Automobilisti in coda, traditi dalla mappa digitale. Quelle di carta a volte funzionano meglio. Bisogna saperle leggere, però…
Lo confesso. Ho ceduto. Mi sono arreso. Stamattina ero con le mie figlie in un bar, mi hanno visto pagare con il bancomat e mi hanno guardato come fossi un Neanderthal. «Ancora il bancomat? Ma dove sei rimasto, papà?». Mi sono sentito come un dinosauro nell’era digitale, un sopravvissuto per sbaglio, un nostalgico della penna d’oca. E così ho ceduto. Lo confesso. Mi sono arreso. «Fate pure». Ho alzato bandiera bianca e ho consegnato loro il mio smartphone. Camilla è velocissima, bravissima, se Apple la conoscesse le farebbe un contratto al volo. In un batter d’occhio ha inserito i miei bancomat e le mie carte di credito nel wallet dello smartphone (accidenti, ma come scrivo? Il «wallet» dello smartphone? Lo vedete che ormai non c’è speranza?) e poi mi ha accompagnato con sguardo severo alla cassa. «Ora usi quello» mi ha intimato. L’ho fatto. Perdonatemi: non avevo alternativa. Ho pagato il mio primo caffè con il telefonino.
Siccome la cosa è successa stamattina, non so ancora, mentre scrivo, se il vizio tecnologico si impossesserà di me e se d’ora in avanti userò l’applicazione per comprare ogni pacchetto di caramelle. Quel che so di certo è che la mia dipendenza digitale da stamattina è aumentata ancora un po’. E dunque mi sono preoccupato quando il nume tutelare ha suggerito, per questa rubrica del Grillo, il tema dei navigatori satellitari. La notizia l’avrete sentita: è successo che, a un certo punto, Google Maps ha dato l’indicazione della chiusura dell’Autobrennero prima del valico. Non era vero. Per una volta incredibilmente l’Autobrennero era libera, senza interruzioni né code. E infatti non c’erano segnalazioni nei tabelloni lungo l’autostrada, né nelle radio del traffico. Eppure è bastata l’indicazione di Google Maps per spingere automobilisti e camionisti ad abbandonare in massa l’autostrada, uscendo al casello di Vipiteno e intasando le stradine circostanti. Presi d’assalto anche i bar della zona. Tutta gente che, ovviamente, pagava il caffè con lo smartphone.
Possibile? Siamo diventati così dipendenti dalla tecnologia che basta un errore di Google Maps per finire tutti fuori strada? Per carità: nessuno mette in dubbio la comodità del navigatore satellitare. Lo inserisci e obbedisci: ti porta lui, con mano sicura, anche nei posti che non conosci. Ti fa evitare sensi unici, ti avverte degli autovelox, ti indica le svolte e la lunghezza delle code. È una pacchia. Io lo uso anche quando conosco la strada a memoria: mi segnala se c’è traffico, se c’è un incidente, se meglio prendere un percorso alternativo. Però non sempre fila tutto liscio. Pensateci: chi di voi non è mai stato condotto dal navigatore satellitare in un campo di patate? Chi non è finito in una mulattiera senza sbocco? Chi non è stato, almeno una volta, portato a girare in tondo come un folle? E soprattutto: chi se la saprebbe ancora cavare oggi con una vecchia cartina scala 1:20.000? O con il Tuttocittà?
Ah, il Tuttocittà. Ve lo ricordate? Non mancava in nessuna auto. Spiegazzato, logorato, consunto ma salvifico, con i suoi riquadri che ogni volta sembrava di giocare alla battaglia navale. Non so voi, ma io ero bravissimo a districarmi fra B2 e C4, e adesso mi fa venire un po’ di nostalgia vedere che il Tuttocittà di Roma 1981 è diventato un oggetto da collezione (49,99 euro su eBay). Sarà che gli oggetti tecnologici li maneggio con assai meno perizia del Tuttocittà, sarà l’invidia per i giovanissimi che come mia figlia Camilla sono dei draghi di ogni app, ma io penso che tutto sommato fosse meglio una volta. Si sbagliava lo stesso, per carità. Ma almeno ognuno sbagliava con la sua testa. A modo suo. Non finendo tutti in coda Vipiteno come caproni tecnologizzati.
Sono passati cinque anni da quando il neuropsicologo Manfred Spitzer ha scritto il libro Dementi digitali. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi. Da allora abbiamo fatto notevoli passi in avanti: in effetti, siamo diventati molto più stupidi. La fiducia cieca negli strumenti tecnologici sta ormai atrofizzando del tutto nostre capacità: c’è Internet che ricorda tutto, a che serve memorizzare? C’è Google che trova tutto, a che serve ricercare? Gli appuntamenti? C’è l’agenda elettronica. I compleanni? Te li rammenta Facebook.
Facciamo sempre più cose contemporaneamente, ma sempre con meno attenzione. Non riusciamo a concentrarci su niente perché veniamo continuamente interrotti dal beep del cellulare che vibra. Nell’accademia militare West Point negli Usa, tempo fa, hanno fatto una prova: la classe senza strumenti tecnologici alla fine dell’anno aveva imparato il 20 per cento in più delle altre. È ovvio che nessuno di noi oggi può rinunciare all’uso della tecnologia. Il problema: possiamo rinunciare all’uso del cervello? Se qualcuno sa rispondermi, giuro che lo vado a trovare ovunque sia, per pagargli un caffè (in contanti) e senza bisogno del navigatore satellitare. Mi basta Tuttocittà. n
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