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Censura: e vissero tutti offesi & scontenti

Censura: e vissero tutti offesi & scontenti

Come una sorta di inarrestabile pandemia culturale, il politicamente corretto invade ogni aspetto della nostra vita: dalla politica allo sport, dalla moda alla letteratura, dal cinema alle fiabe. «Ripulire» parole e pensieri è ormai obbligatorio per non essere considerati razzisti, sessisti, misogeni.

  • Il nuovo (provocatorio) libro di Michel Houellebecq

Fran Lebowitz, la socialite newyorkese perfida e cinica, che da sempre argina la melma del politically correct, disse: «Il pensiero originale è come il peccato originale: entrambi sono accaduti, prima che tu nascessi, a persone che non hai potuto eventualmente incontrare». Ce lo siamo scordati il pensiero originale, mentre restiamo intrappolati nelle sabbie mobili dell’essere sempre dalla parte giusta a tutti i costi, suscettibili come bimbetti a ogni più piccola offesa, pronti sui social a lavare nel tweet l’onta di una parola sbagliata.

Se hai detto grassa, vecchia o anche solo «non mi piace il tuo outfit», stai molto attento: l’Inquisizione spagnola sta tornando, per parafrasare Brian di Nazareth, film dei Monty Python che oggi verrebbe assolutamente censurato. E così i giocatori della Nazionale non si sono tutti inginocchiati in onore del Black lives matter prima della partita con il Galles sono cattivi, razzisti, imperdonabili. Linciati. Perché hanno dimenticato che bisogna essere woke, ossia sempre e comunque dalla parte dei presunti buoni. Addirittura si parla di woke capitalism, capitalismo consapevole, due parole che se messe accanto farebbero rivoltare Karl Marx nella tomba.

«Quando ho visto che qualcuno si metteva in ginocchio mi sono detto: che bello lo stanno facendo per Boniperti, un cardinale del nostro calcio. Tutto avrei pensato tranne che fosse per onorare la memoria di George Floyd, sacrosanto per carità, ma se tramutiamo gli eventi sportivi in occasioni per fare annunci è ridicolo. E poi inginocchiarsi per un evento di un anno fa negli Usa non è assolutamente indispensabile, tanto più a Roma» riflette Giampiero Mughini. «L’imbecillità ha assunto una prosopopea come raramente nella Storia dell’uomo. Gli idioti ci sono stati sempre e hanno certamente schiamazzato. Però che la scemenza invada le università, le case editrici, che in America venga ritirata un’autobiografia del più grande scrittore del dopoguerra, Philip Roth per presunte molestie sessuali dell’autore, è inconcepibile» continua l’intellettuale, narratore lucido dei nostri tempi amari. «Ormai siamo al trionfo del neoconformismo, promosso da adepti da quattro soldi del bene con la B maiuscola, come se fosse un valore e non una stupidaggine. Gli uomini agiscono di volta in volta benino, maluccio o malissimo. Questa è la vita. Che non è una lotta del bene contro il male, ma è un equilibrio complesso, un ingorgo di ragioni, illusioni, errori, convinzioni, fesserie».

Secondo lo scrittore, il 70% degli italiani non è capace di intendere l’editoriale di prima pagina di un quotidiano. Impavido, lui ha appena pubblicato il Nuovo Dizionario Sentimentale (Marsilio), dove racconta senza censure una vita di battaglie controcorrente all’insegna del politicamente scorretto. «Siamo davanti a un’involuzione, una minaccia all’intelligenza comune e al discorso pubblico della democrazia. Ormai il cretino è di sinistra, di destra, di centro. Il futuro? Ciascuno deve contare solo su se stesso. Non ci sono bagagli culturali che ti proteggano da tutto ciò. Il politically correct oggi è l’imbecillità eretta a sistema». Siamo avvolti da un post-puritanesimo, saturo di sensi di colpa. Nel suo ultimo saggio L’era della suscettibilità (Marsilio) Guia Soncini fa una serie di esempi illuminanti.

Pensa oggi se Lucio Dalla cantasse Dark Bologna che così recitava: «C’è una puttana, anzi no è un busone». E Marco Ferradini in Teorema che consigliava: «Prendi una donna trattala male, lascia che ti aspetti per ore». Oppure la celebre Francesca di Lucio Battisti che: «Non ha mai chiesto di più, perché lei vive per me». Pensa oggi, pensa oggi, pensa oggi, scrive la giornalista. Tutto nacque nel 1793 da una sentenza della Corte suprema americana per un brindisi inopportuno in onore degli Stati Uniti invece che per il «popolo» degli Stati Uniti. Poi eccolo riapparire in Cina durante la rivoluzione maoista, per indicare il pensiero obbligato che consentiva di scampare ai campi di rieducazione. Come racconta il saggista Remo Bassetti nel suo Offendersi (Bollati Boringhieri): «In origine era interessante, soprattutto per la parte che riguardava una maggiore gentilezza linguistica. Poi ha avuto una serie di diramazioni, alcune grottesche e non condivisibili come limitare lo studio di Omero e William Shakespeare. Bisogna trovare un riequilibrio di un fenomeno complesso».

La parola che farebbe la gioia di Gustave Flaubert e il suo imprescindibile Sciocchezzaio è «cancel culture», la cultura della cancellazione. Qualcosa che esiste e come un virus silenzioso sta crescendo. E a proposito di virus e varianti agisce anche in questo campo: quella indiana ora si chiama in modo più rassicurante, si fa per dire, Delta, per non colpire la sensibilità di un intero popolo. La scure è calata anche sulle fiabe. Non è bastato a spezzarci il cuore il famigerato bacio «non consenziente» del principe azzurro a Biancaneve, ora il prossimo live action di Cinderella, in uscita a settembre, ha deciso di mandare in pensione la fata madrina, sostituendola con un fatino. Sarà Billy Porter, il protagonista della serie Pose, in sontuoso abito di paillettes arancione a mandare al ballo Cenerentola. E lo farà in modo più inclusivo, genderless, da afroamericano, omosessuale e sieropositivo quale è. Perché, come ha dichiarato: «La magia non ha sesso». Intanto la diversamente giovane, diversamente magra e naturalmente donna fatina è stata pensionata.

Se vogliamo essere davvero giacobini, c’è da dibattere fino a notte fonda. La magia non avrà sesso, ma ancora una volta è un maschio a fotterci il bibbidi bobbidi bu. Ipocrisia all’ennesima potenza: «Molte sono le aziende che usano il politicamente corretto come greenwashing, per rifarsi una coscienza» continua Bassetti. «E non solo le aziende: ho trovato spregevoli gli attori che avevano appena finito di lavorare con Woody Allen e si sono affrettati ad abiurare il regista per rifarsi una verginità». Per lo scrittore se continueremo su questa strada avremo una società: «Pavida e aggressiva, meno libera e più repressa». Tentiamo di recuperare la nostra libertà d’espressione in modo perverso sui social, cloaca massima di ogni sentimento scatologico. Ma neanche lì c’è da stare allegri. Racconta Elena, 16 anni, che su TikTok stanno impazzendo: «Tutti dovrebbero darsi una calmata: grassa non si può scrivere ed è giusto, ma curvy è ancora peggio. È come sottolineare: sei cicciona, ma non te lo voglio dire. L’apoteosi dell’assurdo sono le strofe delle canzoni che possono essere cantate solo se culturalmente si appartiene a quel gruppo».

Se no ti tirano le pietre e ti tacciano di «appropriazione culturale»: se sei bianco non puoi pronunciare la N-word (la parola proibita che non ci azzarderemo a scrivere). «Può essere declamata solo da cantanti afro. Se altri si permettono di dirla vengono disintegrati, costretti a scusarsi e a rimuovere il video» continua la ragazza. «Dobbiamo essere tutti uguali, senza difetti. L’ironia sta sparendo, doveroso è omologarsi a quello che dicono gli altri». Eccoci nell’era della prevalenza del cretino, come avrebbero detto i grandi Fruttero&Lucentini: tutti Cato censor e nello stesso tempo estremamente fragili. Come scriveva Robert Hughes nel suo lungimirante La cultura del piagnisteo (Adelphi): «Essere vulnerabili è garanzia di invincibilità. La doglianza dà potere, anche se è solo il potere del ricatto emotivo, che crea un tasso di sensi di colpa sociali mai registrato in precedenza».

L’importante è non urtare nessuno e questo è uno slalom difficile. Gli angeli di Victoria’s Secret, che sfilavano con corpi perfetti, sono stati cassati. Sostituiti da un collettivo di donne «impegnate» tra cui la modella transgender Valentina Sampaio e Adult Akech, sudanese nata in un campo profughi. Una ola di approvazione le accoglie: forse ora ci sarà più consapevolezza a indossare un perizoma sponsorizzato dalla campionessa di calcio e attivista Lgbtq+ Megan Rapinoe? Qualche voce contraria ancora c’è, come Lorenzo Farina, esperto di media e personaggio televisivo: «Sono assolutamente d’accordo nel rendere questo mondo più inclusivo, e se una parola dà fastidio a una determinata categoria è giusto che ci si adegui. Ma bisogna stare attenti a quando ci si trasforma in talebani. Questo inutile dibattito crea un danno enorme alle battaglie vere». È una censura ipocrita ampliata dalla bolla social, che polarizza, radicalizza il pensiero. «Diffido da chi è sempre d’accordo con una certa linea, non è possibile che tu abbia sempre un’osservazione giusta, sull’argomento giusto, nel momento giusto» conclude Farina.

Sparisce il contesto e così succede che nel programma più inclusivo del pianeta, Propaganda Live, Rula Jebreal si è rifiutata di andare. Il motivo: sessismo, era l’unica donna. La risposta di Zoro è stata fulminante: «L’avevamo invitata non in quanto donna, ma perché ci sembrava la persona più competente». Spiega il filosofo Leonardo Caffo: «Non sono un amante del politically correct, ma sono un sostenitore di un certo tipo di femminismo, di ecologia, di antirazzismo. Credo che alla fine tutti questi percorsi abbiano senso solo se ci si può esprimere come ci si esprimeva prima, senza essere tacciati di qualunque cosa. Uno deve avere il diritto di dare della cretina a una donna senza essere accusato di essere patriarcale. Il problema del linguaggio è come lo usi. I contenuti sono molto più importanti delle parole e da persona di sinistra dico: oggi uno dei pochi orizzonti di libertà è il pensiero di destra. La sinistra è completamente avvolta da queste ossessioni e ormai non sa esprimere altro. Posso essere di sinistra e dire che ci sono troppi migranti senza sentirmi dare del razzista? Devo avere questa possibilità, se no non possiamo dire più niente».

Alla fine, secondo il filosofo, limiteremo le libertà espressive, ci sarà un impoverimento del linguaggio e della conoscenza. «Sono stato cacciato da un convegno universitario perché ho definito una teoria “una puttanata”. Mi hanno chiuso il microfono, dicendo che era un termine sessista». Sragionando così non avremmo mai avuto Carmelo Bene, né la comicità italiana: nessuno avrebbe potuto fare quel geniale film che fu Viaggi di nozze di Carlo Verdone. Continua il filosofo: «Non vengo invitato in molti programmi perché gli autori mi preferiscono mie coetanee, hanno meno problemi. Penso che mi fingerò omosessuale così mi inviteranno tutti».

Il nuovo (provocatorio) libro di Michel Houellebecq

Poca teoria, moltissima pratica. Michel Houellebecq non parla quasi mai direttamente (e se lo fa, è sempre mal volentieri) di «politicamente corretto», «pensiero unico», o di altre faccende di questo genere che ultimamente sembrano andare molto di moda, persino a sinistra. Eppure, sfogliando l’antologia intitolata Interventi, in uscita ora per La Nave di Teseo, ci si trova davanti a un sublime catalogo di scorrettezze. Di pensieri che viaggiano spediti in senso contrario all’opinione predominante. Non ce n’è uno, fra gli articoli e i saggi raccolti nel volume, che non costringa il lettore ad esercitare la ragione, a mettere in moto l’intelletto – anche, magari, per sancire una distanza netta del testo.

Per lo più, le posizioni di Houellebecq sono sorprendenti, e arrivano di solito ben prima che il resto del mondo si adegui alla corrente. Prendiamo per esempio l’articolo «Il conservatorismo, fonte di progresso», uscito addirittura nel 2003 su Le Figaro. Di fatto, anticipa una montagna di temi di cui dalle nostre parti si discute soltanto oggi. Sentite che bordate
sui «nuovi progressisti»: «Contrariamente al vecchio, il nuovo progressista non identifica il progresso attraverso il suo contenuto intrinseco, ma attraverso il suo carattere di novità. Vive insomma in una sorta di epifania permanente, molto hegeliana nella sua stupidità, in cui tutto ciò che appare è buono per il semplice fatto che è apparso. Sarebbe così altrettanto reazionario opporsi allo “string” quanto al velo islamico, al “loft” quanto alle prediche di Tariq Ramadan. Tutto ciò che appare è buono».

In poche righe, lo scrittore francese ha inquadrato alla perfezione l’ossessione contemporanea per l’innovazione, con largo anticipo rispetto al compimento della rivoluzione digitale. Segno di quanto sia acuto, e pure di quanto sia disposto a rischiare la scomunica da parte del bel mondo letterario. Dicevamo, però, del politicamente corretto. E allora è il caso di andare a fondo nella questione. Per Houellebecq (così spiega in un’intervista concessa a Frederic Beigbeder) è un’espressione che «oggi non si vuole nemmeno più pronunciare, è diventata ridicola, ma combattere per la propria libertà d’espressione aveva un senso, e continua ad averlo. Negli ultimi vent’anni il “politicamente corretto” ha continuato a proliferare. Siamo stanchi di parlar male di questa cosa, ma questa cosa non si stanca di esistere. […] Quel che dobbiamo sopportare è orribile».

A proposito di sopportare cose sgradevoli, parlando di Houellebecq non si può non citare la questione islamica, che al romanziere ha causato processi, minacce, vita sotto scorta. «Credi che mi sia divertito ad affrontare un processo quando non mi ero mai interessato all’islam? Si deve poter lavorare senza essere insidiati dalla censura. L’interdetto è un meccanismo che non si ferma mai» dice Michel a Beigbeder. Sull’argomento, nel libro, ritorna più volte. In un’altra intervista dichiara: «Da quando ha avuto inizio tutto questo mi sento obbligato a difendere l’islamofobia, che io sia islamofobo o no. Poiché deve rientrare nel novero delle opinioni che si ha il diritto di esprimere… punto e basta. Attaccare una religione è un diritto. Dunque, sì, mi sento mio malgrado obbligato a difendere la libertà di espressione».

Pagina dopo pagina, in Interventi c’è di tutto. Compresa una sorprendente difesa di Donald Trump. Prima Houellebecq affonda il coltello e scrive: «Sul piano personale, è davvero abbastanza disgustoso. Il fatto che sia un puttaniere non è un problema, chi se ne frega, ma che si faccia beffe degli handicappati non va bene. A pari programma, un autentico conservatore cristiano, insomma un tipo rispettabile e moralmente sano, sarebbe stato meglio per l’America». Ma dopo un veloce esame delle politiche trumpiane, conclude: «In breve, il presidente Trump è ai miei occhi uno dei migliori presidenti che l’America abbia avuto». E se questi ragionamenti non sono ancora abbastanza scorretti, ecco che arriva l’apice della scorrettezza: la presa di posizione a favore della vita nello sconcertante caso di Vincent Lambert, l’uomo su cui lo Stato francese ha voluto a tutti i costi praticare l’eutanasia alcuni anni fa.

Houellebecq, uno che non aveva avuto problemi a teorizzare la scomparsa dell’umanità, ha sfoderato una sensibilità incredibile ed è arrivato a sostenere che «anche nel caso in cui uno stato vegetativo fosse riconosciuto irreversibile con assoluta certezza, ci resterebbe comunque il dovere di occuparci di questi malati, di assicurargli le migliori condizioni di vita possibili». Elogi a Trump, critiche all’islam, uscite pro life… In buona sostanza, questo libro di Houellebecq è un sommario di opposizione al pensiero unico composto da un autore che, è probabile, tutto vorrebbe essere tranne che un eroe del «pensiero alternativo». Ed è proprio questo che lo rende inimitabile e, in effetti, eroico.

Francesco Borgonovo

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