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Cop26: quelle inutili liturgie sul clima

Cop26: quelle inutili liturgie sul clima

Ai summit globali formule vuote, buona volontà (apparente), misure generiche. E nessun vero controllo su chi rispetterà gli accordi.


Ormai, quando c’è un incontro internazionale sui temi ambientali, in particolare sul riscaldamento globale, potremmo scrivere un libretto che indica, come per la messa, come si svolgerà la liturgia, i suoi vari momenti, cosa verrà detto e da chi e anche, come succedeva nei paesi un po’ di anni fa, chi parteciperà alla messa stando fuori sul sagrato, come era d’uso soprattutto per gli uomini nel secolo scorso. Non si tratta di un’opinione, bensì della descrizione della realtà. E se qualcuno non si fidasse vada a leggersi le dichiarazioni finali di questi incontri e troverà la liturgia descritta: i riti preparatori, lo svolgimento della celebrazione e l’«andate in pace».

Alla fine dal G20 è emerso ciò che era stato già deciso nella Cop21 di Parigi del 2015 (Conferenza delle parti aderenti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, il numero indica quante ne sono state celebrate): infatti l’impegno enunciato nella dichiarazione finale del G20 svoltasi a Roma non fa che ribadire la volontà «per una piena ed effettiva implementazione dell’Unfccc (Convenzione Onu sui cambiamenti climatici, ndr) e dell’accordo di Parigi». Prova ne è che l’impegno a limitare l’innalzamento delle temperature medie entro 1,5 gradi era già scritto nell’accordo della capitale francese.

Tutto questo senza una scadenza certa, mentre Cina e India hanno annunciato la costruzione di 100 nuove centrali a carbone. Il termine per la fine dell’era del carbone era indicato come imminente, poi è slittato al 2030, infine in un generico «prima possibile». Nel frattempo, a Glasgow il premier indiano Narendra Modi ha fissato come data per l’obiettivo il 2070.

In ambito internazionale, dove i singoli Stati di fatto cedono un pezzettino della loro sovranità poiché ritengono che sia necessario per conseguire risultati globali, questi accordi dovrebbero funzionare esattamente come un contratto. Primo: scritto il testo di questo documento vengono apposte volontariamente, e quindi in libertà, le firme dei singoli contraenti che rappresentano l’adesione a quanto contenuto. Secondo: le norme del contratto risultano vincolanti per i contraenti e il loro rispetto, nel caso in cui i contraenti giungano a una controversia, viene affidato a una figura o istituzione che, ovviamente, non sono i contraenti stessi bensì – nel caso specifico – un organo di giustizia.

Del resto, è difficile che in una controversia, sorta per il mancato rispetto dei patti, colui che non li ha rispettati si autoaccusi, si flagelli o indossi l’antico cilicio infliggendosi una pena corporale riparativa, come da regole monastiche varie. È più ragionevole che sia una autorità «super partes» a decidere chi ha ragione e chi ha torto. Non può messere una singola «pars».

Bene, questo elemento del contratto, e quindi dei trattati internazionali sul clima, non esiste perché in sostanza i singoli Stati sono tenuti a presentare una relazione sul propria applicazione di quanto deciso: in altre parole, una sorta di autocertificazione. Ora, o si pensa che tutti gli Stati siano retti da uomini integerrimi che avendo letto e riletto le opere di Immanuel Kant sono convinti che il dovere si rispetta in quanto dovere, indipendentemente da sensazioni, sentimenti e tantomeno interessi. Come diceva il filosofo tedesco: «Devo perché devo». Si chiama deontologia.

I responsabili di questi incontri internazionali sono diventati tutti di stretta osservanza kantiana? Noi francamente non ci crediamo. E non perché siamo pessimisti sulla natura umana, ma perché siamo realisti e sappiamo che il controllo delle regole non può essere affidato a chi quelle regole le deve rispettare. Si chiama mondo dei sogni che potremmo riassumere nella formula (con massimo rispetto del filosofo di Königsberg) «Kant che ti pass».

Terzo elemento: poiché la natura umana è fallibilissima, specialmente nell’adesione alle leggi (e ciò vale anche per chi governa le società umane), da sempre la sanzione per chi non rispetta le regole è un deterrente. Colui che non trasgredisce sa che incorrerà in una pena proporzionale alla colpa commessa. Peccato che non solo non ci sia un organo di controllo, ma in questi accordi non esistano neanche eventuali sanzioni.

L’esultanza che circondò l’accordo scaturito dalla Cop21 svoltasi a Parigi nel 2015 è la stessa per il recente G20 svoltosi a Roma, identica a quella che ha preceduto e certamente seguirà alla Cop26 iniziata a Glasgow il 31 ottobre – addirittura con la presenza di Leonardo DiCaprio – e che si concluderà il 12 novembre. Capirete bene che è ben difficile partecipare a questo entusiasmo. E non perché non crediamo che non ci esista un problema ecologico enorme, ma perché non crediamo a questi accordi.

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