Quelli italiani sono tra i più numerosi e meglio pagati al mondo: si parte da uno stipendio annuo di 62.000 euro, che può arrivare a 240.000. È una casta dello Stato con privilegi tutti suoi. Panorama ha fatto i conti, raccogliendo anche gli aneddoti di un «pentito».
Non erano pochi il 7 settembre scorso a partecipare alle prove scritte per il concorso, indetto dal ministero degli Esteri, per i 32 posti in palio di «segretario di legazione». Una sigla che forse ai più non dirà nulla, ma rappresenta il primo scalino della carriera diplomatica. Mentre c’è chi stringe la cinghia, considerata anche la crisi economica post-Covid, alla Farnesina si allargano dunque le maglie del fronte diplomatico. Solo l’anno scorso erano stati assunti altri 33 segretari di legazione.
La questione non è solo di prestigio, ma anche economica: lo stipendio annuo lordo per il segretario di legazione, che comincia con i compiti più disparati a prendere servizio al dicastero, parte da 62.000 euro rotti all’anno. Circa 5.000 euro lordi al mese, di cui beneficiano oggi già in 329. Ma è solo l’inizio di una carriera d’oro.
Il consigliere di legazione (sono 199 a oggi) può arrivare a guadagnare anche 117.000 euro, uno dei 230 consiglieri d’ambasciata 172.000. Fino ad arrivare ad ambasciatori e ministri plenipotenziari, che possono toccare il massimo consentito dalla legge: 240.000 euro annui. Esattamente quanto percepisce, per esempio, il segretario generale della Farnesina Elisabetta Belloni, spesso tirata in ballo tanto a destra quanto a sinistra quando c’è da formare un governo, ma mai effettivamente scelta.
Senza mettere in dubbio le competenze dei nostri diplomatici, resta, come ha recentemente notato l’economista Roberto Perotti, che «i nostri ambasciatori sono probabilmente i meglio pagati al mondo». C’è chi si spinge oltre, parlando addirittura di «Repubblica oligarchica libera della Farnesina». A dirlo però non è un nemico giurato dei nostri diplomatici, ma Calogero Di Gesù, ex ambasciatore che, una volta in pensione, ha scritto un libro-inchiesta di oltre 500 pagine, dal titolo eloquente: Dietro le quinte della Farnesina. Cinquant’anni di illegalità, sperperi e intrallazzi (Aracne). «Quello della Farnesina» spiega Di Gesù «è un corpo separato dello Stato che ha regole proprie volute dalla casta diplomatica e fatte in maniera tale che possono sempre essere aggirate o violate da quanti appartengono già alla casta per discendenza familiare o vi accedono dalla porta principale perché raccomandati da uomini politici potenti».
Per incassare la lauta mercede, peraltro, spesso non serve lasciare l’amata patria: se 535 hanno preso servizio all’estero, secondo quanto si evince dall’Annuario statistico 2019 della Farnesina (l’ultimo disponibile), 461 lavorano in Italia (tra cui 10 ambasciatori su 25 e 106 ministri plenipotenziari su 207). La ragione? Difficile dirlo. Fatto sta che, sempre secondo i dati della Farnesina, nei vari ministeri lavorano 386 diplomatici, altri 41 invece siedono alle scrivanie di Palazzo Chigi, Quirinale e finanche di Regioni e Comuni. Federico Di Roberto, ambasciatore a riposo, oggi è «consigliere per gli affari internazionali» di Giovanni Toti; Luca Trifone «consigliere diplomatico» di Virginia Raggi al Campidoglio.
Non che chi viene chiamato all’estero se la passi peggio. Tutt’altro. Basti notare come lo stipendio del nostro rappresentante a Berlino, 122.000 euro annui, superi quello di Angela Merkel. Senza contare la residenza gratis, l’auto di servizio, il fondo per le spese di rappresentanza (Fondo per la promozione dell’Italia) e, soprattutto, la fatidica Ise. Si tratta di una «indennità per il servizio all’estero», che può superare i 40.000 euro che si aggiungono allo stipendio base. Il conto complessivo è di tutto rispetto: tra oneri per indennità e compensi accessori i nostri diplomatici costano oltre 86 milioni di euro, cui si aggiungono altri 65 milioni di «oneri che concorrono a formare il costo del lavoro». Qualche esempio? 8,6 milioni di euro complessivi di assegni per il nucleo familiare, 3,8 milioni per trasferimenti vari, 19,2 milioni per un generale «benessere del personale».
E parliamo solo dell’aspetto dirigenziale. Non a caso l’Italia è uno dei Paesi con la macchina diplomatica più ampia al mondo: considerando ambasciate, istituti di cultura, consolati e rappresentanze permanenti si contano 469 presìdi. Un tempo era anche peggio, tanto che nel giro di questi anni sono stati tagliati 27 uffici onorari e in una recente interrogazione il sottosegretario agli Esteri Riccardo Antonio Merlo ha specificato che le chiusure sono «il risultato di una ampia ricognizione (…) che ha coinvolto 48 strutture prive di titolare da più di cinque anni o che non lo avevano mai avuto». Strutture, dunque, aperte, esistenti, costose e praticamente inutili.
Altre, invece, hanno avuto una vita controversa, come l’ambasciata del Cairo oggi guidata da Giampaolo Cantini: dopo la scomparsa e la morte di Giulio Regeni, la linea diplomatica del nostro Paese è stata ondivaga tra l’esigenza di fermare i rapporti diplomatici con il presidente Abdel Fattah al-Sisi e quella di proseguirli per fini soprattutto economici. Oggi pare che una scelta sia stata fatta: da poche settimane la Farnesina ha indetto un bando per la ricerca di un esperto che possa, tra le altre cose, promuovere la scienza e la tecnologia italiana, assistere le nostre delegazioni in visita in Egitto e, ancora, favorire proprio la «mobilità di ricercatori e studiosi».
Nel frattempo i costi si rivelano molto elastici. Panorama ha consultato i bilanci di previsione 2020 dei vari enti, scoprendo cifre a dir poco interessanti. Nella top three spiccano l’ambasciata a Brasilia, diretta oggi da Francesco Azzarello, che conta di spendere per le varie attività ben 5,1 milioni di euro; quella a Mosca, il cui capo missione è Pasquale Terracciano (4,7 milioni di euro) e, infine, quella a Islamabad, in Pakistan, guidata da Andreas Ferrarese (4,5 milioni).
E ci sono pure località in cui, forse, neanche pensavamo di avere rappresentanti: il consolato di Mar de Plata, in Argentina, (12 persone) prevede di spendere 265.000 euro, quello di Rosario, altro centro del Paese, (15 impiegati) un milione; il consolato di Maracaibo, in Venezuela, (10 dipendenti) 198.000 euro, quello di Recife, in Brasile, (sette stipendiati) 412.000. L’Italia è presente anche a Maputo, in Mozambico, (357.000 euro), Libreville, in Gabon, (501.000 euro), Fiume, in Croazia, (203.000 euro), Taipei, a Taiwan, (quasi un milione) e Curitiba, ancora in Brasile, (766.000 euro di spese previste).
Un esercito d’oro in perpetua crescita, come spiega ancora Di Gesù: «La Farnesina è un grande carrozzone in cui a comandare sono gruppi di pressione che fanno capo a famiglie di diplomatici e alla politica. E così si finisce con l’avere nomine clientelari una dopo l’altra». Nel libro, per esempio, si parla della nomina dell’ex presidente del sindacato autonomo dei diplomatici Sndmae Paolo Serpi come «inviato speciale» per i Caraibi o, ancora, di Carlo Calenda, già nipote d’ambasciatore, inviato a Bruxelles con tutti gli onori alla rappresentanza «permanente» dell’Italia in Europa, dove è rimasto però non più di 50 giorni. Senza dimenticare Lorenzo Fanara: «Era vice capo di gabinetto dell’ex ministro Angelino Alfano» racconta Di Gesù «ed è diventato ambasciatore a Tunisi senza averne i requisiti regolamentari tanto che è stato accreditato come Incaricato d’affari». Che i tempi non siano cambiati, forse, lo rivela un fatto recente.
A Mosca, alla scuola italiana Italo Calvino, che riceve fondi pubblici e tra i cui soci c’è il consolato italiano, a ricoprire il ruolo di coordinatore didattico dopo un concorso pubblico e, da poche settimane, Leonardo Romei. Sarà soltanto un caso, ma è il compagno di Elisabetta Martini, primo segretario proprio al consolato italiano. «Nulla di nuovo» sorride Di Gesù. «Il ministero, su richiesta non sempre basata su esigenze di servizio degli uffici all’estero, amministra con molta discrezionalità ampi organici di impiegati a contratto e di esperti assunti con procedure affatto trasparenti per prestare servizio esclusivamente all’estero. Nel corso degli anni molto spesso tali possibilità sono state utilizzate per prendere amici e parenti».
Quando il libro uscì, nel 2017, fu presentato anche al gruppo parlamentare Cinque stelle della Camera. «Mi hanno detto che è sulla scrivania del ministro Luigi Di Maio, ma a quanto mi risulta le mie circostanziate denunce e le mie numerose proposte costruttive non hanno prodotto alcun significativo cambiamento» conclude sconsolato l’ex ambasciatore.