Sono ripartiti gli sfratti e si stima che un milione di persone potrebbero perdere la casa nei prossimi mesi. Servirebbe più edilizia popolare, ma chi se ne dovrebbe interessare tralascia.
Ci sono delle emergenze in Italia – come quella abitativa – che non possono essere più chiamate tali perché, come le malattie, quando si prolungano per anni diventano croniche; diciamo che quella abitativa è un’emergenza cronica. Ma c’è un’altra cronicità, speculare, di coloro che dovrebbero porre fine a questa emergenza con provvedimenti che almeno da trent’anni non si vedono. Difficile stabilire di quale cronicità si tratta: se sia progettuale, se – prima ancora – riguardi la capacità di intendere, o piuttosto la capacità di volere. Perché delle due l’una: o di questa emergenza non frega nulla a nessuno o quel qualcuno cui frega qualcosa è incapace di metterci le mani e cominciare a risolverla.
In Italia su 100 abitazioni 4 appartengono al variegato mondo dell’edilizia popolare. In Francia su 100 abitazioni 16 sono popolari. Basta e avanza questo dato per spiegare in che condizione ci troviamo, e non in rapporto a Paesi in via di sviluppo ma a membri dell’Unione europea. Nel dettaglio, secondo i dati forniti da Federcasa, l’edilizia residenziale pubblica (Erp) oggi riguarda 2,2 milioni di abitanti e conta 836.000 alloggi gestiti da 74 enti e aziende territoriali associate: di questi, 759.000 sono di edilizia residenziale pubblica, 25.000 sono a canone calmierato, 52.000 sono alloggi a riscatto. Il Sud e il Centro Italia rappresentano il 53% dell’edilizia residenziale pubblica.
Nel frattempo, circa 700.000 persone in Italia sono in attesa, avendone diritto e avendo presentato regolare domanda, di un alloggio popolare. Mentre in Europa la spesa pubblica per l’edilizia sociale è stata negli ultimi anni pari all’1 per cento del Pil, l’Italia arriva a fatica allo 0,6% del Pil. La Germania spende quasi il triplo, circa l’1,7% del Pil, per l’edilizia sociale; ancora meglio fa la Francia, con il 2%; mentre è il Regno Unito a guidare la classifica, con un notevole 3,2% del Pil. Alla fine, dopo due anni di sospensione causa Covid, il 7 gennaio scorso è scaduto il blocco degli sfratti.
Si calcola che nei prossimi mesi potranno esserne eseguiti tra i 130-150.000. Qualcuno sostiene che la cifra sarà intorno ai 200.000, quindi circa un milione di persone. La morosità è cresciuta anch’essa durante la pandemia. Ai 32.000 nel 2020 se ne sono aggiunti 40-50.000 nel 2021. La richiesta di contributi di integrazione agli affitti, specie nelle aree metropolitane, è cresciuta del 250%: da 69.000 domande nel 2019 a 167.000 oggi.
Se la tensione sociale nei quartieri popolari si è tanto alzata, non c’è dubbio che tra le cause principali ci siano le occupazioni abusive. Anche su questo l’azione dei pubblici poteri quando non è ridicola, macchinosa, lenta e inefficace, è inesistente. Facendo due calcoli approssimativi, la trasmissione Fuori dal Coro condotta dall’amico Mario Giordano, che in poco più di un anno ha liberato decine di alloggi, dovrebbe durare altre 100 stagioni circa (e Giordano raggiungere l’età di 150 anni, glielo auguriamo) per liberarne altrettante. Chiarito che l’opera di Giordano è ammirevole, vi pare mai che in uno Stato normale occorra andare con le telecamere a stanare questi farabutti che, tra l’altro, prendono a botte anche i giornalisti? A noi sembra di no.
Nonostante la situazione descritta, nella legge di bilancio di quest’anno non c’è traccia di interventi in tal senso. E nel tanto sbandierato Pnrr (in attuazione del Recovery Fund europeo) sono stanziati 1,4 miliardi di euro (100 milioni nel 2022 a salire fino a 500 nel 2026) che andranno a finanziare interventi dentro il «Programma per la qualità dell’abitare»: più chiari no, eh…? Traduciamo noi: si tratta di riqualificazione e aumento degli alloggi sociali (non si sa né quando né quanti), miglioramento dell’accessibilità (chissà: si riferiranno alle barriere architettoniche o alla semplificazione delle domande di alloggi popolari?).
Ma leggete queste due. Perché qui si raggiunge il massimo. Mitigazione della carenza abitativa, che secondo il vocabolario italiano significa attenuazione, alleviamento, diminuzione ma anche addolcimento: pensano di regalare caramelle a chi è in lista d’attesa? Se sì, controllino che non contengano zucchero, perché tanti sono anziani che vanno spesso incontro al diabete senile. Welfare urbano. E qui la sintesi è la seguente, tratta dai telegiornali degli anni Sessanta e Settanta: nebbia in Val Padana. Che vi devo dire, mi faccio aiutare da Giacomo Leopardi citando la quinta strofa de La ginestra: «Non so se il riso o la pietà prevale».
