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Il controllo sociale è già tra noi

Il controllo sociale è già tra noi

L’editoriale del direttore

Essere continuamente monitorati è il prezzo da pagare per avere garantite la sicurezza e la salute pubblica? Certo, ma se il monitoraggio finisse nelle mani sbagliate, che succederebbe?


Giorni fa, sul Corriere della Sera, mi è capitato di leggere un elogio dei pagamenti digitali. Federico Rampini raccontava la sua esperienza in Cina, dove di regola un conto, al ristorante o dal tabaccaio, si salda senza la carta di credito, ma semplicemente con il telefonino e, prossimamente, forse neppure con quello. Da anni, si spiegava nell’articolo, a Pechino e dintorni chi al bar paga con le banconote è guardato non soltanto come un uomo della preistoria, ma anche con sospetto. La cronaca era di supporto a un ragionamento sull’innalzamento del tetto ai versamenti in contanti deciso dal governo Meloni che, secondo le critiche, favorirebbe l’evasione fiscale. Per Rampini, i pagamenti digitali ormai sono la norma nei Paesi più avanzati e consentirebbero di sviluppare nuove applicazioni, con benefici per i consumatori e ricadute positive sul Pil.

Ovviamente, non ho motivo di dubitare delle certezze del collega. Parecchi anni fa, durante un convegno che fui chiamato a moderare, un super tecnico spiegò che quel pezzetto di plastica che avevamo nel portafogli, all’epoca considerato il mezzo più moderno anche se non ancora il più usato in Italia, sarebbe presto stato scavalcato da una carta di credito virtuale contenuta nel nostro telefonino. Ai quei tempi mi sembrò un’idea avveniristica, ma la realtà era già dietro l’angolo. Oggi addirittura, abbiamo banche che non hanno sportelli e neppure una sede fisica, ma operano su una «nuvola», con scambi di denaro che non richiedono neppure l’Iban (ne ha scritto tempo fa su Panorama Marco Morello), ma solo un numero di telefono o una mail. È chiaro che questo è il futuro ed è altrettanto evidente che più i pagamenti sono tracciati, senza cioè scambi in denaro, e più il sistema restringe le possibilità di chi intende evadere le tasse.

Tuttavia, c’è un piccolo problema e non riguarda solo le persone di una certa età, le quali magari fanno fatica sia ad abbandonare l’idea di avere in tasca delle banconote sia a operare con codici e smartphone. No, il problema è il controllo sociale. Basta leggere l’articolo di Stefano Piazza e Luciano Tirinnanzi che trovate a pagina 46 per capire come il rovescio della medaglia di quei pagamenti che tanto piacciono a Federico Rampini sia la pervasività dello Stato nella vita dei cittadini. Finché le informazioni sono nelle mani di un sistema democratico, che rispetta i limiti dettati dalla Costituzione e non cerca di esercitare un controllo sulle scelte dei singoli, il problema non si pone. Ma quando lo Stato non è democratico o anche solo decide di imporre comportamenti «virtuosi» ai cittadini, che cosa succede? La libertà è violata. In Cina, oltre ai pagamenti digitali, esiste il riconoscimento facciale ed entrambi i sistemi servono al regime di Xi Jinping per tenere sotto controllo le persone. La storia raccontata da Piazza e Tirinnanzi della donna che la polizia ha prelevato da casa sua perché qualche ora prima era entrata in un supermercato in cui era stato registrato un sospetto caso di Covid è significativo. Come il riconoscimento facciale, le transazioni digitali lasciano traccia di ogni nostro passaggio e di ogni nostro acquisto, con ciò che ne consegue.

Ovviamente le persone per bene, che non hanno nulla da temere perché non evadono le tasse e non violano la legge, faranno spallucce, pensando che se in un qualche archivio digitale si registrano le spese della propria famiglia non è un gran problema. Ma come si è visto durante il Covid, lo Stato può fare molti usi di quei dati che raccoglie giorno dopo giorno. Sapere quali farmaci assume un cittadino è possibile, perché a ogni acquisto si fornisce non solo la carta di credito ma anche il codice fiscale. Quante volte, nell’arco di 24 ore, depositiamo nel grande archivio delle agenzie governative e non, informazioni che ci riguardano? Provate a pensarci: dal bar al ristorante, dai viaggi – in treno, in aereo ma anche in auto – ai soggiorni in albergo, la nostra vita è un libro aperto per chiunque un giorno volesse ficcarci il naso. Uno Stato che intendesse limitare la circolazione delle persone o individuare dove esse siano state non avrebbe alcuna difficoltà. Durante il lockdown, il governo Conte costrinse gli agenti a controlli in strada per identificare chiunque violasse gli «arresti» domiciliari disposti dai Dpcm. Uno sforzo inutile: il telefonino e i pagamenti digitali avrebbero consentito un controllo con poca fatica.

Essere continuamente monitorati è il prezzo da pagare per avere garantite la sicurezza e la salute pubblica? Certo, ma se il monitoraggio finisse nelle mani sbagliate, che succederebbe? Le mie sono riflessioni di un vecchio liberale che paga le tasse e detesta gli evasori. Tuttavia, nonostante produca effetti sul Pil, come dice Rampini, il modello cinese non mi piace per niente. E forse, a leggere le cronache di questi giorni, non piace più neanche ai cinesi.

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