Le sinistre di tutto il mondo, ma anche molte destre. E poi governi, Unione europea, banche, multinazionali e fondi speculativi. Tutti a inneggiare a misure ecologiste, il mantra con cui chiunque voglia fare bella figura in questo momento si deve riempire la bocca. Si cominciano però a sentire voci critiche sul Pensiero Unico del cambiamento climatico. Strano ma vero, anche nel fronte progressista.
Per la profezia, dobbiamo affidarci a Guy Debord (1931-1994). Nessuno meglio dell’autore de La società dello spettacolo, in fondo, avrebbe potuto immaginare il triste spettacolino chiamato «rivoluzione verde». Uomo di sinistra, rivoluzionario sui generis, fondatore dell’Internazionale situazionista: all’apparenza tutto tranne che un conservatore.
Nel 1971 diede alle stampe un articolo intitolato Il pianeta malato, e provate a leggerlo senza immediatamente correre col pensiero a Greta Thunberg, Extinction Rebellion e agli altri movimenti «green» che dominano i media da qualche anno. «L’inquinamento» scriveva Debord, «è oggi alla moda: esattamente come la rivoluzione. Si impadronisce di tutta la vita della società ed è rappresentato illusoriamente nello spettacolo. È la chiacchiera stordente in una pletora di scritti e di discorsi erronei e mistificatori, e prende nei fatti tutti alla gola. Si espone ovunque in quanto ideologia e guadagna terreno come processo reale».
Poi l’attacco più ficcante. Anche «i padroni della società», notava il geniaccio francese, «sono ora costretti a parlare dell’inquinamento […] Il settore più moderno dell’industria si lancia su diversi palliativi dell’inquinamento come su di un nuovo sbocco, tanto più redditizio in quanto si può utilizzare e manipolare una buona parte del capitale monopolizzato dallo Stato».
Sono passati cinquant’anni da quando Debord scriveva queste parole di fuoco, e ciò che aveva raccontato allora si è perfettamente verificato. Ora ci troviamo con un ministero alla Transizione ecologica, i fondi di sostegno in arrivo dall’Unione europea saranno in gran parte destinati a misure ecologiche, la Green economy è il mantra con cui chiunque voglia far bella figura in società si deve riempire la bocca.
E Debord aveva descritto già ogni cosa: «La sedicente lotta contro l’inquinamento, per il suo lato statuale e regolamentare, andrà innanzitutto a creare nuove specializzazioni, nuovi servizi ministeriali, jobs (lavoretti) e avanzamenti burocratici».
Ovviamente la sua posizione, nei decenni, è rimasta minoritaria. Le sinistre di tutto il modo (e anche molte destre) sono in piena ubriacatura verde, e il fenomeno non è certo destinato a scemare. Anzi, è facile prevedere che – se i Verdi otterranno un buon risultato alle prossime elezioni tedesche – sull’intera Europa si riverserà una strabordante ondata di «ecologicamente corretto».
Una nuova forma di controllo del dibattito che, in parte, abbiamo già sperimentato. Prima che arrivasse il Covid, non c’era giorno che non si parlasse della giovane Greta e delle sue intemerate contro il riscaldamento globale. Dissentire dalla sua visione del mondo era diventato praticamente impossibile. Ci furono anche importanti quotidiani che decisero di chiamare «negazionisti» (vi ricorda qualcosa?) coloro che contestavano la teoria del riscaldamento globale e non concordavano con il peso attribuito alle famigerate «emissioni».
Fortunatamente, però, qualche voce critica, nel frattempo, si è fatta sentire. E – attenzione – non si tratta affatto di perfidi sovranisti o spietati capitalisti pronti a difendere l’indifendibile pur di incassare denaro con i fabbriconi inquinanti.
No: tanti scettici vengono proprio da sinistra. Marsilio ha appena pubblicato in Italia un robusto saggio di Michael Shellenberger, studioso di ambiente e clima, di estrazione progressista e libertaria. S’intitola L’apocalisse può attendere. Errori e falsi allarmi dell’ecologismo radicale e smonta falsi miti e grossolani errori numerici dei movimenti «green». L’elenco delle imprecisioni catastrofiste sul clima è sterminato.
Un esempio? Tanti militanti ambientalisti hanno fissato al 2030 il «punto di non ritorno». Ci dicono: la nostra casa è in fiamme, se non si riducono subito le emissioni, si andrà verso il disastro. Ma sentite Shellenberger: «”Tutte balle, queste scadenze temporali” ha dichiarato Gavin Schmidt, climatologo della Nasa. “Non accade nulla di speciale se si sfora il bilancio delle emissioni di anidride carbonica o se si supera qualsivoglia limite di temperatura; invece i costi delle emissioni aumentano costantemente”. Secondo Andrea Dutton, docente di paleoclimatologia all’Università del Wisconsin-Madison: “Per qualche ragione, i media si sono attaccati all’idea dei 12 anni (2030), forse perché hanno pensato che servisse a trasmettere il messaggio della velocità con cui ci stiamo avvicinando a una data limite e, di conseguenza, l’urgenza di agire. Purtroppo, si è arrivati a travisare totalmente quanto diceva il rapporto”». Dopo aver concluso l’elenco delle mistificazioni verdi, Shellenberger chiede ai lettori: «C’è qualcosa tra i dati riportati che vi faccia pensare alla fine del mondo?».
A farci sorgere qualche dubbio, in realtà, più che le dichiarazioni degli ambientalisti dovrebbe essere il totale sostegno istituzionale di cui godono. Si sono mai visti rivoluzionari applauditi da governi, banche, multinazionali e fondi speculativi? Non scherziamo.
Secondo gli studiosi francesi René Riesel e Jaime Semprun, autori di Catastrofismo. Amministrazione del disastro e sottomissione sostenibile (Ortica), il catastrofismo istituzionale autorizza i governi a farsi autoritari. Se la prospettiva è il disastro ecologico e bisogna subito correre ai ripari, senza ragionare, senza approfondire e approvando a scatola chiusa norme salvifiche, i cittadini hanno solo una possibilità, ovvero la «sottomissione contrita alle nuove direttive» e «chiunque si rifiuti di responsabilizzarsi […] dimostra, per ciò stesso, di avere il profilo del terrorista potenziale».
E come terrorista viene trattato, sottoposto a un regime di sorveglianza senza pari. Ecco i risultati: critichi i dati sul cambiamento climatico? Sei un negazionista. Non concordi con Greta? Sei un irresponsabile che odia la natura. Scrive benissimo Philippe Pelletier, anche lui molto di sinistra, in Clima, capitalismo verde e catastrofismo (Eleuthera): «Si ricorre alla stessa logica messa in atto dal sistema spettacolare e commerciale, il quale utilizza la strategia dello shock per farci mandar giù misure più o meno draconiane, se non addirittura per farci accettare l’idea che solo la competenza e la governance globale possono dare soluzioni».
Non importa che fra gli studiosi – seri e non politicizzati – non ci sia affatto consenso sul riscaldamento globale. Quel che conta è portare avanti la battaglia ideologica. La quale, sotto valori apparentemente progressisti e ambientalisti, nasconde l’ultima evoluzione del neoliberismo: il capitalismo verde. Che non salva il pianeta, ma fa guadagnare un sacco di soldi ai soliti noti. I quali nel frattempo ci fanno pure la morale.