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Corrado Ocone: «La nostra vita nella democrazia del panico»

Corrado Ocone: «La nostra vita nella democrazia del panico»

Dai pericoli di una dittatura sanitaria alle aberrazioni di uno Stato pedagogo, alle motivazioni nascoste dalla propaganda sul Ddl Zan contro le discrimazioni dell’orientamento sessuale. Un filosofo rifiuta la strategia di un potere centrale che in cambio di presunte sicurezze offerte ai suoi cittadini ne abolisce spazi di libertà. E rilancia: «Il nostro vero antidoto è fare i conti con le forze del male, sapendo che questo fa parte dell’uomo».


È come passeggiare nel ginnasio di Atene guardando il mondo con gli occhi del filosofo liberale e d’improvviso vedere ciò che accade nella luce della consapevolezza. Capita dialogando con Corrado Ocone che ha dato alle stampe Salute o libertà, un dilemma storico-filosofico (Rubettino editore). Tra diritti negati e doveri imposti, timori collettivi e private ribellioni oscilla il pendolo, anche di Michel Foucault pensatore non liberale, molto citato peraltro in queste pagine, che scandisce il ritmo pandemico. Con questa intervista a Panorama il professor Ocone entra subito nel vivo delle cose: «Il ministro della Salute Roberto Speranza ha scritto nel suo libro mai nato che il Covid è l’occasione per riaffermare l’egemonia della sinistra. Da qui si è detto che la sinistra volesse istituire una dittatura sanitaria. Ma è un errore di prospettiva. Speranza va al di là della dittatura sanitaria: pensa alla costruzione dello Stato pedagogo che costruisce e impone il bene collettivo. È lo Stato etico, dietetico come capita in Europa, ma amorale».

La paura è finalizzata a questo?

Non è la paura di Thomas Hobbes, il quale ci dice che è sull’istinto di sopravvivenza dei singoli che nasce lo Stato; la forma compiuta della politica in età moderna. E non è neppure il concetto di sicurezza di John Locke. Qui c’è l’idea di modellare con la paura la società come fosse plastilina.

Più vicino a George Orwell che ai filosofi, dunque?

Be’ sì, se pensiamo alla psico-polizia orwelliana coniugata con il concetto di bio-politica di Foucault non andiamo lontano da quello che è successo e continua a succedere. Nel libro recupero il «panopticon», il carcere immaginato da un altro filosofo, Jeremy Bentham: che significa imporre un controllo dell’individuo attraverso la possibilità del potere di vedere senza essere visto. I controlli occhiuti delle forze di polizia questo sono. Ma siamo andati molto oltre Orwell; egli non poteva prevedere che la crisi delle democrazie generata dalla globalizzazione acuita dalle continue emergenze – dal terrorismo al Covid – fa sì che esse siano pervase da sistemi di potere e forme di controllo non sempre legittimi.

Viviamo dunque in democrazie in preda a crisi di panico?

Viviamo la fase terminale delle democrazie moderne aggredite dalla globalizzazione. Questo fa in modo che si abbia un governo continuo delle emergenze con l’idea di determinare il bene collettivo in maniera iper-razionalista mettendo in campo due nemici assoluti delle libertà individuali: il paternalismo e il perfezionismo. In fin dei conti questo è il politically correct che serve ad alimentare una (falsa) democrazia progressiva fino ad arrivare all’egemonia della sinistra dove il progresso diventa fine a se stesso con esiti nichilistici.

Scendiamo sul concreto: cosa significa nella nostra vita?

Come si tiene insieme l’idea del «rischio zero» che c’impone una vita di clausura priva di relazioni con la rivendicazione dell’eutanasia perché ci sono vite che non sono degne di essere vissute come quelle del povero Piergiorgio Welby? Questo cortocircuito come molti altri si determina perché la pandemia, e dunque la paura, ha messo in crisi la pretesa della modernità di stabilire un ordine senza trascendenza, la modernità nel suo filone principale fa a meno di Dio e ha un’attesa messianica del mondo nuovo. È la costruzione della nuova normalità che prescinde dalle libertà individuali.

Ma ci dicono che dobbiamo comprimere le nostre libertà per il nostro stesso bene…

È il ricatto della paura che si declina con lo Stato pedagogo. Prendiamo il Ddl Zan. L’idea regolizzatrice di fare il bene degli individui attraverso un’egemonia cultuale giuridica conduce non a salvaguardare i diritti delle minoranze, ma all’egemonia delle minoranze. Alla sinistra della comunità Lgbt il provvedimento su discriminazioni per l’orientamento sessuale in sé non interessa nulla; e la stessa parte politica non è interessata alla tutela delle donne perché altrimenti entrerebbe in conflitto con l’Islam, come non gli importa dei migranti in quanto tali. Il disegno è fare piazza pulita di ogni distinzione, è giungere alla liquidazione di ogni diritto naturale. Arrivando a esiti eugenetici: dall’utero in affitto che è in contraddizione con l’aborto terapeutico. Se l’afflato fosse quello di salvaguardare davvero le minoranze mi piacerebbe chiedere: esiste una minoranza più minoranza dell’individuo? E ancora: non è insito nell’individuo anche il male? Invece entra in gioco l’ideologia del progresso senza confini, di un razionalismo esasperato che ha bisogno d’indurre la paura per ottenere non un consenso, ma un’obbedienza. Questa è la strada che porta al cosiddetto post-umanesimo, ovvero uno sviluppo radicale e ultimativo della modernità; è – per dirla con il Marx degli scritti economico-filosofici – il desiderio che si fa norma e sfocia nel nichilismo, la fine della nostra civiltà. Liquidare il diritto naturale significa anche liquidare la tradizione, la famiglia.

Il quadro che traccia è inquietante. È possibile uscirne?

Quello che è accaduto a Madrid con la vittoria della destra, che ha governato non sulla paura ma salvaguardando le libertà, indica che c’è una capacità di reazione. Poi ci sono antidoti culturali. Con Martin Heidegger posso dire che solo un Dio ci può salvare. Il che non vuol dire che sia il Dio cattolico, ma vuol dire la ricerca di senso. È la difesa della tradizione, è avere un’idea liberale e conservatrice che contempla anche il pregiudizio, vuol dire denunciare l’asimmetria dell’idea positivistica che agita i dati scientifici come un feticcio ignorando – volutamente – che la scienza include l’errore dunque anche il concetto di rischio. Sì, credo che l’antidoto sia fare i conti con le forze del male, sapendo che fa parte dell’uomo, e occuparsi di Dio.

Dunque Jorge Mario Bergoglio che accetta la chiusura delle chiese e che non fatto le processioni ha contribuito al governo della paura?

La peste in passato veniva combattuta anche con la fede. Il Papa ha rinunciato a questo esercizio o, se si vuole, a questo esorcismo lasciando gli uomini privi di quel Dio di cui parla Heidegger. È però coerente con l’idea di Bergoglio; vuole una Chiesa che si adegua al mondo. Anche questo fa parte della crisi delle democrazie.

Lei critica il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky che ha giustificato la compressione dei diritti, per esempio con i Dpcm. Perché?

Credo che, nonostante tutti i suoi limiti, la Carta sia oggi un riparo per le libertà individuali. Andrebbe però adeguata, visto che è figlia di forze politiche ormai scomparse e nacque da un disegno politico che guardava al socialismo. Zagrebelsky è una delle vestali della Costituzione, eppure di fronte alla pandemia egli dà un giudizio politico travestito da parere giuridico per difendere l’area a cui appartiene, arrivando a dirci che lo stato d’emergenza presuppone l’uso di poteri eccezionali che danno al sovrano mani libere. Mi soccorre un’espressione di Foucault che spiega bene in che tempo stiamo vivendo: al potere sovrano di far morire e lasciar vivere si sostituisce il potere contrario di far vivere e lasciar morire.

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