sulla base di analisi rigorose». Per fortuna, nonostante tutto l’incenso, è ancora vivo.

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