La scorsa estate, dopo il lockdown, gli italiani che si sono messi in marcia per ricominciare a vivere sono stati tantissimi. Quest’anno ci si aspetta che, alla riapertura, i nuovi «viandanti» aumenteranno ancora di più. Non si tratta solo di remise en forme o di isolarsi dagli altri, ma di benessere psicologico. Dicono gli esperti che «muovere i passi al ritmo del cuore acuisce i sensi, crea una cadenza interna che si unisce a quella della natura. Un viaggio in cui i pensieri diventano più lucidi e il tempo si dilata».
«Star seduti il meno possibile, non fidarsi dei pensieri che non sono nati all’aria aperta e in movimento. Tutti i pregiudizi vengono dagli intestini. Il sedere di pietra è il vero peccato contro lo spirito santo», disse Friedrich Nietzsche in Ecce Homo, lui che aveva scritto tutta la sua opera deambulando. E così, con somma sorpresa, la scorsa estate, dopo il lockdown, gli italici «culi di pietra» si sono sollevati dai divani e il numero di persone che si sono messe in marcia è cresciuto in modo esponenziale. E ci si aspetta che alla riapertura i nuovi «viandanti» aumenteranno ancora.
Ne è sicuro Luca Gianotti, guida e autore de L’arte del camminare (Ediciclo): «Trent’anni fa, quando si cominciava a parlare di trekking, eravamo considerati dei matti. La mia è la generazione del GR20, la traversata della Corsica in 15 giorni: il mito dell’avventura, una spettacolare prova iniziatica. Non avevamo neanche internet». Oggi è il coordinatore de La Compagnia dei Cammini: «Ho visto decuplicarsi il numero delle richieste. Tutti hanno bisogno di depurare la testa e il corpo, la vacanza classica non sembra sufficiente a raggiungere questi scopi terapeutici». Chi parte per la prima volta deve affidarsi alla strada e non aver paura, abbandonare l’ansia di non arrivare alla meta. «Bisogna buttarsi. Lasciare a casa ciò che non serve, come i libri, che sono solo coperte di Linus. Gravati dai pesi psicologici non si va da nessuna parte».
Oggi tutto è cambiato: si è partiti dai trekking naturalistici in alta montagna per poi cercare un contatto con le persone del luogo, scendendo a valle a incontrare contadini, pastori, anziani. La Via Francigena, dove fino a dieci anni fa non c’era nessuno, è diventata addirittura affollata. Così come il Cammino dei Briganti, tra Lazio e Abruzzo, creato da Gianotti, oggi uno dei percorsi di maggiore successo. Ci si spinge lungo i tratturi del Molise, seguendo la transumanza descritta da Gabriele D’Annunzio o si affronta il periplo della Sardegna nel Percorso delle 100 Torri.
Mentre la Via degli Dei, che collega Bologna a Firenze, quest’estate hanno dovuto chiuderla, perché non c’era un solo posto per dormire. Continua Gianotti: «In Italia il mio archetipo è la Maiella, dopo il Tibet questo altopiano è sicuramente il più ricco di luoghi sacri al mondo». Ma non c’è bisogno di spingersi verso mete ardue o esotiche, come spiega Andrea Bocconi, celebre psicologo, che sta per pubblicare un’autobiografia, Io, altrove (Ediciclo), legata ai viaggi lunghi e brevi: «Una volta feci 22 giorni di cammino intorno a casa, ossia partendo dalla campagna aretina girai tutto il Casentino. Un’esperienza spirituale. Mi piace ascoltare i miei passi in silenzio, come in un ritiro di meditazione. Si trova un ritmo organico, non puoi andare più veloce del battito del tuo cuore. Una cadenza interna che si unisce a quella della natura. È anche un ridimensionamento. Quando si monta una tenda in un bosco e si spera che i cinghiali non l’attraversino ci si sente piccini e nello stesso tempo grandi, in connessione con qualcosa di maestoso. È una forma di pellegrinaggio laico».
Crescono gli itinerari dedicati ai santi: quello francescano (San Francesco era un gran camminatore) e quello di San Benedetto fino al Sacro Monte d’Orta in Piemonte, che si affaccia sull’omonimo lago, uno dei luoghi più romantici del Paese. Ma lo psicologo è fautore della passeggiata «a km uno», come la chiama lui, senza spostarsi troppo da casa: «Vivo a cinque chilometri da Arezzo, quando esco mi inoltro in un uliveto, poi cerco un sentiero, da lì arrivo a una pieve romanica e in un’ora e mezza ho fatto un viaggio».
Passeggiare acuisce i sensi, i pensieri diventano più lucidi, il tempo si dilata, anche se lo spazio è stretto come in questo momento. E allora la strada diventa una metafora della vita, così racconta il giornalista Maurizio Bono nel suo libro In cammino (Vallardi): «Cosa resta del fascino di camminare se togli il gesto in sé? Rimane la metafora del restare in equilibrio, che è tutto quello che cerchiamo nella vita. Spostare il peso da un passo all’altro, evitando di inciampare, cercando di andare avanti, trovando le strategie migliori per renderlo un’attività il più piacevole possibile. È una cosa naturalissima, che non richiede quasi nulla, ma insegna a girare intorno alle difficoltà. Come adesso, che ci inventiamo percorsi limitati approfittando di quello che abbiamo di fronte. Anche in città puoi camminare a prescindere dalla meta e vivendolo come ristoro della mente».
Secondo Bono nel ritmo binario il pensiero si sposta dal vicino al lontano e questo, secondo i neuroscienziati, è una delle attività maggiormente stimolanti per il cervello: «Ci vuole flessibilità, determinazione e umiltà. Perché camminare è un gesto umile». Appena finì il lockdown, il 3 giugno scorso, Enrico Brizzi per festeggiare partì da Asiago per raggiungere Bologna, 300 chilometri in sette giorni: «È stato impressionante, incontravamo gente vestita in ogni modo uscita a camminare. Sembrava di vedere rispuntare la vita». Condividere un percorso è qualcosa che ti lega profondamente, continua lo scrittore: «Lungo il cammino la gente prende con più facilità decisioni rilevanti: ho visto mandare lettere di dimissioni, cambiare lavoro, coppie rompersi e grandi amori nascere». Tra pochi giorni uscirà il suo romanzo La primavera perfetta (HarperCollins), storia di una caduta e di una rinascita, come quelle che accadono avanzando insieme: «Il ragazzo con cui sono andato dall’Alto Adige alla Sicilia nel 2010 è partito sposato. Dopo una settimana gli è arrivata una mail della moglie: aveva un altro e lo mollava. Se fosse stato in città sarebbe finito in terapia per anni. Invece dovevamo attraversare l’Italia, il viaggio è durato 80 giorni e lo ha salvato. Verso la fine si unì una ragazza. Si sono innamorati e nel giro di un paio d’anni li ho sposati. Oggi hanno due figli».
Avevano ragione i latini: Solvitur ambulando, camminando si risolvono i problemi.
