Negli ultimi 30 anni il numero di cadute mortali nel mondo è raddoppiato. Un fenomeno aggravato, di recente, da sedentarietà, isolamento, depressione. Ma i modi per ovviare a questa instabilità collettiva, e recuperare il nostro (precario) equilibrio, ci sono. Basta, dicono gli esperti, metterli in pratica ogni giorno.
Gli squilibrati siamo noi. Sempre più sedentari e depressi, chiusi in casa per il lockdown a lavorare davanti allo schermo di un computer, limitati nel nostro desiderio di uscire, camminare, correre, scalare, fare trekking, hiking e altro, siamo diventati un popolo che cade.
Non da ora, certo: le statistiche del programma mondiale di ricerca «Global Burden of Disease» ci dicono che negli ultimi trent’anni, a partire dal 1990, il numero totale di cadute mortali nel mondo è quasi raddoppiato; e vista la stretta correlazione tra scarso movimento, depressione e incapacità di «bilanciarsi», per il futuro avremo da aspettarci un ulteriore peggioramento.
E questa quasi epidemia di instabilità planetaria, se è certo più accentuata e rischiosa nelle persone avanti con gli anni, non risparmia i giovani. La maggior parte delle volte, dice lo studio, le persone non facevano nulla di più complicato che stare in piedi o camminare. Una delle capacità peculiari dell’uomo, la stabilità collettiva conquistata a fatica attraverso millenni di evoluzione della specie, insomma pare in pericolo. Ma come siamo arrivati a questo punto? Qual è la relazione corpo-psiche che ci sta rendendo così poco capaci di mantenere l’equilibrio?
«La posizione bipodalica, tipica dell’uomo, è di per sé, ancora oggi, una posizione di disequilibrio» afferma Roberto Pozzoni, responsabile del Centro di Traumatologia dello Sport dell’Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano. «E questo perché, da un punto di vista antropologico, l’uomo non ha del tutto completato la sua evoluzione. Vuol dire che noi viviamo costantemente alla ricerca di una posizione statica e dinamico-statica che ci consenta, attraverso minime oscillazioni, di mantenere una deambulazione alta, con il viso e lo sguardo dritti davanti a noi. Un risultato che si ottiene solo attraverso un continuo feedback tra i meccanismi ricettori – cioè quelle piccole cellule distribuite lungo tutto il nostro corpo, i tendini, i muscoli, capsule, legamenti – e il sistema nervoso centrale: nella fattispecie il cervelletto».
Basta un piccolo intoppo in questo perfetto meccanismo di sfida computazionale e di elaborazione di stimoli, ricordi e coordinamento tra gli impulsi che arrivano dalla periferia al cervello, e il sistema va in tilt, facendoci di botto ricordare il fatto che un tempo camminavamo a quattro zampe. E che ancora non ci siamo del tutto abituati alla novità di stare (più o meno) ritti in piedi. «Camminare è come una versione un po’ più raffinata di un barcollamento da ubriachi» ha detto Manoj Srinivasan dell’Ohio State University’s Movement Lab al settimanale inglese New Scientist. «E questo sistema di controllo e mantenimento dell’equilibrio è così delicato e costituito da parti interconnesse da poter essere sbilanciato da parecchi fattori». Ossia: problemi al sistema vestibolare, gravidanza, obesità, sedentarietà, stress, convalescenza.
In diversi test, per esempio stare in piedi su una gamba sola con gli occhi chiusi, si è visto che l’abilità di mantenersi stabili inizia a declinare dopo i 20 o 30 anni (provate). Ma a partire dalla mezza età, cresce il rischio di farsi seriamente male cadendo. «Partendo da questa premessa» continua Pozzoni «e cioè dal fatto che il nostro equilibrio è comunque una conquista non ancora pienamente ottenuta, è facile capire come qualunque nuovo elemento possa disturbare il processo di adattamento. Non dobbiamo stupirci, quindi, se la sedentarietà progressivamente aumentata negli ultimi decenni abbia portato in dote una lenta ma costante perdita di quote di equilibrio, tanto faticosamente raggiunte».
Di mezzo c’è anche un fortissimo legame tra equilibrio e solitudine, tra depressione e cadute: «Esistono numerosi studi, soprattutto negli Stati Uniti, che dimostrano la stretta relazione tra l’aumento della solitudine e l’incremento delle cadute, con conseguenze potenzialemente molto gravi» aggiunge Ivan Sartori, fisioterapista e osteopata a Verona. «A un rialzo di un punto percentuale dell’isolamento corrisponde un aumento fino al 5 per cento delle cadute: è un problema che finora ha riguardato soprattutto gli anziani, ovviamente, ma se consideriamo che ormai da quasi un anno viviamo tutti in un perenne lockdown – anche se con brevi allentamenti- possiamo prevedere che si allargherà ad altre fasce d’età».
Uno studio inglese citato da Scientific Report (condotto su circa 4 mila uomini e donne sopra i 60 anni, che erano caduti, e su oltre 9 mila ospedalizzati per essersi fratturati), per esempio riporta un aumento del 24 per cento del rischio di cadere in persone che vivono sole o hanno pochi contatti sociali.
A renderci meno saldi è, dicono gli scienziati, anche la depressione, scomoda compagna di vita in tempi di pandemia: chi è depresso ha un rallentamento della condizione cognitiva, oltre che dei feedback tra periferia e sistema nervoso centrale, e ciò espone a rischi: «È abbastanza frequente» spiega Pozzoni «vedere persone depresse che assumono posture sbagliate. Chi è triste tende a ingobbirsi, a portare il collo in avanti e ad avere una postura non eretta e poco tonica: problematiche posturali che comportano uno spostamento del baricentro. E questo a sua volta, se non accompagnato da una reazione muscolare idonea, causa uno squilibrio e un aumento del rischio di cadute, aggravato dalla reazione che consegue al pericolo, che in caso di persone depresse è molto rallentata».
Il rischio di ritrovarci al pronto soccorso per questo tipo di incidenti non è, come si diceva all’inizio, una mera questione di età: recenti studi effettuati da ricercatori del College of Public Health di Lexington e del Libery Mutual Research Institute for safety di Hopkinton (Stati Uniti) dimostrano che l’incidenza delle cadute sta salendo a un tasso che supera di gran lunga quello che ci si aspetterebbe da una popolazione che invecchia.
Nessuno è al sicuro, dunque? Probabilmente no, ma la buona notizia è che, a prescindere dall’età, non è mai troppo tardi per rimediare. «Se è vero che dopo il lockdown tutto andrà forse peggio in termini di perdita di equilibrio, perché ansia, aumento di peso e sedentarietà non aiuteranno» continua Pozzoni «è anche vero che la prevenzione è possibile. Ma attenzione: tutto passa dalla nostra forza di volontà. Inutile dire “siamo confinati, non posso fare nulla” e sedersi sul divano. Le situazioni obbligate non possono diventare un alibi».
In fondo reagire non è poi così difficile anche se, invece di un’intera palestra, a disposizione abbiamo solo un metro quadro di pavimento, magari condiviso con i familiari. Gli esercizi che permettono di coltivare la nobile arte dell’equilibrio, che distingue la nostra specie da quella degli animali, sono tutti molto semplici anche se – ammette Sartori – magari un po’ noiosi: «Ma possiamo farli mentre guardiamo un episodio della nostra serie tv preferita. Basta mezz’ora al giorno di allenamento della “propriocettività”, la capacità di elaborare le informazioni dei movimenti dell’organismo; senza ricercare particolari performance ma solo perseguendo benessere ed equilibrio. Dedicarsi quindi a esercizi di yoga, oppure di coordinazione neuromuscolare, sedersi su una palla di equilibrio, camminare lunga una linea, passare da una gamba a un’altra, utilizzare una semplice pedana mobile. Dopo poche settimane, avremo già i primi miglioramenti».
E con questi, diminuirà anche la possibilità di finire in ospedale, vittime di cadute: ma se il lockdown – complice la lentezza del piano vaccinale e l’allontanamento dell’agognata immunità di gregge – dovesse ancora prolungarsi? «Gli effetti a lungo termine di un periodo così innaturale per l’essere umano, privato di movimento, socialità, compagnia, saranno tutti da studiare, purtroppo» conclude Pozzoni. «L’interconnessione tra mente e corpo, tra benessere psicologico ed equilibrio – non solo fisico, ma anche mentale e posturale – tra psiche e salute è molto più forte di quanto si pensi e di quanto la medicina abbia finora dimostrato».