- Come saremo dopo aver attraversato la pandemia
- Nel labirinto dei tamponi
Più soli, ipocondriaci, diffidenti. Non smetteremo di acquistare online e ordinare cibo da asporto. I giovani cercheranno disperatamente l’euforia perduta. Tutti avremo bisogno di tenerci vicino i nostri cari e proveremo, senza riuscirci, a dimenticare… Storici, filosofi, scrittori, medici immaginano un futuro possibile. Tecnologizzato eppure molto fragile.
Una cosa rimarrà sicuramente per sempre anche quando tutto questo sarà finito. Mentre spingeremo sereni il carrello al supermercato e sentiremo qualcuno tossire, il panico inevitabilmente ci assalirà. Ci nasconderemo tra gli scaffali dei fagioli borlotti, aspettando che chi ha emesso quel suono pauroso, ormai carico di presagi angoscianti, si dilegui, lontano. La paura per uno starnuto accompagnerà le nostre misere vite. Saremo più fragili, insicuri, ipocondriaci, asociali, vedremo nell’altro un portatore di virus e ci rifugeremo nei social.
Saremo più tecnologici, ma facilmente relegati a una «televita» come l’ha definita Marcello Veneziani: «Ci avviamo verso una società fondata sulla vita a distanza. E ciò produrrà due effetti contrastanti: la solitudine e la dipendenza. La mascherina diventerà il nostro laico chador. Sembra un paradosso, ma in fondo l’origine è la stessa: la paura di contaminarsi. Ho l’impressione che siamo entrati nell’epoca di una nuova religione sanitaria, dove la vita è il bene non negoziabile. Naturalmente la propria, non quella degli altri. Tutto questo sostituisce la visione religiosa: dove prima c’era l’idea di salvezza, ora ci sarà quella di salute».
Secondo l’intellettuale, la pandemia non ha innescato una controtendenza, ma ha accelerato quelle già in atto. «Il sesso virtuale, la diffidenza erano già presenti nella società pre-Covid, che ha solo scavato ulteriori solchi. L’universo virtuale sarà centrale. La sfera fisica si allontanerà. Il feticcio diventerà il corpo. Da preservare in una teca di vetro, come le campane che contengono le Madonne».
I sociologi americani si sono già affrettati a definirla «the new normal», la nuova normalità, dando per scontato che la vita di prima non tornerà indietro. «Non ci toglieremo più l’ossessione della protezione sanitaria. Una furia salutista che corrisponde al politicamente corretto. Diventeremo una generazione di ipocondriaci, ma non sarà un processo del tutto spontaneo, piuttosto ci sarà una determinazione degli Stati che si trasformerà in una forma di controllo» riflette lo storico Giordano Bruno Guerri. «Il Potere una volta sperimentata questa possibilità, si comporterà come un branco di lupi alla vista del sangue: non mollerà».
Cicli storici, eterni ritorni, la storia si ripete ed è maestra di vita. «Viviamo nell’era delle globalizzazioni di paure e speranze. Siamo abituati a pensare solo al breve periodo. Invece cambierà tutto» conclude.
Eppure ci sono cose che sembrano non essere cambiate affatto, come le feste affollate, i matrimoni grandiosi. Racconta Angelo Bucarelli, art director di grandi eventi: «Tutto riprenderà come prima e anche rapidamente. La gente non vede l’ora di dimenticare e ricominciare. Già a luglio mi chiedevano di organizzare matrimoni con più di 300 invitati». Anche il mercato delle seconde case e dei mega yacht non è mai stato così vivace: «Senza dubbio il mondo sarà più segmentato fra classi dalle possibilità diverse, selettivo e chiuso».
È così anche nell’arte catalizzatrice di «socialite» e divini mondani: «Sono riprese fiere e inaugurazioni. Il sistema si sta riorganizzando anche se ormai mostra una profonda crisi di idee» spiega il curatore Gianluca Marziani. Il futuro è ormai degli Nft: «Opere completamente digitali, che si commerciano nel mercato delle criptovalute e sono l’ultima tendenza. Stanno nascendo gallerie che si occupano solo di loro». Illusioni per ricchi viziati? L’americano Beeple, l’artista digitale oggi più quotato, è stato il primo ad andare in asta da Christie’s dove ha raggiunto 70 milioni di dollari, pagati con la valuta virtuale Ethereum. «Questa sembra essere l’unica opzione del presente che guarda al futuro».
Che ai giovani appare sempre più nero. Psicofarmaci e stupefacenti sono aumentati. Se tra gli adolescenti circolavano marijuana e hashish con frequenza e leggerezza, oggi si cerca una disperata euforia nelle droghe sintetiche. «È una generazione che ha perso per un tempo significativo gli ingredienti per diventare grandi: la relazionalità con il gruppo dei pari e con adulti significativi. Sono mancate le esperienze, le esplorazioni, affrontare la dimensione del rischio» spiega lo psicoterapeuta dell’età evolutiva Alberto Pellai. «Sono più passivi, demotivati, ansiosi, ma anche più resistenti, tolleranti al vuoto. Chi era fragile prima, ora si è trovato frantumato. Toccherà a noi genitori, educatori, ribaltare la prospettiva in questo tempo di mezzo per farli uscire dalla comfort zone. Altrimenti cadranno nella virtualizzazione, nel ritiro sociale».
Ma come ha detto il neo Nobel per la Fisica Giorgio Parisi: «Il futuro vi sorprenderà». Secondo Alberto Mingardi, professore associato di Storia del Pensiero politico allo Iulm di Milano e autore con Gilberto Corbellini del saggio La società chiusa in casa (Marsilio): «Stiamo già vedendo una società più diffidente e, perlomeno in Italia, incattivita. Ci stiamo trasformando in un campo di battaglia. Mi auguro che torneremo a una vita simile a quella di prima. Non era perfetta, ma imperfetti sono gli esseri umani». Lo scriveva già l’imperatore Marco Aurelio nei suoi mirabili Pensieri: «Ciascuno vive solo questo presente, incommensurabilmente breve: il resto è già stato vissuto o avvolto nell’incertezza».
Riflette lo scrittore e giornalista Riccardo Staglianò: «Ormai abbiamo capito che non ne usciremo, ci conviveremo. Lo smartworking resterà, molte aziende lo avevano già scelto prima. Cambierà la fisionomia urbanistica delle città. Le dark kitchen, cucine “chiuse” pensate solo per la produzione del cibo a domicilio, stanno vivendo un boom. Così il commercio elettronico. L’Italia era indietro, oggi sono nate realtà come Gorillas, che garantisce consegne in 10 minuti». Secondo lo scrittore invece il turismo d’affari sparirà per sempre: «Le aziende hanno capito che non ha senso mandare un manager dall’altra parte del mondo per una riunione che si può fare online». La domanda che ci porremo sempre più spesso sarà: «C’è una ragione per farlo in presenza?». Tutto diventerà rimpiazzabile da uno Zoom, il gruppo che ha visto negli ultimi due anni aumentare le sue quotazioni del 300%. Prima nessuno lo conosceva.
Patrick Trancu, consulente di gestione di crisi e curatore del volume Lo Stato in crisi. Pandemia, caos e domande per il futuro (FrancoAngeli) dice: «Il 21° secolo ci ha proiettati in una nuova dimensione: quella delle crisi sistemiche, complesse e diverse dalle precedenti, nate dall’instabilità. È come giocare una partita a scacchi su più piani di edifici diversi. Contemporaneamente». E non ha dubbi: «Saranno sempre più frequenti. Negli ultimi 20 anni ne abbiamo affrontate quattro: le due Torri, la crisi finanziaria del 2008, quella migratoria e ora il cambiamento climatico». A questo punto al lettore non resterà che toccarsi i gioielli di famiglia. «Dobbiamo essere pronti all’inimmaginabile, alla sorpresa. Non identificare le colpe, ma imparare dagli errori».
Uno degli errori fatti, secondo l’epidemiologo Franco Berrino, è non aver parlato abbastanza dell’alimentazione: «È difficile dire cosa ci aspetterà, mentre quello che dovremmo cambiare è molto facile. Il Covid ha ucciso in massima parte i diabetici, gli obesi, i gravi cardiopatici, le persone con sindrome metabolica. Non si è trattato di una pandemia, ma di una sindemia, una pandemia virale che si è innescata su una metabolica. Sedentarietà e cibo industriale hanno portato a questa condizione di sindrome metabolica. Per il futuro dobbiamo evitare il diabete, l’obesità, di ammalarci di cuore e di sviluppare l’ipertensione. Tutte cose che possiamo fare cambiando stile di vita».
Secondo lo studioso, che durante le chiusure ha scritto con Enrica Bortolazzi Il Mandala della vita (Mondadori), sono aumentati notevolmente i Tso per gli adolescenti, il consumo di psicofarmaci, i tentativi di suicidio. «Il lockdown forse ha ridotto la diffusione del virus, ma non ha aiutato a capire cosa fare. Bisogna tornare ai cibi semplici e cucinati da noi».
I rapporti superficiali saranno spazzati via, ci stringeremo agli affetti importanti. Afferma la scrittrice Camilla Baresani: «L’enorme angoscia degli ospedali, dove i malati venivano risucchiati senza che potessimo andare a trovarli, farà sì che resterà la paura e cercheremo di tenerci più vicini le persone care. Eppure constato un egoismo imperante, menefreghismo e aggressività furibonda. Tutto questo rimarrà, anzi si aggraverà».
Anche Diego Fusaro non ha una visione ottimistica: «Il distanziamento sociale sarà il fulcro della nuova società. Sta prendendo forma una sorta di Leviatano tecno-sanitario: diritti e libertà sequestrati, con la promessa di garantirci la sicurezza della vita. La definisco la società homo homini virus». Il filosofo torinese è appena uscito in libreria con il saggio Golpe Globale (Piemme): «Questo è un virus di classe, in senso marxiano. E mentre trionfa il capitalismo andiamo verso un mondo che io definisco Nuovo Sacro Romano Impero della Finanza. Una sorta di neo-feudalesimo, dove spariranno i ceti medi. Saremo servi della glebalizzazione».
Ma allora cosa ci aspetta? «Io non lo so, altri lo sanno e stanno dettando la nostra agenda», chiarisce il massmediologo Carlo Freccero. «Nel futuro ci sarà il Transumanesimo, la simbiosi tra uomo e intelligenza artificiale, ma per arrivarci sono necessari anni di modificazioni del Dna. Il futuro prossimo è l’agenda verde cui ci stanno già abituando con il Bosco verticale, la tappezzeria jungle e le bollette raddoppiate».
Nel labirinto dei tamponi

Chi il vaccino non lo vuole fare, chi non può, chi ha fatto quello russo «non approvato» (e aspetta che si trovi una soluzione), chi ancora esita, chi prende tempo. Per tutti costoro, la soluzione per viaggiare, lavorare, frequentare luoghi pubblici, avere una vita sociale, insomma per avere il green pass, è optare per il tampone. Con lunghe file in farmacia (come ha raccontato un lettore al Corriere della Sera) soprattutto il venerdi pomeriggio, così da usare il prezioso documento per il tempo libero del fine settimana.
Ma nell’ormai vasto catalogo di tamponi molecolari standard, tamponi naso-faringei delle farmacie, test salivari molecolari, salivari rapidi, kit fai-da-te, non tutti garantiscono il pass. Non a caso, nelle scorse settimane le autorità sanitarie hanno deciso che i salivari rapidi non possono dare diritto al al certificato (una «leggerezza», com’è stata definita, al vaglio ora dei Nas per non far circolare false patenti di negatività).
La confusione, insomma, non manca per chi vuole sapere se è entrato a contatto con il virus, se è contagioso o può stare tranquillo e ottenere il prezioso lasciapassare. Quali sono, alla fine, i test legittimati dal ministero della Salute e dal Cts, il Comitato tecnico-scientifico? Promossi i tamponi molecolari naso-faringei, i test antigenici rapidi e quelli salivari molecolari (nei centri specializzati). Bocciati, almeno per ora, i salivari rapidi.
Intanto, va premesso che i vari test si differenziano in relazione al sito di prelievo, ovvero naso e bocca. E la loro credibilità è strettamente connessa alle tecniche di elaborazione del materiale biologico. In cima alla classifica si colloca il tampone molecolare naso-faringeo, quello classico, disponibile sin ai primi tempi della pandemia. Rileva e quantifica gli acidi nucleici del virus attraverso l’impiego della tecnica PCR: «Indipendentemente dal sito anatomico di prelievo» spiega il virologo Carlo Federico Perno, direttore della Microbiologia dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma «il molecolare è il più sensibile e rappresenta lo standard. Individua sia chi è infettato sia chi è infettante».
Il test antigenico nasale invece, che dà l’esito nel giro di 15-20 minuti, riconosce prevalentemente i soggetti con una carica virale elevata; ma può essere fuorviante, soprattutto per gli asintomatici, e accordare la negatività a chi invece è positivo. Vi si può ricorrere nel caso di eventi o situazioni pubbliche limitate nel tempo: «Attesta che non sono infettante e non comprometto la salute delle persone che mi circondano» afferma l’esperto. «Va benissimo per un concerto, una cena, per andare al teatro o al cinema. È comunque un certificato verde precario, perché trascorse le 48 ore non possiamo davvero sapere cosa succede».
La maggiore attendibilità del test nasale (molecolare e antigenico) rispetto ai salivari ha una precisa base fisiologica: il virus non replica nella bocca ma arriva al cavo orale attraverso il naso, per contiguità anatomica. «Significa che nella bocca troviamo quantità comunque inferiori del virus» dice Perno. «ed è per questo che i tamponi nasali hanno capacità maggiori di rilevare un’eventuale positività». Conclusione: il meno attendibile di tutti è il salivare rapido: «Pesca il virus nel cavo orale dove ce n’è già poco, e sulla base dei dati disponibili non è abbastanza sensibile. La sua ammissione nel pacchetto del green pass potrebbe essere strumentalizzata per ottenere una falsa negatività».
Il fatto che non possa essere accettato per la certificazione verde non significa però che il Cts ne abbia soppresso del tutto l’utilizzo: «Non è una bocciatura, è semplicemente inappropriato per il green pass. Per fare un esempio motoristico, una Smart mi consente di parcheggiare benissimo in città ma non è la vettura migliore per viaggiare in autostrada. Visto che i test si usano in funzione dello scopo, il salivare rapido è più adatto allo screening nelle scuole, dove è importante individuare la maggior parte dei bambini infettanti». Tra l’altro, obbligare i più piccoli a sottoporsi di frequente ai tamponi nasali può diventare spiacevole: molto meglio il salivare simile a un lecca lecca.
Per dare qualche percentuale: l’accuratezza del tampone naso-faringeo molecolare si avvicina al 100%, quello nasale rapido è intorno al 50, il salivare molecolare viaggia tra l’80 e il 90% e, fanalino di coda, il salivare rapido si ferma sotto la soglia del 50. Il risultato dei test veloci può essere ancora meno sicuro se si sceglie l’opzione fai-da-te: il kit che si acquista in farmacia, si porta a casa e si vede se si colora in caso di positività (un po’ come il test di gravidanza). Negli Stati Uniti, il New York Times li stronca in un articolo intitolato «How Accurate Are At-Home Covid Test?». Molti li utilizzano per accorciare i tempi di attesa, in situazioni di emergenza. Ma, scrive il quotidiano americano, le percentuali di sensibilità dichiarate dai produttori (l’85%) sarebbero sopravvalutate.
«Il problema dei tamponi eseguiti a casa sono molteplici, in particolare non tutti hanno la capacità di eseguirli in maniera corretta» commenta Perno. «Cercare il virus sulla superficie delle narici non serve a nulla, occorre spingersi nella parte posteriore del naso dove si annida il Sars-CoV-2: chi lo fa da solo tende a essere autoriducente perché si ferma appena il bastoncino inizia a dare fastidio. Tra i test fatti in casa, a questo punto, è meglio il salivare rapido perché il prelievo non è doloroso».
Altra questione da sciogliere: i no vax accusano gli immunizzati di poter essere comunque contagiosi, almeno potenzialmente, ma di usare lo scudo del certificato vaccinale per attribuirsi una perenne negatività: «Chi è vaccinato può infettarsi, ma contagia 10 e più volte in meno di una persona non protetta. Non possiamo equiparare i soggetti» sostiene Perno. «Certo, va ricordato sempre che, in presenza di sintomi o di contatti stretti con positivi, anche chi è stato immunizzato non può esimersi dai controlli. Sono le basi della responsabilità sociale».
