Sono una «cassaforte» (si veda Matteo Renzi). Oppure danno visibilità. Di quasi tutte però, nonostante gli obblighi di legge, si sa pochissimo.
Soltanto poche settimane fa è stata chiusa l’inchiesta che vede indagato Matteo Renzi: l’ex premier, Maria Elena Boschi e Luca Lotti risultano coinvolti in un filone di indagini che ruota attorno alla Fondazione Open. Secondo i magistrati, sarebbe stata la cassaforte della corrente politica di Renzi. Sarà ovviamente la magistratura ad accertare eventuali responsabilità. Una cosa è sicura, però: non è una novità che intorno a centri di potere e forze politiche gravitino fondazioni, pensatoi e think-tank di ogni tipo. E nel governo Draghi il meccanismo è il solito: l’esecutivo dei «migliori» conta non pochi ministri, che tuttora siedono in direttivi e comitati spesso con altri personaggi politici. Il risultato è una rete incredibile che tocca tutti, a destra come a sinistra. Senza dimenticare i cosiddetti «tecnici»: pur non essendo iscritti ad alcun partito, non sono propriamente estranei al mondo politico.
Prendiamo il ministro delle Infrastrutture Enrico Giovannini. Tra le altre associazioni in cui siede, spicca la Scuola di Politiche, fondata da Enrico Letta e che conta nel board scientifico altri esponenti dem come la viceministra dell’Istruzione Anna Ascani, Lia Quartapelle e la vicesegretaria di Letta, Irene Tinagli. Non è l’immagine di un tecnico lontano da orizzonti politici, dunque. Un po’ come il ministro dell’Economia Daniele Franco: se in passato compariva nel direttivo dell’Aspen Institute (presieduto dal suo predecessore in via XX Settembre, Giulio Tremonti), oggi risulta ancora nell’elenco del comitato direttivo dello Iai, l’Istituto affari internazionali, ente sovvenzionato dallo Stato (dalla Farnesina nel dettaglio), che annovera tra le sue fila gli ex ministri Federica Mogherini e Francesco Profumo, e Giovanni De Gennaro, fino all’anno scorso presidente di Leonardo.
E c’è poi Marta Dassù: l’ex viceministra degli Esteri, sia con Monti che con Letta, compare in tutti i think-tank fin qui citati: Iai, Aspen e Scuola di Politiche. Non solo. Secondo quanto riportato da un dossier di OpenPolis, avrebbero gravitato attorno ai pensatoi anche altri «tecnici». Il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, per esempio, faceva parte della Fondazione Leonardo, mentre il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli era con Italianieuropei, la storica fondazione di Massimo D’Alema.
I politici di professione non sono da meno. Il ministro della Salute, Roberto Speranza, è legatissimo proprio a Italianieuropei, al cui interno siedono pezzi da novanta della sinistra italiana, da Gianni Cuperlo a Ugo Sposetti fino al presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti.
Qui ritroviamo anche Alfredo D’Attorre e Massimo Paolucci, entrambi ex parlamentari, nominati da Speranza come suoi personali collaboratori al ministero. Stessa strada seguita da Andrea Orlando. Il ministro del Lavoro è tra le altre cose membro di Dems (Democrazia Europa Società) e presidente dell’associazione Tes (Transizione ecologica solidale). Il direttore di Tes è Michele Fina, che ritroviamo anche nel suo staff al dicastero.
E il Movimento Cinque stelle? Al di là di Rousseau, di cui a lungo ha fatto parte Stefano Patuanelli, tra i membri attuali al contempo di governo e fondazioni, spicca l’attuale ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico D’Incà, che fa parte della Fondazione Italia-Usa. Tra i vicepresidenti c’è un’altra vecchia conoscenza pentastellata quale Emilio Carelli. E nel board scientifico una galassia infinita: da un altro ex 5 Stelle, come Elio Lannutti, a Piero Fassino, da Giulio Tremonti fino all’immancabile Dassù.
In un simile viaggio a metà tra la politica e le fondazioni non manca ovviamente il centrodestra. Voce libera e Free foundation sono organizzazioni create da due dei ministri di Forza Italia, rispettivamente Mara Carfagna e Renato Brunetta. Una galassia bipartisan che avvolge mondo politico e mondo imprenditoriale. E che, tuttavia, non gode di assoluta trasparenza. La legge «Spazzacorrotti» voluta dall’allora ministro Alfonso Bonafede e dal governo gialloverde aveva introdotto l’obbligo di pubblicazione di statuto, bilanci e donazioni per associazioni, fondazioni e comitati politici.
Purtroppo, però, dall’approvazione della norma non è cambiato molto, perché non è netta la definizione di «associazione e fondazione politica». Quindi molti enti riescono a non rientrare in questa classificazione. Senza dimenticare che la legge non ha provveduto ad alcun monitoraggio sul rispetto di tali obblighi. Il risultato è che, secondo uno screening realizzato l’anno scorso da OpenPolis che ha analizzato i siti internet di 105 organizzazioni, solo la metà pubblica il proprio statuto o atto costitutivo. E appena il 7 per cento la lista dei donatori privati.
In questa rete iperconnessa di nomi e comitati, tuttavia manca un nome che è probabile in molti si sarebbero aspettati membro chissà di quali e quanti think tank. Quello di Mario Draghi. Che al momento «si accontenta» di Palazzo Chigi.
