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Vai a fidarti del bollino di sostenibilità

Vai a fidarti del bollino di sostenibilità

Le imprese ormai fanno a gara per mostrare ai consumatori il loro lato sensibile alle problematiche ambientali. Ma il problema, che per adesso l’Europa non ha risolto, è quello di chi può accertare con controlli convincenti e reali una condotta ecologicamente corretta.


È una febbre che sta contagiando tutte le aziende. Ormai non c’è prodotto o impresa che non si dichiari «sostenibile»: si tratti di carta igienica, finestre, pneumatici, biscotti, perfino gasolio, chi li produce si dichiara green, eco-friendly, attento alle minoranze e favorevole alla forestazione da qualche parte del pianeta. Da un’indagine condotta dalla Commissione europea risulta che l’85% delle pubblicità e delle pagine web delle aziende contiene informazioni sull’impatto dei prodotti sull’ambiente. Mentre sono quasi 6.000 i fondi di investimento nel mondo che investono secondo criteri Esg, ovvero «Environmental, social and corporate governance»: le società che rispettano questi criteri sono più apprezzate dagli investitori e dai consumatori e in genere sono anche gestite meglio.

Ma come fa un cittadino che acquista un prodotto o investe in un’azione a essere sicuro che chi glielo offre sia davvero sostenibile? Il 56% dei consumatori europei ha affermato di essersi imbattuto in messaggi «green» ingannevoli. La verità è che molte aziende ci marciano, indossano il cappello verde senza esserlo. Oppure esibendo il bollino di sostenibilità emesso da qualche società specializzata che si limita far compilare un questionario e a incassare il relativo obolo, senza verificare se l’impresa rispetta davvero i criteri Esg. In tal modo si crea una concorrenza sleale tra quelle serie, che oltre a ricercare il profitto si organizzano per generare benefici a tutti i portatori di interessi e l’ambiente, e le imprese furbe che si limitano a darsi una pennellata di verde, il cosiddetto «greenwashing».

Per cercare di mettere un po’ d’ordine nella materia, il 30 marzo scorso la Commissione europea ha proposto di «aggiornare le regole dell’Unione per i consumatori per dare loro la possibilità di una transizione verde. Le regole aggiornate garantiranno che i consumatori possano fare scelte informate e rispettose dell’ambiente quando acquistano i loro prodotti». Bruxelles ha così pubblicato una lista nera delle pratiche commerciali sleali, di cui tre riguardano proprio l’ambiente e la sostenibilità.

Secondo la proposta della Commissione, sarà vietato formulare dichiarazioni ambientali generiche o vaghe; produrre una dichiarazione ambientale concernente il prodotto nel suo complesso quando in realtà riguarda soltanto un determinato aspetto; esibire un marchio di sostenibilità che ha carattere volontario e non è basato su un sistema di verifica da parte di terzi o stabilito dalle autorità pubbliche.

Ed è quest’ultimo il punto critico: chi certifica il certificatore? Qual è l’organismo che garantisce la serietà del bollino Esg assegnato alle aziende? In Italia è Accredia: l’ente unico nazione di accreditamento, che si occupa di ufficializzare organismi di certificazione e ispezione, laboratori di prova e laboratori di taratura. E che ora è in prima linea nella guerra al greenwashing. «In questo momento» spiega Emanuele Riva, direttore del dipartimento certificazione e ispezione di Accredia, «ciò che occorre è fare squadra, tra istituzioni, enti di normazione ed enti di accreditamento, sia europei sia mondiali, per avere una certificazione con uno standard condiviso, che possa supportare le imprese e si distingua dalle varie proposte esistenti oggi sul mercato, spesso superflue e poco concrete».

Per ora solo un «bollino» ha ottenuto il via libera di Accredia. Si tratta del Modello Easi, Ecosistema aziendale sostenibile integrato, messo a punto dalla società benefit Sircle creata a sua volta da Consulnet Italia e Rödl & Partner. Nella circolare informativa trasmessa da Accredia dopo il riconoscimento, si legge che Easi è «un modello semplice e immediato che accompagna le imprese in un percorso di miglioramento continuo verso lo sviluppo sostenibile. Lo fa indipendentemente dai prodotti forniti e servizi erogati, nel rispetto sia delle diverse dimensioni e comparti industriali sia delle priorità e delle risorse disponibili, al fine di far acquisire alle aziende un proprio nuovo “modus operandi” che le renda competitive nei nuovi scenari internazionali».

Oltre al modello Easi, sono in fase di approvazione due schemi di certificazione: Gif Esg Rating, ideato da Get It Fair, e Srg88088, realizzato dalla Scuola etica di alta formazione e perfezionamento Leonardo. Intanto Riva, in qualità di presidente dell’Associazione mondiale degli enti che accreditano gli organismi di certificazione, ha proposto un gruppo di lavoro sulla sostenibilità, aperto anche a Nazioni Unite, Banca Mondiale e Wwf, per stabilire quali siano gli standard e i relativi schemi di certificazione adeguatamente qualificati sui quali puntare e investire a livello globale, proprio per tutelare la società dal greenwashing.

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