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La dignità invece del piagnisteo

La dignità invece del piagnisteo

L’editoriale del direttore

Non penso che tutti i giovani debbano fare come la bidella pendolare Giuseppina e trascorrere 10, forse 11 ore della giornata in viaggio per raggiungere il posto di lavoro. Però un po’ di sacrifici si possono fare, rinunciando a qualche comodità e a determinate pretese.


Giorgia Meloni si è intestata la battaglia contro il Reddito di cittadinanza, abolendolo per i cosiddetti occupabili, ossia per le persone che sono in età da lavoro, non hanno figli minori o disabilità di alcun tipo. Una scelta più che condivisibile, perché dopo tre anni di sperimentazione, non si può accettare che «stipendiare» qualcuno per restare a casa fosse divenuta la regola. Capisco che non sempre il mercato del lavoro offra le opportunità di ingaggio desiderate, ma piuttosto che vivere a vent’anni assistito dallo Stato, credo sia meglio fare qualche sacrificio e accettare un impiego non comodo, cioè non vicino a casa, oppure un lavoro non in linea con il proprio titolo di studio. All’estero, c’è chi si rassegna a fare la commessa o il barista in attesa dell’occasione giusta, e intanto guadagna e si rende indipendente dalla famiglia. Da noi, al contrario, in molti preferiscono il divano e, soprattutto, la dipendenza dall’assegno dell’Inps. Ovvio, non tutti, perché anche in Italia c’è chi al Reddito di cittadinanza preferisce un sacrificio.

A questo proposito, vi voglio raccontare la storia di una donna che con il suo comportamento fa discutere. È una ragazza di 29 anni, che da poco ha trovato lavoro come operatrice scolastica in un istituto di Milano. Che cos’ha di speciale questa giovane? Ogni mattina dice di svegliarsi alle 4, andare alla stazione e prendere il treno per il capoluogo lombardo, impiegando quasi 5 ore per giungere a destinazione. Infatti, la città di partenza è Napoli e dunque, per prestare regolarmente servizio come bidella nel liceo artistico Boccioni, Giuseppina Giuliano si farebbe ogni giorno circa 10 ore di viaggio: quattro e mezzo all’andata, quattro e mezzo al ritorno, più gli spostamenti in città. Il treno che la riporterebbe nel capoluogo campano parte alle 18.20 e, se non ci sono ritardi, giunge alla stazione di Napoli un po’ prima delle 23 e dopo mezz’ora Giuseppina andrebbe a letto, perché alle 4 del giorno dopo ricomincia il viaggio.

Vi pare una follia? Forse lo è, forse semplicemente è una provocazione per far discutere sulle condizioni di lavoro. Tuttavia, vera o no la storia, non si può non riconoscere che il comportamento di questa giovane sia distante anni luce da quello di chi pensa che debba essere lo Stato a trovare lavoro a quanti non ce l’hanno e, ovviamente, lo pretende sotto casa e con orario comodo, cioè con il sabato e la domenica a riposo. Al contrario, Giuseppina dice di essersi fatta i conti e quando le è stato offerto uno stipendio inferiore a 1.200 euro per trasferirsi a Milano come operatrice scolastica di ruolo non solo ha detto sì, ma ha capito che l’introito non le sarebbe bastato a pagare un affitto e mantenersi in una città il cui costo della vita è elevato. «Tutto ciò che guadagno se ne sarebbe andato in bollette, canone per l’alloggio e trasferimenti». Altri avrebbero rinunciato, chiedendo il Reddito di cittadinanza: non Giuseppina, che armata di forza incredibile, avrebbe deciso di fare la pendolare, su e giù da Napoli, ogni giorno, percorrendo 800 chilometri all’andata e 800 al ritorno. L’abbonamento al treno – dice – costa 400 euro al mese, meno dell’affitto di una singola stanza a Milano, e in questo modo il magro bilancio non è gravato da acqua, luce e gas, né dalla spesa nei supermercati del capoluogo lombardo. Qualcuno ha messo in dubbio il racconto. Ma vera o meno, la vicenda fa discutere.

È questa la soluzione per chi è rimasto senza lavoro e ne cerca uno dignitoso? Certo che no. Giuseppina – se è vero ciò che afferma – ha fatto una scelta estrema e non sappiamo quanto potrà durare. Tuttavia, la sua è una decisione coraggiosa, contrapposta al piagnisteo di chi si lamenta per la condizione di disoccupato, ma poi non è disposto ad accettare alcun compromesso. Quante volte, nei servizi tv dedicati all’argomento, ho sentito le richieste di chi è a caccia di un posto. Lo vogliono vicino a casa, ben retribuito e senza doversi sbattere troppo a cercarlo. In pratica, vogliono la luna, ma per ottenerla non sono disposti ad andarci. Ribadisco: non penso che tutti i giovani debbano fare come Giuseppina e trascorrere 10, forse 11 ore della giornata in viaggio per raggiungere il posto di lavoro. Però un po’ di sacrifici si possono fare, rinunciando a qualche comodità e a determinate pretese. Se hai un titolo di studio che non ha futuro, inutile insistere. Meglio ammettere che si è presa una laurea che non ha futuro. Così come se non hai alcun titolo di studio è preferibile riconoscere che è meglio un lavoro non qualificato di nessun lavoro. Non si tratta di sfruttamento ma di dignità, e nella rassegnazione a vivere una vita con l’assegno pubblico per non fare niente, continuo a pensare che non ci sia dignità. A prescindere dal treno che si prende.

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