«Nessuna ammissione, neppure tacita». Il comunicato con cui gli Elkann fanno sapere di aver pagato 175 milioni di euro al fisco per chiudere la vertenza nata dalla questione dell’eredità, è molto chiara: non si ritengono responsabili di nulla. Non è una novità. Anche quando, nel febbraio 2022, versarono 950 milioni al fisco per chiudere la vertenza nata dallo spostamento della società in Olanda, furono altrettanto chiari: il pagamento, scrissero, «non può essere interpretato come una accettazione, anche parziale, delle tesi dell’Agenzia delle entrate». Dal che si deduce, evidentemente, che gli eredi dell’Avvocato sono diventati dei benefattori dell’erario italiano. Di tanto in tanto, senza alcun motivo, prendono un pacco di milioni e li girano nelle casse del nostro Stato. Che cosa aspettiamo a ringraziarli di cotanta generosità?
Noi, che siamo ragazzi di campagna e non abbiamo mai portato l’orologio sopra al polsino, ovviamente ci crediamo. Ciecamente. Crediamo che gli Elkann oggi versano al fisco 175 milioni per lo stesso motivo per cui tre anni fa avevano versato al fisco 950 milioni: puro spirito patriottico. Amore delle gabelle. Insana passione per l’Agenzia delle entrate. E siamo convinti che come tre anni fa non c’entravano nulla le accuse sul trasferimento della sede in Olanda (un modo per non pagare le tasse, dicevano certe malelingue), così oggi, allo stesso modo, non c’entrano nulla le accuse della Procura di Torino che da qualche mese indaga sull’evasione fiscale legata alla vicenda dell’eredità. Il Corriere della Sera scrive che mamma Margherita, che li aveva denunciati, sta festeggiando. Ma si tratta probabilmente di una pura coincidenza. Una casualità.
Non c’è «nessuna ammissione», lo ripetiamo, «neppure tacita o parziale della fondatezza della contestazioni». I 175 milioni vengono pagati così, per amor patrio, non perché uno dei gestori dei soldi degli Agnelli, Siegfried Maron, ha presentato un elenco di società del Liechtenstein nelle quali sarebbero stati custoditi 600 milioni di euro dell’Avvocato. Non perché secondo la denuncia della figlia dell’Avvocato, Margherita, i fondi occultati fuori dai confini nazionali potrebbero essere molti di più. Non perché raggiungerebbero, secondo L’Espresso, circa due miliardi di euro, concentrati soprattutto in due trust alle Bahamas (The Providenza e The Providenza II), senza contare i tesoretti alle Isole Vergini (sedici società), Hong Kong e Singapore su cui indaga la Procura di Torino. Tutto questo non c’entra niente. I 175 milioni di euro sono stati pagati per puro spirito di sacrificio. Una forma di cilicio fiscale, insomma. Una auto-flagellazione senza un perché.
Anche il «vademecum della frode» che sarebbe stato elaborato da Jaki e dai suoi fratelli per cercare di non pagare le tasse sull’eredità non c’entra nulla con il maxi versamento dei medesimi. Ricordate? Secondo i magistrati di Torino quando morì nonna Marella, nel 2019, i tre giovani Elkann ricevettero 170 milioni di preziosi, quadri e gioielli, fra cui un quadro di Monet da 17,5 milioni di euro, un Andy Warhol da 10 milioni, tre quadri di Francis Bacon da 12 milioni, un anello di Bulgari da 2,5 milioni di euro e un paio di orecchini (andati a Ginevra) che da soli valgono 78 milioni di euro. E, sempre secondo i magistrati, proprio in quell’occasione i tre avrebbero elaborato il citato «vademecum della frode»: in pratica si sarebbero inventati delle finte lettere per dimostrare che la nonna aveva regalato loro i preziosi mentre era ancora in vita, in modo da non doverci pagare le tasse di successione. Tutto falso, secondo la magistratura. Tutto studiato per evadere il fisco. Ma questo, sia chiaro, non c’entra niente con i 175 milioni versati oggi dagli Elkann. Non era questo che preoccupa i tre Elkann. La loro unica preoccupazione è portare in giro quegli orecchini da 78 milioni di euro: vuoi mettere se ti cadono in un tombino?
E ovviamente la decisione di versare un sostanzioso contributo all’erario non c’entra nulla, ma proprio nulla, nemmeno con il sospetto che pure nonna Marella frodasse il fisco, evitando di denunciare la «pensioncina» che le passava la figlia (600.000 euro al mese): secondo le accuse di Margherita e le inchieste della Procura, Marella si fingeva residente in Svizzera mentre in realtà stava altrove, nelle sue ville di Torino e Marrakech. Ma questo non c’entra. Così come non c’entrano i quadri scomparsi, i capolavori nascosti in cantina, il dubbio che la tanto sbandierata passione dell’Avvocato per l’arte nascondesse in realtà intenti assai meno nobili di quelli apparenti: tutti sospetti sollevati dalla figlia di donna Marella, Margherita, nonché mamma degli Elkann, che ha dato il via alle indagini dei magistrati, beccandosi pubblicamente le accuse dei figli («Ci maltrattava quand’eravamo bambini»). Uno spettacolo non proprio dignitoso che non potrà certamente essere cancellato da quei 175 milioni di euro, anche perché, come si è detto, quei soldi non hanno niente a che fare con le accuse della Procura.
Ora dicono che Jaki Elkann, pur non c’entrando nulla con tutto ciò, potrebbe chiedere, sempre in virtù del suo noto spirito patriottico, di poter svolgere lavori socialmente utili. Noi tifiamo tifo perché lo faccia. Intanto perché farebbe finalmente qualcosa di utile, per di più socialmente. E poi perché la chiamano «messa alla prova». E chissà che, prova dopo prova, non possa provare per una volta a dire la verità.
