Sono quasi 800 le aziende americane che hanno deciso di stoppare la pubblicità su Facebook. Che adesso corre ai ripari.I fan di Star Wars sono rimasti orfani su Facebook di Luke Skywalker. Mark Hamill, l’attore che interpretava l’eroe della prima trilogia, ha eliminato il suo account. Perché, ha cinguettato su Twitter ispirato dal lato chiaro della Forza, «Mark Zuckerberg dà più valore al profitto che alla verità». A seguire il lato «chiaro» della Forza è stato anche il cofondatore di Apple, Steve Wozniak, e una lista di colossi americani che hanno deciso di togliere l’amicizia a Facebook.
I fan di Star Wars sono rimasti orfani su Facebook di Luke Skywalker. Mark Hamill, l’attore che interpretava l’eroe della prima trilogia, ha eliminato il suo account. Perché, ha cinguettato su Twitter ispirato dal lato chiaro della Forza, «Mark Zuckerberg dà più valore al profitto che alla verità». A seguire il lato «chiaro» della Forza è stato anche il cofondatore di Apple, Steve Wozniak, e una lista di colossi americani che hanno deciso di togliere l’amicizia a Facebook.
Secondo i media statunitensi, quasi 800 aziende hanno annunciato che smetteranno di fare pubblicità su Facebook per un mese. A fine giugno lo hanno fatto Patagonia e North Face aderendo alla campagna «Stop hate for profit» partita dopo la morte di George Floyd e promossa da Color of change, ong per i diritti civili, insieme ad altre organizzazioni.
Anche Unilever, Verizon, Adidas, Starbucks, Coca-Cola, Ford e Hp stanno rivalutando le loro strategie nel lungo periodo. Alcuni big, ma non tutti, domandano cambiamenti strutturali nel modo in cui le piattaforme affrontano l’intolleranza razziale, l’hate speech e i contenuti pericolosi.
Dal 1° luglio Coca-Cola ha sospeso a livello globale tutte le attività sui canali social per almeno 30 giorni, prendendo questo tempo «per ridefinire le policy relative alla nostra presenza sui social media», hanno spiegato al quartier generale di Atlanta. Anche Microsoft ha deciso di sospendere a maggio le proprie campagne pubblicitarie su Facebook e Instagram, prolungando la pausa fino ad agosto senza però aderire alla protesta e lasciando aperto un dialogo con i vertici delle due piattaforme. L’industria pubblicitaria sta infatti invocando cambiamenti più radicali come strumenti per consentire agli esperti di marketing di controllare meglio dove vengono collocate le inserzioni, classificazioni coerenti di contenuti dannosi e audit esterno dei dati correlati.
Va poi considerata la razionalizzazione degli investimenti pubblicitari a causa della crisi socioeconomica scatenata dalla pandemia: secondo la World federation of advertisers, che copre il 90 per cento della spesa pubblicitaria mondiale, circa il 40 per cento delle aziende, vista la fase di incertezza, continuerà a tenere congelati gli investimenti per i prossimi sei mesi.
Un sondaggio tra i 58 membri della Wfa che allocano oltre 90 miliardi di dollari di spesa pubblicitaria in tutto il mondo stima che quasi un terzo dei principali marchi potrebbe mettere in pausa la spesa pubblicitaria sui social. Con effetti sull’intero mercato della pubblicità online, che è presidiato per più del 60 per cento da Google e Facebook (con 8 milioni di inserzionisti e 69 miliardi di dollari incassati ogni anno).
La mossa rischia di diventare però un boomerang per chi boicotta. Secondo le stime dell’istituto di ricerca Kantar e dell’Università su Oxford, il silenzio su Facebook può arrivare a costare alle aziende otto punti percentuali nelle intenzioni d’acquisto.
Certo, lo stop – seppur temporaneo – dei grandi clienti potrebbe portare quasi 300 milioni di dollari di perdite nella pubblicità di quest’anno, dice uno studio della società di consulenza Warc. Ma solo il 6 per cento delle entrate pubblicitarie di Facebook del 2019 proveniva dai suoi 100 maggiori inserzionisti. Incidenza che la campagna di rielezione di Donald Trump potrebbe annullare portando a pareggio l’insieme delle entrate perse dal boicottaggio.
Intanto, in Italia c’è già chi ha tolto l’amicizia a Zuckerberg ben prima delle proteste Black Lives Matter. Dal 1° giugno 2019, infatti, Unicredit ha abbandonato Facebook, la piattaforma di messaggistica Messenger e la controllata Instagram per «valorizzare i canali digitali proprietari garantendo un dialogo riservato e di alta qualità», è la spiegazione ufficiale della banca guidata da Jean Pierre Mustier.
A marzo 2018 – in seguito a Cambridge Analytica – il gruppo aveva già sospeso gli investimenti pubblicitari sul social network e interrotto ogni interazione, lasciando comunque aperto il profilo di Unicredit. Poi è arrivata la scelta più drastica: concentrare la comunicazione della propria attività sui propri mezzi digitali, il sito internet, in primo luogo, ma anche email, telefono e chat. Sono stati comunque salvati Twitter e Linkedin, utile come strumento di relazioni con il mondo professionale. Così come possono per il momento stare tranquilli i fan di Elkette, la piccola alce mascotte di Mustier, che sul profilo Instagram posta le sue foto in giro per il mondo al fianco dell’a.d. per la gioia dei 4.400 followers. n
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